L’amore raccontato da un uomo. Intervista a Diego Galdino
Torna in libreria con L’ultimo caffè della sera (Sperling & Kupfer), Diego Galdino. E lo fa a distanza di quattro anni dal suo romanzo d’esordio, Il primo caffè del mattino. Un romanzo che sembra chiudere il cerchio rispetto al precedente, tenendo al centro però il bar, Roma e l’amore, che sembrano una costante delle opere di Galdino.
Proprio da questo siamo partiti per la nostra intervista all’autore.
Dal suo esordio con Il primo caffè del mattino a L’ultimo caffè della sera sono trascorsi quattro anni. Come sono cambiati nel frattempo la sua scrittura e il suo approccio al romanzo?
L’ultimo caffè della sera è il quinto romanzo che ho avuto la fortuna di pubblicare con il Gruppo Mondadori, di sicuro a ogni romanzo sono migliorato come scrittore, il mio stile si è fatto più fluido, ricercato, anche se la partenza resta istintiva, la seconda stesura ora è più ragionata. Credo di non essere riuscito ancora a esprimere il mio massimo, questo mi dà la consepevolezza di non potermi considerare uno scrittore arrivato. Nella vita si può sempre fare meglio e per me ogni nuovo romanzo è una sfida a scriverne uno più bello di quello precedente.
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Una domanda quasi d’obbligo: cosa rappresentano per lei e per i clienti del suo bar il primo caffè del mattino e l’ultimo della sera?
Per i clienti del mio bar poco o nulla, quasi tutti i personaggi dei miei due romanzi non li hanno letti e aspettano il film per sapere come vada a finire la storia. A parte le battute, in particolare L’ultimo caffè della sera, per me rappresenta qualcosa di estrememente importante, una linea di confine tra le mie due vite. In realtà non era previsto che io scrivessi il seguito de Il primo caffè del mattino, non sono un amante dei seguiti, preferisco da sempre cimentarmi in storie autoconclusive. Ma negli ultimi anni mi sono capitate un sacco di cose brutte, o almeno non belle, che hanno stravolto la mia vita e il bar di famiglia che poi è la stessa cosa. Così ho deciso di scrivere L'ultimo caffè della sera, come dico sempre: per rendere leggendario l’ordinario, perché di bar dove bere il caffè ce ne sono tantissimi e in tutto il mondo, ma come quello dove sono nato e ancora oggi continuo a fare i caffè credo ce ne siano pochissimi. Anch’io come Massimo, il protagonista de Il primo caffè del mattino, ho perso un grande amico, un secondo padre. È stata una perdita, come accade nel mio nuovo romanzo, improvvisa, destabilizzante, per me e per il bar. Qualche mese dopo anche mio padre, quello vero, si è ammalato gravemente. Così sono rimasto da solo, sia fuori, che dietro il bancone del bar. A quel punto, sono dovute cambiare tante cose, ho dovuto reinventarmi e per non perdere i ricordi e le persone, ho deciso di scrivere questo libro mettendoci dentro tutto, le battute e gli aneddoti che per me erano familiari, erano casa, aggiungendoci ciò che mi rende lo scrittore che sono... l'amore.
Roma sembra quasi uno dei protagonisti dei suoi libri. Che ruolo occupa nella sua vita e nella sua scrittura? Come vive questo momento che molti considerano di decadimento della città?
Roma ti aspetta sempre come fossi di casa, non ti dice “Buongiorno”, ma “Ciao”. T’invita a prendere un caffè, uno di quelli che come i diamanti sono per sempre. Roma mi ha portato a passeggiare sull’Aventino, uno dei sette colli della città eterna. Passando dalla bocca della verità, al Circo Massimo, riposandosi qualche minuto nel roseto comunale, dove a maggio si possono ammirare centinaia di rose diverse, per poi proseguire attraverso le abbazie medievali più belle e importanti di Roma, dove, nel silenzio e nella luce che filtra attraverso i rosoni colorati delle finestre, capisci il vero significato della fede. Per arrivare infine in uno dei giardini più belli del mondo: Il giardino degli aranci da cui, dopo aver levitato tra decine di alberi di arance, si può ammirare uno di quei panorami che ti fanno chiedere “Ma allora è così il paradiso” e scoprire invece che ne è solo la porta, quella del Priorato di Malta da cui dal buco della serratura si vede la cupola di San Pietro. Roma non ha significato nella mia vita, Roma è la mia vita.
