“La caduta dell'America” secondo Allen Ginsberg
Se parlare di Allen Ginsberg non è mai semplice, provare a descrivere La caduta dell'America (Il Saggiatore, traduzione di Leopoldo Carra e Luca Fontana) a un ipotetico lettore lo è ancora meno. Forse, mai come in questo caso, il cantore dei versi della beat generation aveva raccolto materiale così vasto e variegato, con un'enorme ricchezza di temi toccati. È più che altro un'esplosione di forme e di stile, quella contenuta nelle 560 pagine del volume (comprensive del testo a fronte in lingua originale), dove si mischiano infatti poema e poesia, letteratura di viaggio e libro di denuncia, ecologia e dichiarazioni amorose o istinti sessuali (in primis per gli oggetti del desiderio Neal Cassady e Jack Kerouac).
Tra il 1965 e il 1971, Ginsberg, già affermato poeta simbolo della controcultura americana, viaggia per il suo Paese in lungo e in largo, raccogliendo ogni pensiero su un registratore portatile e riversandolo poi sulla carta. Tutto comincia con un pulmino Volkswagen Transporter T2 (in genere, chiamato amichevolmente Bulli), proprio il mezzo di trasporto per eccellenza del movimento hippy in quegl'anni di protesta e radicale cambiamento. Il viaggio continua poi in treno e in aereo, in un coast to coast furibondo, che va da San Francisco a New York, passando per le nubi grigie del Nebraska e attraversando il Midwest, la desolazione del Kansas, le foglie cadute del Connecticut e i sempreverdi innevati della Pennsylvania.
Una vera festa dei sensi, alla quale Ginsberg fa entrare tutto quello che vede e tutto quello che ascolta. E allora finiscono nei suoi scritti insegne pubblicitarie, titoli di giornale, estratti da trasmissioni radio, scritte sui muri di un gabinetto, discorsi di attivisti politici, canzoni. Questi ultimi due aspetti sono quelli che maggiormente inseguono il poeta, una sorta di ossessione vagante che non lo abbandona mai: da una parte, messaggi di propaganda del governo impegnato nella guerra del Vietnam, qui utilizzati per una riflessione più acuta e per le sperimentazioni linguistiche (siamo nel bel mezzo del conflitto, delle proteste pacifiste, delle repressioni studentesche, quando Ginsberg scrive questi testi); dall'altra, la forte influenza della musica, a creare uno stile ritmico e ripetitivo, come fatto di riff e strofe portanti, strofe che appaiono compatte eppure sempre in movimento, slegate tra di loro. Ecco dunque un lungo elenco di autori citati, primi fra tutti i Beatles e i Beach Boys («Ormai, i Beatles e i Beach Boys sono entrati nel Sublime»), e poi ovviamente Bob Dylan, ma anche i Kinks, Sinatra (padre e figlia), Ray Charles, i Rolling Stones.
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Ritroviamo qui anche altri elementi immancabili della poetica di Ginsberg, come la fascinazione per filosofie e le religioni orientali (Induismo, Buddismo, Hare Krishna) e l'uso di sostanze stupefacenti, nominando di volta in volta canne d'erba, LSD, amfetamine.
Ma ciò che rimane di più è una fotografia nitida dell'America di quel tempo, un ritratto inquieto e a tinte scure. Per questo, vi si inseriscono perfettamente bollettini di guerra con tanto di cifre sui caduti in combattimento, dichiarazioni circa l'andamento dell'economia del Paese, i temi ecologici che mettono in risalto l'inciviltà dell'uomo, fiumi in cui scorrono petrolio e pesci morti galleggianti. Ma c'è anche l'America delle terre sterminate e suggestive, tra paesaggi urbani e naturali; e allora si susseguono le luci della città a parchi naturali e montagne. E poi l'America dei personaggi, nel bene e nel male, e l'elenco comprende Nixon, Hoover, Dillinger, Timothy Leary, gli Hells Angels, Martin Luther King e si invoca persino Steinbeck perché possa porre fine alla guerra, come fosse un dio.
Non si è grandi senza grandi maestri. E Ginsberg si ispira a William Blake (da cui riprende il concetto di caduta, come suggerisce Leopoldo Carra nell'ottima introduzione) e a Walt Whitman (a cui dedica il libro). Da lirico a dissacrante, da leggero a volgare, ma mai scontato. Sempre, indiscutibilmente, se stesso. A oltre quarant'anni dalla sua prima pubblicazione (il testo uscì per City Lights nel 1973 e vinse il Book Award for Poetry l'anno successivo), La caduta dell'America racchiude le visioni e gli effluvi poetici di un Allen Ginsberg in stato di grazia.
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