L'imprevedibile caso del bambino alla finestra. Intervista a Lisa Thompson
Arriva in Italia L'imprevedibile caso del bambino alla finestra, (De Agostini, 2018 – traduzione di Valentina Zaffagnini), un interessante libro per ragazzi scritto da Lisa Thompson e illustrato da Mike Lowery, che si può collocare in quel fortunato filone di romanzi, scritti per sottoporre all'attenzione dei lettori più giovani i problemi di chi è costretto a convivere con varie forme di disabilità, fisica o psichica, che annovera grandi successi come Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Wonder, Melody.
Matthew, il narratore della storia, ha dodici anni e vive con i genitori in un piccolo quartiere suburbano inglese, costituito da una manciata di abitazioni affacciate su una strada chiusa, dove tutti gli abitanti si conoscono tra loro. In particolare, Matthew registra minuziosamente le abitudini dei vicini, che può osservare dalla finestra della sua stanza, dove da un po' di tempo trascorre tutte le sue giornate perché ossessionato dal terrore di contrarre malattie. Vittima di un disturbo ossessivo-compulsivo, si lava in continuazione, mangia solo pochi cibi sterilizzati e consuma litri di detergenti per pulire e ripulire tutto ciò con cui viene in contatto.
Mentre i genitori cercano di convincerlo a farsi curare, il nipotino di un anziano vicino di casa scompare senza lasciare tracce: dai riscontri della polizia, emerge che Matthew è stato l'ultimo a vederlo, dalla finestra della sua camera, prima che sparisse nel nulla.
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Le ricerche del bambino non hanno successo, non ci sono richieste di riscatto e la polizia brancola nel buio: tuttavia, questo evento imprevisto finisce per obbligare Matthew a fare i conti con la realtà da cui cerca di isolarsi, fino a fargli prendere lentamente coscienza della propria condizione patologica.
Con L'imprevedibile caso del bambino alla finestra Lisa Thompson, autrice di altri romanzi per bambini che affrontano tematiche simili, viene pubblicata per la prima volta in Italia e abbiamo potuto intervistarla in occasione del suo passaggio da Milano.
Come mai ha deciso di costruire la sua storia attorno a un tema così delicato come il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) in un bambino?
In realtà non sapevo molto di questa patologia, ma tempo fa avevo scritto un racconto a proposito di un bambino che aveva delle paure, tra cui quella di non voler lasciare la propria stanza.
In seguito mi è capitato di vedere in tv un documentario che spiegava in modo dettagliato il DOC, di cui non conoscevo tutti gli aspetti. Quando poi ho deciso di passare dal racconto a un romanzo vero e proprio, ho pensato di inserire questo problema nella storia per istruire i miei lettori, un po' come il documentario aveva fatto con me, perché ho scoperto che colpisce molti più adolescenti di quanti si possa immaginare. Speravo di farla comprendere più in dettaglio, evitando che venisse sottovalutata.
Matthew vive in un microcosmo, perché oltre a chiudersi nella sua stanza il luogo in cui vive con la famiglia è composto da poche case e poche persone. Quali sono per lei pregi e difetti del vivere in una comunità così ristretta?
Mi sono trasferita da poco tempo a vivere in un villaggio, per cui posso dire che questi microcosmi hanno senz'altro aspetti negativi: tutti guardano la tua auto parcheggiata e sanno quando sei partito o arrivato, sanno sempre quello che fai e come lo fai, la privacy in pratica non esiste! Però tra vicini nasce anche un senso della comunità, da cui si sviluppano amicizia e solidarietà. Matthew, dalla sua finestra, guarda e giudica tutti, ma impara pure che certi giudizi possono essere sbagliati e che la comunità può essere importante.
Libri come il suo, come Wonder o Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, che hanno avuto tanto successo negli ultimi anni, possono operare su due fronti: aiutare chi soffre una malattia a sentirsi meno solo, ma anche far conoscere agli altri i problemi dei malati. In questo senso, ha ottenuto dei riscontri positivi dai suoi lettori?
Sì, certo. In principio ero un po' preoccupata, perché temevo di aver scritto un libro basandomi su di un argomento che forse non conoscevo abbastanza, ma poi ho ricevuto messaggi sia da persone affette dal DOC, sia da coloro che devono vivere accanto a esse. Il riscontro più importante mi è arrivato da un bambino che mi ha scritto «leggendo il tuo libro sono riuscito a capire meglio mia mamma, che è affetta da questa stessa malattia». Credo di aver colpito maggiormente i lettori perché il libro è scritto in prima persona: quando tu, da narratore, racconti una storia in prima persona, riesci a trasmettere meglio il tuo messaggio.
La mia impressione da lettrice è che i genitori di Matthew, nel romanzo, non riescano a gestire molto bene la malattia del figlio, che ne siano in qualche modo sopraffatti. Lei come si comporterebbe in una situazione del genere?
Al posto loro penso mi sarei comportata un po' in entrambi i modi adottati dai personaggi: da mamma, come la madre avrei cercato di proteggere il più possibile mio figlio dai danni che queste ossessioni comportano, ma condivido anche la perplessità del padre che non riesce proprio a comprendere il modo di agire di Matthew. Questo, però, sarebbe accaduto prima di informarmi meglio sulla malattia, come ho fatto per scrivere il libro, cosa che mi avrebbe portato ad agire in modo più consapevole. Ho preferito descrivere i genitori di Matthew come una coppia normale che si ritrova del tutto impreparata ad affrontare una malattia di questo tipo, così complessa.
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Continuerà a scrivere per i bambini o cambierà genere e scriverà qualcosa per gli adulti?
Per ora penso che continuerò a scrivere per i bambini e ho già un nuovo progetto. Però, almeno nella mia testa, l'intenzione di scrivere un romanzo per gli adulti c'è già: ho in mente un thriller psicologico piuttosto dark, ma confesso che mi piacerebbe anche scrivere una sceneggiatura per il cinema.
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Per la prima foto, copyright: Joel Overbeck.
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