L’inverno e quel magico racconto dell’attesa
Sulla copertina di Inverno. Il racconto dell'attesa una bella immagine innevataintroduce ed esprime il libro quasi "parlando" a chi lo guarda grazie alle atmosfere e alle sensazioni che emana.A scriverlo è Alessandro Vanoli, bolognese, storico di professione – esperto di area mediterranea e del rapporto fra questa e il mondo islamico, con alle spalle altri saggi, di cui qualcuno redatto insieme a importanti personalità della cultura italiana – che ci conduce idealmente per mano attraverso i secoli inun lungo viaggio intimo e intimista dentro il periodo più rigido dell'anno. Si tratta del primo volume di una collana inedita dedicata alle stagioni, pubblicato a ottobre 2018 da una casa editrice come Il Mulino, che ha fatto delle scienze sociali, giuridiche ed economiche, e della ricerca in generale, una bandiera.Non si pensi però a un testo inanellato da avvenimenti cronologici, a volte noiosi da leggere e difficili da memorizzare: è infatti un saggio dalla scrittura efficace e suggestiva, con la presenza insolita di molti dettagli personali. Come se gli scenari avessero influenzato lo stesso autore.
Pure la dedica, di solito poco citata, stavolta vale la pena ricordare, in quanto suggella in qualche modo lo scopo dell'opera:
«a mia moglie Silvia, per le stagioni che abbiamo trascorso e per quelle che aspettiamo».
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Infatti, il discorso di Vanoli è sì rivolto al passato, ma con uno sguardo attento al futuro per comprendere meglio il presente, il suo e il nostro.
«Il freddo è la chiave: cheimòn, l'antico nome greco dell'inverno, si porta dietro l'essenziale, la memoria del freddo. Quella memoria che sta nella radice indoeuropea, ancora più antica, him, che appunto vuol dire "freddo" e "gelo". Quella memoria sarebbe finita pure nel mondo romano, che l'inverno chiamò hiems e hibernum. A un passo ormai dall'italiano inverno ma anche della ben più terribile ibernazione».
È incredibile quanti fatti – battaglie, scoperte, nascita di sport all'inizio rudimentali e poi via via più moderni – siano avvenuti con temperature tali da paralizzare mani e piedi e intorpidire la mente; eppure è questa la prima cosa che balza agli occhidurante e al termine della lettura. Molte di queste vicende si conoscono bene, altre un po’meno, altre fanno talmente parte delle nostre vite che le diamo quasi per scontate, senza sapere quando siano accadute e perché.
Certo, dell'inverno più remoto, quello di cinquantamila anni fa sappiamo poco o nulla se non grazie alla rappresentazione difigure di caccia o di uomini e donne irriconoscibili o comunque molto diversi da quelli di oggi. Gli archeologi fanno sempre nuove scoperte in grado di rivelarci qualcosa di nuovo, ma sono troppi gli anni che ci separano. Forse, solo di una c'è certezza, ed è la storia della glaciazione, perché «ha fatto di noi quello che siamo, a spingere l'umanità alla conquista del mondo».
Le stagioni, all'interno di un percorso storico, hanno condizionato e condizionano, nel bene e nel male, le abitudini e gli stili di vita delle persone; e al centro del percorso invernale c'è il Natale, spiegato a più riprese dallo scrittore sia come fenomeno sociale che come fenomeno religioso, e il carnevale – con le sue maschere pagane le cui radici sono molto antiche – preludio di una fase diversa.
«Perché il Natale è tante cose assieme:è una festa del rinnovamento del mondo, una festa del solstizio e uan festa al centro della storia cristiana. Tutte queste cose convivono da sempre senza troppi problemi, senza particolari inganni e ipocrisie, perché le feste, quelle vere, sono fatte così: parlano sempre al profondo della nostra storia, ci raccontano le nostre radici; quelle che neanche ricordiamo più, ma che in modo misterioso continuano a parlarci».
