L’ultimo racconto scritto da Virginia Woolf
Sono quarantacinque i racconti scritti da Virginia Woolf nell’arco della sua vita e in gran parte pubblicati postumi.
Oggi giungono in Italia per la prima volta in un unico volume, Lunedì o martedì, edito da Bompiani, e a opera di un solo traduttore: Mario Fortunato, che già si era cimentato con la traduzione di Mohamed Choukri, Patrick White ed Evelyn Waugh e autore dei recenti Le voci di Berlino, Tre giorni a Parigi e Noi tre, tutti editi da Bompiani.
Qui di seguito vi riportiamo, su gentile concessione dell’editore, l’ultimo racconto di Virginia Woolf, scritto a poco meno di un mese dalla sua morte, il 28 marzo 1941.
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La stazione balneare
Come tutte le piccole città di mare, era pervasa dall’odore di pesce. I negozi di souvenir erano pieni di conchiglie lucidate, dure e fragili al tempo stesso. Perfino la gente del luogo aveva un aspetto da conchiglia – un aspetto fatuo, come se l’animaletto che vi si annida fosse stato estratto dalla punta di uno spillo, lasciando soltanto il guscio esterno. I vecchi sul lungomare erano conchiglie. Le loro ghette, i calzoni da fantino, i loro binocoli parevano trasformarli in souvenir. Non potevano essere stati veri marinai o veri cavallerizzi più di quanto le conchiglie incollate sulle cornici dei portaritratti e degli specchi fossero state di casa nelle profondità marine. Anche le donne, con i loro pantaloni, le scarpe con i tacchi a spillo, le borse di raffia e le collane di perle, sembravano gusci di donne vere, che la mattina escono per fare la spesa.
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All’una in punto, questa fragile, lucida popolazione di crostacei si radunava al ristorante. Il ristorante aveva un odore di pesce, l’odore di un peschereccio che abbia tirato su le reti colme di sardine e aringhe. Il consumo di pesce in quella sala da pranzo doveva essere enorme. L’odore pervadeva perfino il locale sul mezzanino alla cui porta era scritto “Donne”. Solo una porta divideva il locale in due scompartimenti. Da un lato della porta, venivano soddisfatti i bisogni della natura; dall’altro, davanti al lavabo e allo specchio, la natura era sottoposta alla disciplina dell’arte.
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Tre giovani donne si trovavano in questa seconda fase del rituale quotidiano. Stavano esercitando il diritto a migliorare la natura, sottomettendola con i loro piumini da cipria e con piccoli dischetti rossi. Mentre lo facevano, chiacchieravano; ma le chiacchiere vennero interrotte come dal sorgere di una marea montante; quando la marea si ritirò, si udì che una di loro stava dicendo:
“A me lei non è mai piaciuta – quella smorfiosa… E a Bert non sono mai piaciute le donnone… Lo avete visto da quando è tornato? Con quegli occhi… così azzurri… Come due laghi… Anche Gert… Hanno gli stessi occhi, tutti e due… Ci puoi guardare dentro… Hanno pure gli stessi denti… Lui ha dei bellissimi denti bianchi… E anche Gert… Però i suoi sono un po’ storti… quando sorride…”
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Uno scroscio d’acqua. La marea spumeggiò, ritirandosi. Subito dopo si poté udire: “Ma dovrebbe stare più attento. Se lo beccano, rischia la corte marziale…” A questo punto, un altro scroscio d’acqua venne dallo scompartimento attiguo. La marea, alla stazione balneare, sembra avanzare e ritirarsi di continuo. Lascia scoperti questi pesciolini; poi li inonda. Un’altra volta si ritira, ed eccoli di nuovo, con quell’intenso e strano odore che sembra permeare il luogo intero. Ma di sera la piccola città appare piuttosto eterea. C’è un chiarore bianco all’orizzonte. Per le strade, orecchini e crinoline. La città affonda giù nell’acqua. E solo lo scheletro spicca nel cerchio fatato dei lampioni.
Copyright: 2017 Giunti Editore S.p.A. / BOMPIANI
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