La bambina che ha un milione di anni
Uscito per Las Vegas Edizioni, La bambina di un milione di anni di Lorenzo Vargas è un’esperienza di lettura che richiede qualche sforzo da parte del lettore, a causa della scelta di uno stile ricercato, quasi artificiale e distante. Chi compie lo sforzo, però, viene poi ripagato. Gli spunti di riflessione non mancano.
Siamo a Montebasso. È un paesino di poche anime, tremila, per essere precisi. Alcune di queste anime, però, sono a dir poco insolite, o speciali, se vogliamo.
La prima la incontriamo subito all’inizio, si chiama Neri ed è il custode del cimitero. Lo incontriamo nel momento in cui sta dissotterrando qualcosa, anzi, qualcuno. È la prima spia che ci fa capire di non trovarci davanti al solito guardiano del cimitero. Neri, infatti, è tutto fuorché semplice. È il Necromante. Lo è da millenni. E la sua presenza si giustifica in un’economia che vede male e bene in una continua tensione verso l’equilibrio, verso l’armonia.
Non può fare tutto da solo, questo va da sé. Accanto a lui, c’è Gabriela. Nelle sue vesti odierne, ha otto anni, lunghi boccoli che le incorniciano il viso e uno sguardo carico di passato. È l’Eroe. E anche questo lo intuiamo sin da principio: Gabriela non ama i bulli. Non solo non li ama, ma non riesce a trattenersi davanti al solito ed ennesimo episodio di sopruso ai danni dei più deboli.
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Se giocassimo con i simboli, con le anticipazioni, con i ruoli ricoperti, un lettore attento potrebbe già intuire dalle prime pagine in che direzione si andrà seguendo il filo narrativo del romanzo. Se resta il mistero, è quello dei dettagli.
Oltre alle due entità, Montebasso ospita anche la realtà dei giorni nostri. La cittadina è divisa in due, la parte Vecchia e la parte Nuova. Nella Vecchia ci vivono dei migranti. Ma non facciamoci ingannare dai nomi, il fatto che sia Vecchia non significa che sia pregiata. È stata distrutta da un terremoto e lì si sono accampati questi poveracci. Gli autoctoni non ne sono contenti, è ovvio, nonostante a loro sia toccata Montebasso Nuova, ai margini della vecchia città. In fondo, quello spazio era sempre stato loro e lo rivogliono.
Se il conflitto è l’anima della vita, ma anche di una narrazione, allora è chiaro che questi diversi interessi non possono coesistere in pace per troppo tempo.
Il male, però, non ha un valore assoluto, come se fosse un concetto della matematica astratta. Il male, quello reale, è la sommatoria di piccoli e grandi mali che vengono perpetrati nella quotidianità. Ed è forse questo uno dei dettagli che più convince nel romanzo di Lorenzo Vargas: l’aver spezzato in qualche modo un angolo di uno schema e aver reso una storia, all’apparenza fantastica, lo specchio della realtà così come la sperimentiamo tutti i giorni della nostra vita. Gabriela, questa bambina che ha per amico un uomo a dir poco stravagante, il tal Neri, una bambina di otto anni la cui mamma non riesce a contenere e a comprendere, Gabriela ha un grande fiuto per le ingiustizie, e non le tollera.
Leggere La bambina di un milione di anni di Lorenzo Vargas produce qualche curiosità anche ipertestuale, per così dire, un’ipertestualità biografica. Vargas è uno degli autori del talent show promosso dalla Rai, Masterpiece, un esperimento che aveva fatto molto discutere alla sua prima e unica edizione. La conclusione più immediata che in tanti hanno tratto è che la scrittura non può essere uno show. Scrivere, e di conseguenza leggere, è ancora un’attività che richiede un tempo di esecuzione tutto suo. Una specie di albatro: quando spicca il volo, ovvero quando si crea e poi si gode del creato, è di una bellezza ipnotica. Sulla prua dei marinai dei format televisivi, la creazione incede in modo goffo, le manca qualcosa. E quel qualcosa è forse il tempo.
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È sempre il tempo l’elemento che permette a La bambina di un milione di anni di vedere il mondo per quello che è, di intuire i suoi fragili equilibri e quanto le somme siano più impetuose e più pericolose dei concetti astratti di assoluto. Ed è una lezione che l’uomo fatica ad apprendere.
Per la prima foto, copyright: Artur Aldyrkhanov su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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