Fondamentali sul filo narrativo sono le origini della «tradizione». Con l'avvento della Rivoluzione industriale e delle prime famiglie borghesi provenienti dal ricco Nord Europa nasconouna nuova identità e un concetto differente di popoli e Nazioni. Così molte cose sono andate mutando, tra l'arrivo delle fiabe e dei giocattoli, e il personaggio di Santa Claus, che in breve travalicò i confini americani – con i suoi colori rosso accesi ripresi dalla Coca-Cola in seguito a uno spot pubblicitario e da cui nacque la falsa credenza che Babbo Natale fosseun'invenzione della bevanda – e poi la musica, grazie alla qualesi è iniziato a viaggiare con la fantasia tra le note di Sogni d'inverno di Čajkovskij o quelle di Vivaldi, e i balletti (uno su tutti: Lo schiaccianoci). Questo non significa, però, che sia soloconsumismo, perché l'autore spiega che dietro tutto questo c'è ben altro: «uno storico sa che pochi secoli non sono mai la fine del mondo; ma sono sufficienti per creare idee, abitudini, convinzioni che poi crediamo eterne».
Una tappa fondamentale che non tarda a raggiungersi è poi il «gusto della vacanza» con la necessità di spensieratezza unita alla voglia di dedicarsi ad attività di svago, come quelle sportive. Si pensi solo al pattinaggio, inteso più come «rito sociale», a cui è dedicato un capitolo apposito e separato, nel testo, dagli altri sport invernali.
La tecnologia ha fatto il resto e il "generale inverno" è divenuto sempre più caldo, sinonimo di focolare domestico, soprattutto per chi poteva e può permettersi il riscaldamento. L'epoca dei monaci benedettini intirizziti nelle loro vesti semplici e leggere con solo una candela per pregare è ormai lontana.
Le guerre, invece, non sono così lontane nel tempo,con i tanti morti che perirono a causa del gelo, che rese tutto più terribile. Mario Rigoni Stern sopravvisse a quel freddo e parlò per quelli che non ce la fecero attraverso le pagine dirompenti de Il sergente della neve.
A proposito di letteratura, molte storiearrivanoa noi più fortie intenseproprio perché ambientatein inverno: in Anna Karenina di Tolstoj, fu proprio una tormenta galeotta per l'incontro fatale fra i due protagonisti, per non parlare delle ambientazioni del Dottor Živago di Boris Pasternak, giunte ancora più manifeste con l'adattamento cinematografico del 1965, vincitore di cinque Premi Oscar. Viene ricordato anche il poeta Puškin, il quale con i versi di Mattino invernale si rivolgeva a una donna con cui aveva trascorso la notte e celebrava «l’inverno come estasi dei sensi e del ricordo». Se c'è un Paese che ha fatto delle sue temperature tutt'altro che miti un vero inno, si può ben dire che sia la Russia.
Emblematiche sono infine le esplorazioni dei poli: ci provarono in tanti spinti dal desiderio di scoperta e dalla ferrea volontà di progredire, ma il ritratto più appassionato che Vanoli fa è quello di Robert Scott e Roald Amundsen e delle loro spedizioni nel primo Novecento. Insieme alle sofferenze che patirono sui ghiacci, infatti, dimostrano quanto l'umanità ha avuto, e ha tuttora bisogno di uomini coraggiosi per evolversi.
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A impreziosire Inverno. Il racconto dell'attesa ci sono a metà del testo alcune immagini di dipinti, incantevoli come il tema che raffigurano, di artisti di fama come Monet o Chagall, conservati nei più famosi musei del mondo.
Inverno come metafora di vita, ma anche di "sospensione di vita", di quell'intimità e quel raccoglimento necessari al corpo e allo spirito, imparando a stare soli e a vivere ritmi più lenti, in preparazione di un divenire; proprio come gli animali, il cui letargo è essenziale, bisognosi di un caldo rifugio ma pronti e rinnovati per affrontare quello che la natura riserverà loro.
Come osserva Alessandro Vanoli nella postfazione, con un tono solenne che sa di profezia:
«Raccontare l'inverno è raccontare una grandiosa storia di attesa e trasformazione».
Per la prima foto, copyright: Aaron Burden su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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