Intervista a Luca Bianchini, tra libri, cinema e televisione
Perché un’intervista a Luca Bianchini? Per provare a indagare con lui un successo che parte dai libri e investe anche cinema e televisione, per capire da vicino come nascono i suoi romanzi e cosa appassiona i lettori che apprezzano la sua scrittura.
Da Io che amo solo te a So che un giorno tornerai, Luca Bianchini colleziona non solo best seller, ma le sue storie hanno conquistato milioni di telespettatori al cinema ed è un volto noto della televisione italiana, ospite fisso di trasmissioni (soprattutto pomeridiane) in cui spazia dalla cronaca al costume, fino al gossip.
So che un giorno tornerai è il suo undicesimo libro in diciassette anni. Com’è cambiato il suo approccio alla scrittura nel corso del tempo? Di quali “difetti” si è liberato e cosa invece ha conservato?
Ho conservato la spontaneità, l’istinto e l’ironia. Mi sono liberato di una forma a volte troppo scarna e inzeppata di riferimenti a marche o a luoghi troppi specifici. Bisogna accennare con lievi pennellate per lasciare posto all’emozione.
I suoi libri hanno un ottimo riscontro di pubblico, che sembra crescere con il passare degli anni. Quali ritiene siano gli elementi di forza che attraggono di più i lettori verso la sua scrittura?
Storie in cui tutti si possono identificare perché raccontate da un amico che ti prende per mano e ti porta in luoghi dove non sei mai stato. Se ti fidi di me, puoi andare ovunque. Tutto ciò è stato più facile dopo il successo di Io che amo solo te che mi ha fatto arrivare a un pubblico molto grande, ulteriormente ampliato dai due film che ne sono stati tratti.
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Lei sembra avere un canale privilegiato con il cinema e alcuni suoi libri sono diventati film di successo. Uno è nelle sale proprio in questi giorni, Nessuno come noi, per la regia di Volfango De Biasi. In alcuni casi lei è intervenuto come co-sceneggiatore. Quali accorgimenti ha seguito per la trasposizione dei suoi romanzi? Come si è coordinato con gli altri sceneggiatori e i registi?
Non si arriva al cinema perché hai i canali giusti, ma perché hai delle storie che potrebbero piacere al pubblico e che possono essere facilmente trasposte. L’autore che accetta questo, se non ha un grandissimo potere contrattuale, deve accettare che la propria storia non sarà più sua, ma della «produzione», a volte del regista. Ti devi fidare, puoi dare il tuo contributo, ma non dipenderà più da te… Però sono stato fortunato perché le mie storie poi hanno trovato un bel riscontro da parte del pubblico. Come sceneggiatore valgo al pari degli altri, e solo occasionalmente posso ribadire la paternità dell’opera: è la dura legge del cinema.
Luca Bianchini e la televisione. Lei è stato uno dei primi scrittori ad aver accettato di prendere parte a trasmissioni di infotainment in qualità di opinionista, intervenendo su argomenti tra loro molto diversi, dalla cronaca nera al gossip. Quali motivazioni l’hanno spinta verso questa decisone? Non teme che la sua partecipazione televisiva possa un po’ ingabbiarla nel ruolo di “scrittore televisivo”?
La tv per me è una palestra: ci vado per imparare a fare una cosa diversa, per capire certe dinamiche, perché mi permette di esprimermi in un modo nuovo, e perché mi fa conoscere a un pubblico che non sapeva nemmeno chi fossi. È una sorta di investimento a fondo perduto, che faccio in modo occasionale, e mi ha regalato emozioni inaspettate e un po’ di visibilità in più. Di questi tempi nel mio condominio vale molto di più «l’ho vista in televisione» piuttosto che «l’ho vista nella classifica dei libri più venduti.» E visto che in vetta alle classifiche ci sono molti «televisivi», dai cuochi ai giornalisti onnipresenti, se vogliamo stare al mondo dobbiamo usare tutti i mezzi che abbiamo a disposizione. Io ne ho pochi, ma non potendo scegliere i programmi dove andare, vado dove mi invitano senza snobismi.
Qual è il suo rapporto con la lettura? Immagino ci siano dei libri e degli autori che rappresentano un must per la sua formazione e la sua crescita…
Mi piace leggere, soprattutto libri che mi dicono imperdibili. Non amo la serialità, la trovo una facile gabbia per lettore e scrittore, mentre mi piace avventurarmi nei grandi romanzi. Da Shantaram a Pierre Lemaitre, passando per Ammaniti, mi piacciono i grandi narratori che sanno sorprendere e scrivere grandi storie con grande stile.
E la critica letteraria? Molti la ritengono ormai irrilevante, incapace di incidere realmente. Da scrittore che rapporto ha con la critica? La ritiene importante, se ne lascia un po’ influenzare oppure la ignora?
Purtroppo i veri critici sono pochi, e a volte si fanno prendere da rosicamenti personali. Il problema della critica letteraria sui giornali nasce dal fatto che è tutto autoreferenziale: si recensisce chi si conosce o l’autore dell’editor che si conosce. Basta osservare le recensioni su «Repubblica» e «Corriere» per caprine le dinamiche con anticipazioni e paginoni della firma di turno anche se ha scritto un libro mediocre. È molto più interessante la critica del web, che è più bella, più fresca, più vera, più intelligente e sa guardare al di là del proprio ombelico senza paura.
So che un giorno tornerai racconta la storia di una giovane donna abbandonata dal suo amante dopo che ha partorito una figlia femmina anziché un maschietto. Molte intellettuali oggi ritengono che ci sia un maschilismo più o meno strisciante che abbraccia tutto il mondo degli uomini e dal quale nessun maschio è esente. Ritiene anche lei che questa dimensione sia propria di tutti gli uomini?
Guardandomi intorno, penso che più che il maschilismo, il vero problema siano «i maschi», come cantava la Nannini. Siamo sempre più confusi, egoisti, tendiamo a regredire e a non saperci prendere le nostre responsabilità. Viviamo un’epoca in cui tutti – indistintamente – facciamo fatica a prenderci le nostre responsabilità.
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Mi sembra che alcune sue storie siano spesso intrise di una dolce nostalgia e malinconia non mancando una certa dose d’ironia. Che rapporto ha con il passato?
Amo il passato, mi piace rivederlo, ricordarlo, mi fa stare bene e mi fa vivere meglio il presente. La malinconia in certi giorni è un sentimento che mi tiene vivo e acceso anche se non succede niente. Mi metto su un cd di musica classica, guardo un po’ fuori il mio cortile, e mi metto a pensare. Poi ricevo un WhatsApp e rispondo una cazzata e inizio a ridere come uno scemo. Sono due aspetti del mio carattere che puntualmente confluiscono nei miei libri.
Quasi tutti i suoi personaggi sono alle prese con i sentimenti, non soltanto quelli amorosi. Perché questa centralità dell’aspetto sentimentale?
Francamente non lo so. Mi sembra che una storia senza un po’ di amore sia meno interessante. Questo quando scrivo, perché poi leggo di tutto. Anzi, leggo poche storie d’amore. Forse per questo poi le scrivo.
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