Intervista a Scott Turow, ecco “L’ultimo processo” di Sandy Stern
Anche le più brillanti scoperte in ambito medico devono sottostare ad alcune logiche di mercato che rendono le situazioni complessee, in mezzo a questa costellazione di eventi, carpire la verità non è semplice. Con L’ultimo processo Scott Turow mette in scena proprio una circostanza di questo genere.
Tradotto in italiano da Sara Crimi e Laura Tasso per Mondadori, L’ultimo processo è una lettura accattivante e profondamente attuale che pone l’accento su questioni che tormentano l’umanità da decenni e che, nell’ultimo anno, hanno sollevato moltissimi dibattiti. La pandemia non c’entra, il libro è uscito in lingua originale nella prima metà del 2020. Ciononostante, per i temi trattati, sembra che Scott Turow abbia avuto una grandissima lungimiranza.
Sandy Stern è al suo ultimo processo. Alle spalle ha una carriera strepitosa e davanti ha i suoi ultimi anni di vita che non può e non vuole passare più nelle aule di tribunale. Anche la figlia, Marta, al fianco della quale ha lavorato per decenni, annuncia di volersi ritirare alla conclusione di quest’ultimo processo che il padre ha deciso di prendere in carico.
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È un processo complesso e difficile, richiede molte energie e concentrazione, l’esito non è affatto certo. Perché Sandy Stern lo accetta?
Beh, non è semplice rispondere con un rifiuto a un amico di vecchia data che, tra l’altro, ti ha salvato la vita quando un tumore pareva intenzionato a togliertela. È grazie al farmaco creato da Kiril Pafko se Stern è ancora lì, nell’aula, a ottantacinque anni, a illustrare la credibilità e la buona fede del suo assistito.
Di mezzo ci sono tantissimi soldi, azioni milionarie, un matrimonio e tanti tradimenti, un figlio che sembra ostile, un incidente di macchina che sembra coinvolgere se non proprio Kiril, almeno una delle vetture aziendali che possiede. E il capo d’accusa più pesante è che Pafko pare abbia manipolato i dati riferiti alla sperimentazione del farmaco, con gravi conseguenze. Alcuni pazienti sono morti: c’è correlazione tra il loro decesso e l’uso di g-Livia, il farmaco contro il cancro prodotto dal premio Nobel Kiril Pafko?
In occasione dell’uscita del romanzo in Italia, Scott Turow ha incontrato alcuni blogger svelando, quindi, alcuni retroscena che si celano dietro L’ultimo processo.
È emerso che per Scott Turow il concetto di giustizia, su cui si erge il romanzo, ma anche molte altre opere, è assai complesso. Afferma:
«la giustizia non comporta un unico risultato, colpevole o non colpevole; la giustizia è un insieme di risultati ragionevoli. Infatti, questo è uno dei temi su cui Sandy Stern riflette a lungo, specie quando la giustizia viene vista dall’ottica di un avvocato».
Scritto con uno stile accattivante, L’ultimo processo è una lettura appassionante, ma anche colma di spunti di riflessione. Uno di questi sorge in seguito alle parole di uno dei personaggi, secondo cui non esistono medicinali senza effetti collaterali. Effettivamente e metaforicamente, l’immagine restituisce uno squarcio della realtà con cui siamo costretti a confrontarci in questo momento storico. Cosa ci racconta il destino di g-Livia in merito al tanto atteso vaccino, per esempio? Scott Turow precisa che
«non avrei potuto anticipare la pandemia. Se ci interessa domandarci cosa può andare storto con il vaccino, vista l’urgenza con la quale occorre immetterlo nel mercato, credo che il destino di g-Livia ci possa dare un’idea in merito. Ricordo che qualche anno fa venne ultimato un vaccino contro la suina, rivelatosi efficace sulle persone, ma che aveva riportato anche alcuni casi di paralisi temporanea. La campionatura, in quel caso, era nettamente minore rispetto a quella del Coronavirus. Su tre miliardi di persone, a cui presumibilmente verrà iniettato il vaccino, è molto probabile che vi siano effetti collaterali non previsti. Ora, se la domanda è se non vada somministrato, allora la mia risposta è no; il vaccino va somministrato, ma bisogna essere consapevoli della possibilità di effetti collaterali».
Straordinario, ne L’ultimo processo, è il fatto che tutto, o quasi, avviene nell’aula di un tribunale, in un ambiente per lo più statico, eppure la percezione del lettore è quella di trovarsi davanti a un susseguirsi dinamico, incalzante di eventi. I personaggi vivono nei dialoghi. Da questo punto di vista, Scott Turow fa notare che
«la maggior parte dei bestseller sono fatti soprattutto di dialogo. Nel caso specifico, il romanzo è in qualche misura la trascrizione di un processo e, essendo io uno di quegli scrittori che sentono le voci dei loro personaggi nella testa, riprodurre dialoghi accattivanti mi viene piuttosto semplice. Anzi, trovo molto divertente inventare domande intelligenti e risposte stupide. Ho anche una certa esperienza con i controinterrogatori, e questo aiuta».
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Infatti, l’esperienza a cui accenna è quella di avvocato, l’altra professione di Scott Turow che ha sempre affiancato a quella di scrittore. Come si sono conciliate negli anni queste due carriere?
«Dopo il 1991, quindi dopo l’uscita de L’onere della prova, ho iniziato a praticare come avvocato solo part-time. Al mattino mi dedicavo alla scrittura e al pomeriggio ai processi, ai miei clienti che, comunque, potevano chiamarmi in qualsiasi momento della giornata. Tra l’altro ho un dono: posso parlare di questioni complicate, interrompendomi dalla scrittura, ma appena ritorno alla frase lasciata in sospeso, riesco a ritrovare il filo del discorso esattamente nel punto in cui l’ho interrotto. Poi, riuscire a tenere i due mondi emotivamente separati è stato molto utile».
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Per la prima foto, copyright: Tingey Injury Law Firm su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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