“L’intestino felice” di Giulia Enders: alla scoperta dell’organo meno conosciuto del nostro corpo
L’intestino felice di Giulia Enders (Sonzogno editore, traduzione a cura di Paola Bertante) è una scommessa. Ed è facile indovinare che lo sia stata fin dal principio, dall’idea di scrivere un libro sulla «cacca», perché se l’intestino è uno degli organi meno conosciuti del nostro corpo – come recita il sottotitolo – certo non lo è per indifferenza o noncuranza verso l’argomento, ma per una certa forma, il più delle volte mal dissimulata, di pudore (o è proprio vergogna?) nel parlare di funzioni considerate poco nobili del corpo umano (che per altri versi è un sistema ingegnoso).
D’altra parte, è la stessa giovanissima (appena venticinque anni) autrice a dichiararlo nella prefazione: «[…] avevo sempre considerato l’argomento un po’ disgustoso e imbarazzante», finché un coinquilino non le ha chiesto: «Giulia, tu che studi medicina, mi spieghi come funziona la cacca?», domanda che è finita pari pari nel primo sotto-capitolo con l’aggiunta di un: «… e perché vale la pena domandarselo. Mi siedo correttamente sul water?».
Ed ecco che siamo ritornati alla scommessa, quella di richiamare l’attenzione, attraverso la scrittura, su un soggetto in apparenza privo di fascino narrativo. Come si vince? Con una buona dose di sano umorismo – da questo non si prescinde – ma anche con una disponibilità del testo a farsi metabolizzare con intelligibilità, chiarezza e agevolezza a cui cooperano scelte linguistiche toniche (nel senso di dinamiche e rivitalizzanti), immagini (a cura di Jill Enders) simpatiche e, soprattutto, attraverso lo stimolo continuo della curiosità del lettore che si trasforma abbastanza facilmente in interesse quando, man mano che il libro passa da un argomento all’altro (dal perché ingrassiamo alle intolleranze alimentari; dalle forme e funzioni intestinali al macrocosmo dei batteri), diventa difficile rinunciare a conoscere qualcosa che rappresenta una porzione affatto secondaria della nostra vita. Soprattutto dacché ci viene data l’occasione per esplorarlo in modo tanto semplice eppure non banale. Del resto, Giulia Enders è molto giovane, è vero, ma è pur sempre una gastroenterologa, una specialista che tuttavia tratta la “sua” materia più come esperienza che come qualifica.
Incontrata durante l’ultimo Salone Internazionale del Libro di Torino, ha risposto con molta consapevolezza alle nostre domande, rafforzando il senso di essere in presenza non tanto dell’ennesimo fenomeno editoriale (quantunque best seller pubblicato in mezzo mondo), quanto di un modello genuino di fare scrittura divulgativa senza l’enfasi o la retorica del caso.
Seriamente, si aspettava questo successo internazionale scrivendo un libro su… chiedo scusa, «la cacca». E come se lo spiega?
In realtà, in fase di stesura del libro non ho mai pensato al successo che avrei avuto. Mi interessava piuttosto trasmettere, nel migliore dei modi, i contenuti; perciò rileggevo, rivedevo, testavo ogni volta quello che scrivevo. Per quanto riguarda il successo, stando ai feedback ricevuti dai lettori, forse risiede nella nuova prospettiva che chi si accosta al testo assume rispetto al proprio corpo, perché un organo che un tempo era un perfetto sconosciuto, persino imbarazzante, ora è diventato un organo che suscita grande curiosità e fascino, un organo a cui essere anche grati.
Vuole parlarci della regola dei tre giorni? Personalmente sono cresciuta con un nonno molto intransigente al riguardo… («Condizione normale: un terzo del colon si svuota e si riempie entro il giorno dopo. Dopo l’assunzione di un lassativo: tutto il colon si svuota e possono passare anche tre giorni prima che si riempia di nuovo» Ergo: la regola sarebbe evacuare una volta al giorno ma se si prendono lassativi, allora possiamo lasciar passare tre giorni prima di riprendere una corretta funzionalità intestinale).
