Kafka racconta il potere della musica e dell’arte a un giovane amico
Nell’estate del 1922, Franz Kafka trascorse un periodo in compagnia del suo giovane amico Gustav Janouch col quale intrattenne conversazioni (raccolte da Janouch nel volume Conversazioni con Kafka) sugli argomenti più disparati.
Durante una passeggiata, i due si soffermano a parlare sulla musica, che il ventisettenne Gustav desiderava ardentemente studiare nonostante il divieto di suo padre. Kafka dice al giovane amico:
La musica è il suono dell’anima, la voce diretta del mondo soggettivo.
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In una conversazione successiva, quando Gustav farà leggere al suo mentore un racconto intitolato La musica del silenzio, Kafka esprime una sua teoria su come la musica sia un incantesimo per l’anima:
Tutto ciò che vive è in un flusso. Tutto ciò che vive emette un suono. Ma noi ne percepiamo solo una parte. Non sentiamo la circolazione del sangue, la crescita e il decadimento dei tessuti del nostro corpo, il suono dei nostri processi chimici. Ma le nostre delicate cellule organiche, le fibre del cervello e i nervi, e la pelle sono impregnati di questi suoni inudibili. Vibrano in risposta al loro ambiente. Questo è il fondamento del potere della musica. Noi possiamo liberare queste profonde vibrazioni emotive. Per farlo adoperiamo gli strumenti musicali, nei quali il fattore decisivo è la potenzialità del loro suono interiore. Vale a dire: quello che è decisivo non è la forza del suono, o il colore tonale, ma il suo carattere nascosto, l’intensità con cui il suo potere musicale impatta sui nervi. [La musica] deve… elevare nella coscienza umana le vibrazioni che altrimenti non possono essere udite né percepite… [portare] il silenzio in vita… scoprire il suono nascosto del silenzio.
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In un’altra conversazione prende in considerazione le somiglianze e le differenze tra la musica e la poesia:
La musica crea piaceri nuovi, più sottili, più complicati, e perciò più pericolosi… Ma la poesia mira a chiarire la natura selvaggia dei piaceri, ad analizzarli, a purificarli e perciò a umanizzarli. La musica è un moltiplicatore della vita dei sensi; la poesia, d’altro canto, la disciplina e la eleva.
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E ancora Kafka:
La musica per me è piuttosto come il mare… Sono sopraffatto, stupito, affascinato, eppure impaurito, così terribilmente impaurito del suo essere senza fine. Sono infatti un pessimo marinaio.
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Quando Gustav si lamenta del divieto di suo padre e si chiede se avere una propria testa gli dia il diritto di disobbedire al genitore e seguire la sua passione, Kafka estende la questione in una più ampia meditazione sul perché gli artisti seguono la via dell’arte:
Usare la propria testa è spesso il modo più semplice per perderla… Ovviamente, non dico niente contro i tuoi studi di musica. Al contrario!... Le uniche passioni forti e profonde sono quelle che superano la prova della ragione… Alla base di ogni arte c’è la passione. Ecco perché tu combatti e soffri per la tua musica… Ma nell’arte la strada è sempre questa. Bisogna buttare via la propria vita per meritarsela.
In un’altra conversazione, ritorna sull’argomento e paragona i sacrifici dell’arte a quelli della devozione religiosa:
La preghiera e l’arte sono atti appassionati della volontà. Si vogliono trascendere e rafforzare le normali possibilità della volontà. L’arte come la preghiera è una mano distesa nel buio, alla ricerca di un qualche tocco di grazia che la trasformi in una mano che concede doni. Pregare significa portarsi dentro il miracoloso arcobaleno che si estende tra il divenire e il morire, per essere del tutto consumato in esso, al fine di portare il suo infinito splendore a letto nella piccola fragile culla della propria esistenza.
Fonte delle citazioni: BrainPickings.org.
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