Vivere Roma da turista è diverso dal viverla di chi ci vive ogni giorno da tutta la vita. Io cerco di regalare ai miei lettori la civis romana, la possibilità di sentirsi romano per il tempo di una storia e di continuare a esserlo nel cuore anche dopo aver chiuso il libro.L’ultimo caffè della seracome Il primo caffè del mattino parla di questo… E del caffè e dell’amore che il protagonista del libro credeva di aver perso e che invece è ritornato, forse per non lasciarlo mai più e del mio amore per Roma che non ha bisogno di ritornare perché non andrà da nessuna parte, resterà per sempre fisso nel mio cuore come le stelle nel cielo. Roma fin dalla sua nascita è sempre stata un po’ decadente, anche quando era al massimo del suo splendore, è un po’ nel suo Dna esserlo, in ogni epoca, per motivi diversi, o sempre gli stessi. Ma la città perfetta forse non esiste, se non nell’opera Città ideale, ma nel celebre dipinto una passeggiata al tramonto per le vie di Trastevere te la sogni.
Che rapporto c’è tra i personaggi dei suoi romanzi e gli avventori del suo bar? In che modo gestisce la relazione con questi ultimi rispetto a un’eventuale ispirazione?
Il rapporto è praticamenete diretto, perché tutti i personaggi dei miei due romanzi dedicati al caffè esistono realmente e a ognuno di loro, come fa il protagonista delle mie storie, preparo il caffè tutte le mattine. Di sicuro sia ne Il primo caffè del mattino che ne L’ultimo caffè della sera, forse il mio romanzo più autobiografico, l’ispirazione me l’hanno data tutte quelle persone che nel corso degli anni sono gravitate nel mio bar di famiglia. Negli altri tre romanzi, invece, l’ispirazione mi è arrivata da immagini o da video di posti in cui ho cercato d’immaginare i miei personaggi, le mie storie d’amore.
L’amore occupa un posto importante anche ne L’ultimo caffè della sera. Perché, ancora oggi, milioni di lettori si lasciano affascinare da quest’argomento? È un processo di immedesimazione o c’è anche dell’altro?
Credo che ognuno di noi abbia bisogno di una bolla di felicità, di serenità, in cui rifugiarsi per qualche ora. Di vivere come diceva il grande Umberto Eco tante vite oltre alla nostra leggendo una bella storia. Per l’amore credo che valga un po’ la stessa cosa. La relazione perfetta, il sentimento amoroso senza alcuna falla, di questi tempi sembra difficile da trovare, da vivere, di storie d’amore in stile Le pagine della nostra vita nella realtà sembrano essere diventate come quelle comete che passano una volta ogni cento anni. Adesso quando senti di una coppia che festeggia i venticinque anni di matrimonio strabuzzi gli occhi e ti verrebbe voglia di metterli in un museo di storia naturale, venticinque anni di un sentimento che non è mai calato d’intensità, capace di mantenere al caldo i cuori con una fiamma bella alta che non si è mai spenta, sembra una roba fantasy o di fantascienza. Io credo che tutti, nessuno escluso, abbiano bisogno di vivere una storia da romanzo, anzi tutti meriterebbero di viverla almeno una volta nella vita… Nel frattempo che ciò accada, si cerca di vivere l’amore leggendo i romanzi, possibilmente quelli che finiscono bene.
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Lei è stato definito il Nicholas Sparks italiano. Cosa la lusinga di questo confronto? Cosa invece la lascia un po’ perplesso?
Finché sono gli altri a dirmelo e a esserne convinti io non me ne preoccupo, sarei più preoccupato se fossi io stesso a esserne convinto e ad affermarlo. Essere considerato il Nicholas Sparks italiano è molto lusinghiero, ma soprattutto è una bella responsabilità, stiamo parlando del più importante scrittore di romanzi d’amore al mondo e al momento i numeri e i film tratti dai suoi libri attestano che lui è di un altro pianeta, un maestro per chi come me si cimenta nel genere romantico. Di sicuro entrambi scriviamo storie che cercano di emozionare i lettori, facendo leva sul sentimento più bello e importante. La prima volta che ci siamo incontrati durante un suo firma copie a Milano io avevo appena firmato il contratto con la Sperling & Kupfer, la stessa casa editrice che pubblicava i suoi romanzi in Italia, e lui quel giorno mi pronosticò un luminoso futuro letterario. Sono contento di non averlo smentito. Ciò che invece mi lascia perplesso è come sia buffo il destino, quando ho iniziato a scrivere romanzi d’amore mi chiedevo se sarei mai stato in grado di scrivere romanzi d’amore belli come quelli di Nicholas Sparks, a distanzi di anni da quella riflessione, mi ritrovo a essere letto in otto Paesi europei, in Sudamenrica e ad essere definito il Nicholas Sparks italiano in ogni paese in cui sono stato pubblicato.
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Per la prima foto, copyright: Mandy von Stahl.
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