L’elogio della diversità. Intervista a Elena Mearini
Pubblicato da Giulio Persone Editore, si intitola Felice all’infinito il libro di Elena Mearini che ci incanta con una storia dai sapori semplici ma profondi e penetranti, esattamente come sono tutte le cose belle della vita.
Felice è il nome di un ragazzino che frequenta le medie, viene bullizzato dai compagni, vive con la mamma e la nonna, ed è segretamente innamorato di una compagna bella, gentile e buona, ma che sembra irraggiungibile. L’infinito, invece, è uno stato di cose, un’essenza delle cose che si manifesta in determinate circostanze e ha il potere, una volta incontrati gli umani, di renderli migliori, meno agguerriti, quasi più felici.
Bilanciare gli elementi per raggiungere l’infinito è un’arte, un lavoro duro ma possibile, anzi è un obiettivo di cui Felice diventa consapevole quando deve fare i conti con un evento che gli mostra quanto possono essere cattive le persone.
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Il ragazzo è sorprendente. Nonostante la vita, le sofferenze, la derisione e l’essere chiamato l’Alieno da parte dei compagni di classe, lui trova sempre un modo per trasformare il nero, l’assenza di colore, in bianco, nella totalità dello spettro luminoso. Felice trasforma la rabbia degli altri in tolleranza racchiudendo l’infinito tra le pieghe di fagottini salati e dolci. È una passione che gli ha trasmesso la nonna ed è ciò che, in qualche modo, gli permetterà di cambiare la propria realtà.
In occasione dell’uscita del libro, l’autrice ci ha svelato qualche dettaglio che si cela dietro alla stesura di Felice all’infinito.
In che misura le passioni possono essere ancore di salvezza?
Le passioni hanno la forza della fede, ci portano a credere nonostante l’incertezza e il dubbio del tutto. Sono salvezza perché rappresentano l’orizzonte indelebile, la linea di partenza per un altro domani ancora. Chi vive una passione ha il privilegio di uno sguardo innamorato, capace di scorgere bellezza tra le rovine.
Quanto è importante conoscere il proprio posto e non essere un fiore nella cuccia di un cane, per citare Felice?
Il posto giusto per sé ci permette di aderire alla nostra natura, seguire le nostre attitudini, coltivare i sogni esatti nella porzione di terra che ci sorregge, prendercene cura e osservarli crescere. Il proprio posto nel mondo è utile a non perdere mai di vista chi siamo e cosa vogliamo.
Che cosa vuole insegnarci Felice all’infinito?
Che sentirsi “diversi” o essere percepiti come tali non significa portare in sé uno sbaglio o un errore, ma uno sguardo inedito sulle cose, capace di mettere a fuoco nuove ipotesi di esistenza. Il “diverso” è colui che più di tutti possiede lo strumento della creazione, l’occhio unico, irripetibile.
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Afferma Felice: per essere umani serve fare anche qualcosa di cattivo, altrimenti nella bontà perfetta si è degli alieni. Ho trovato il pensiero di una profondità e semplicità sublimi. Anche lei pensa, come Felice, che cattiveria e umanità vanno di pari passo?
Sì, dobbiamo esperire anche il lato oscuro che ci appartiene, abitarlo, conoscerlo in quanto nostro, per poi essere in grado di domarlo e non lasciare che prenda il sopravvento. Un grande capolavoro della letteratura, Il signore delle mosche di Golding, ci insegna assai bene questo concetto.
A dare senza chiedere nulla in cambio si è più simili alle stelle che agli umani, dice. Non è una vision un po’ troppo pessimista dell’animo umano?
No, non credo sia una visione pessimistica ma aderente alla realtà. L’uomo ha bisogno della restituzione in qualche modo, non può prescindere da essa. Ammettere questa urgenza equivale anche a prendere maggiore coscienza dei propri limiti, della propria natura. Vuole dire conoscersi, nel bene e nel male.
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C’è soluzione al bullismo, secondo lei? E, in caso affermativo, quale potrebbe essere?
Non possiamo prescindere dalla convivenza con il male, quindi fenomeni come questi sono arginabili ma non estirpabili in maniera definitiva. Credo sia fondamentale educare i ragazzi alla caduta, insegnare loro che toccare terra non è una colpa néuna vergogna. Elogiare inoltre la fragilità, mostrarla come umanissima fonte di bellezza e creatività, non diminuirla né offenderla mai.
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