Fantastico! A me questa regola è stata dettata da uno dei miei insegnanti durante una lezione e l’ho trovata molto affascinante. Avevo ventitré anni e mi sono detta: “Caspita! Io l’apprendo solo ora e perché sto studiando medicina: perché non dovrebbero saperlo tutti?”. E invece suo nonno lo sapeva già!
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Parliamo del rapporto tra intestino e cervello: ho sempre pensato che abbiano una relazione complicata, sotto il profilo biologico ma anche metaforico. Ce la vuole illustrare?
Noi abbiamo dei modelli biologici che testimoniano come una parte del sistema nervoso dell’intestino si sia spostato verso l’alto andando a formare il cervello. E questo ha ricadute in molti ambiti della nostra vita quotidiana: quando affrontiamo uno stress e sentiamo nausea o mal di pancia, ci rendiamo conto davvero di come l’intestino sia in grado di determinare il nostro benessere.
Si tratta, con ogni probabilità, di un mio pregiudizio ma, a proposito di intolleranze alimentari, ho l’impressione che il loro aumento al giorno d’oggi non abbia sempre un’origine clinica e che siano, piuttosto, una sorta di trend, di moda, magari influenzata anche dall’industria alimentare: quasi ogni prodotto ha la sua versione senza glutine, senza lattosio, senza zucchero. E devono pur vendersi. A suo giudizio, queste cosiddette intolleranze, sono tutte vere o sono influenzate da altri fattori, extra-fisiologici?
In realtà i fattori sono diversi. Innanzitutto la diagnostica è migliorata molto, di conseguenza è molto più facile scoprire determinati disturbi o patologie. In secondo luogo non siamo più disposti ad accettare il dolore come in passato e questo ci porta a essere più sensibili ma anche più diffidenti nei confronti del nostro corpo. È anche vero, però, che mai nella Storia si era avuto un cambiamento così radicale nell’alimentazione come adesso. Abbiamo dovuto modificare molti alimenti, come il grano, che è molto diverso rispetto a quanto non fosse sessant’anni fa, avendo dovuto apportare dei cambiamenti per poterne raccogliere una quantità maggiore. Stesso discorso per il fruttosio, che consumiamo in quantità superiori rispetto alle generazioni precedenti, ma il fruttosio è già contenuto in molti degli alimenti di cui ci nutriamo. E poi molto è cambiato anche per quanto riguarda i batteri: gli antibioticiche ci vengono somministrati fin da piccoli sono spesso all’origine dell’irritabilità del nostro intestino. Tutto questo è causa di malessere per molte persone e a queste persone noi dobbiamo rivolgere la nostra attenzione; quindi non credo che sia una tendenza o una moda, credo piuttosto che moda si potrebbe definire il considerare meno il proprio corpo e dedicargli meno attenzioni. Forse l’industria alimentare approfitta pure di questa situazione, però se la gente non volesse comprare certi prodotti, non li comprerebbe; se lo fa è perché avverte determinate esigenze. Talvolta, il problema riguarda le quantità piuttosto che l’ingrediente incriminato: un’intolleranza al lattosio, per esempio, non implica rinunciare del tutto agli alimenti che contengono questa sostanza, basterebbe moderarne il consumo.
Qui in Italia, questo è l’anno dell’Expo, che è interamente dedicato all’alimentazione. Pensa davvero che un singolo evento, per quanto di risonanza globale, possa essere d’aiuto nell’educare la gente a mangiare sano e ad alimentarsi correttamente?
Lo spero. Io stessa andrò a visitare l’Expo a Milano e magari sarò in grado di dire di più. Indubbiamente rientra tra quegli eventi che hanno effetti sulle persone. Ora, il maggiore effetto auspicabile è quello che ognuno percepisce su se stesso e il proprio corpo, ovvero fare più attenzione alla propria pancia, agli orari in cui si mangia, rendersi conto della necessità di alimentarsi in modo più equilibrato. L’Expo può fornire molti spunti in questo senso.
Uno spunto in più? Leggere il libro di Giulia Enders e trovare la propria ricetta per l’intestino felice. Certo, messa così può ricordare uno spot pubblicitario, ma chi l’ha detto che un libro non possa avere proprietà benefiche pari o addirittura superiori a quelle di uno yogurt?
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