Intervista a Simon Scarrow, l’attualità della storia romana
È da poco in libreria con un nuovo romanzo, Simon Scarrow.
Incentrato sempre sulla storia dell’Impero Romano e sulle figure del tribuno Catone e del centurione Macrone, Il traditore di Roma (Newton Compton, traduzione di Andrea Russo) è il diciottesimo volume della saga Eagles of the Empire. E proprio da quei siamo partiti per la nostra chiacchierata con uno dei maggiori autori inglesi di romanzi storici.
Il traditore di Roma è il diciottesimo romanzo della saga Eagles of the Empire, che ha avuto inizio nel 2000. Com’è cambiato il suo approccio alla narrazione negli ultimi venti anni?
Credo che il cambiamento maggiore sia derivato dal fatto che man mano che la serie procedeva sono diventato sempre più preso dai personaggi. Macrone e Catone sono come vecchi amici per me ed è sempre un piacere trascorrere del tempo in loro compagnia quando mi siedo per scrivere un libro. Sono anche più concentrato sul mettere in evidenza i parallelismi tra eventi e personalità del mondo antico e quelli del nostro tempo. Volti e nomi possono cambiare ma le stesse motivazioni sono alla base del comportamento delle persone nel corso dei secoli. In questo senso, sono giunto a comprendere che, come la fantascienza, anche il romanzo storico parla davvero del presente, anche se ai lettori piace rifugiarsi nel passato!
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Quasi tutti i suoi romanzi storici sono dedicati all’Impero Romano. Quali caratteristiche di questo periodo l’affascinano di più?
C’è qualcosa nella storia romana che la rende più vicina al presente della maggior parte delle epoche storiche successive. Di conseguenza, serve come un promemoria del fatto che non sempre la storia è un cammino di progresso. Roma ha una popolazione di circa un milione di persone, una cifra che è scesa a circa quindicimila abitanti entro il quindicesimo secolo e non è tornata a quei livelli dell’epoca dell’antica Roma fino al diciannovesimo secolo. Un altro esempio è la proliferazione di libri nell’antica Roma. Si diceva che un senatore avesse oltre centomila volumi nella sua biblioteca. Dopo la caduta di Roma e l’avvento dell’Alto Medioevo la più grande biblioteca europea possedeva circa quattrocento volumi e la maggior parte di questi erano incentrati su questioni letterarie. Così quando leggo Cicerone, o le lettere di persone comuni che vivevano nella Britannia, c’è qualcosa di riconoscibile nelle preoccupazioni e negli atteggiamenti di queste persone che sono vissuti duemila anni fa. Allo stesso modo, ci sono molte differenze e abbastanza spesso sono molto stridenti.
Secondo lei, perché i romanzi storici sono ancora così popolari e riscontrano grande interesse nei lettori?
Penso che dipenda dal fatto che le storie migliori siano nella Storia. A volte gli eventi del passato sono avvincenti come qualsiasi opera di narrativa. Comunque, la storia intesa come disciplina accademica comporta che gli storici possano scrivere solo di fatti che sono supportati da prove certe ed evidenti. I romanzi storici, per quanto debbano restare legati ai documenti storici il più possibile, possono anche fare un passo ulteriore e permetterci di rivivere la storia attraverso i personaggi e i loro racconti.
Cicerone diceva: «Historia magistra vitae». In che misura possiamo considerare questa posizione ancora valida oggi?
Sono uno stupido potrebbe negare il valore pedagogico della Storia. Questa ci dice da dove veniamo, perché siamo dove siamo e, se siamo abbastanza svegli, potremmo trarre utili insegnamenti dal passato. Come diceva George Santayana, «Quelli che non possono ricordare il passato sono condannati a ripeterlo». La verità di questa posizione è facile da verificare. Una volta, durante un pranzo, un vecchio politico che aveva prestato servizio nelle forze armate mi disse, in confidenza, che il conflitto in Afghanistan sarebbe stato vinto subito. Gli ho risposto ricordandogli che gli inglesi erano già stati impegnati in tre precedenti invasioni dell’Afghanistan e tutte erano finite male. Così gli faceva pensare che questa volta le cose sarebbero andate diversamente?
Mi sorprende e mi delude sempre il fatto che, sebbene molti dei nostri politici siano persone intelligenti, sono pessimi storici e di conseguenza siamo tutti noi a subire le conseguenze della loro mancanza di rispetto per ciò che la Storia può insegnarci.
Lei è nato in Nigeria, poi ha vissuto a Hong Kong e alle Bahamas. Che conseguenze ha avuto questo nella sua scrittura e nei suoi interessi?
Penso che la più grande influenza che questo abbia avuto su di me è il fatto di sentirmi sempre come un outsider. Non mi sono mai sentito pienamente a casa ovunque io abbia vissuto. Allo stesso modo non mi sono mai sentito del tutto inglese. Tutto questo mi ha reso sempre consapevole di quanto i valori culturali siano contingenti e dunque di essere più propenso ad accettare altri punti di vista. Sono diventato una sorta di osservatore delle persone e degli ambienti. Da bambino ho avuto una breve esperienza della realtà della guerra quando la cittadina dove vivevo con la mia famiglia è stata coinvolta nella guerra del Biafra. Siam stati evacuati e abbiamo perso tutto quello che possedevamo, siamo arrivati in Gran Bretagna solo con i vestiti che indossavamo. Ricordo bene la paura e l’eccitazione di quei tempi dalla prospettiva di un bambino che non era consapevole del contesto più ampio. Di conseguenza, cerco sempre di scrivere dei conflitti in modo sfumato in modo che i costi della guerra non vengano persi di vista anche se i miei scritti forniscono azione e avventura.
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Ha pubblicato un solo romanzo non storico: L’ultimo testimone. Pensa ci saranno altre esperienze come questa?
Spero di sì. Ho molti interessi oltre alla storia, romana e non. L’ultimo testimone si occupa delle possibilità e dei pericoli insiti nelle tecnologie cui spesso ci affidiamo senza prendere sufficientemente in considerazione la loro influenza sul modo in cui viviamo e persino su quello in cui pensiamo. Anche se era un romanzo giallo, spero che farà riflettere i lettori su dove potranno portarci le nuove tecnologie. Come ho detto prima, la storia non è la narrazione di un progresso continuo. Abbiamo vissuto la prima serie di epoche buie e temo davvero che siamo all'apice di una nuova epoca buia in cui i social media distruggono l'autorità della conoscenza e dividono sempre di più la società.
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