Intervista a Lorenza Foschini
Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinata alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.
Ho cominciato da bambina, a Positano quando avevo sei o sette anni e mi sono inventata un giornalino. Scrivevo poesie, la prima cominciava (non l'ho mai dimenticato) così:
"Positano paese di cani e di signori pelati...."
Se consideriamo come estremi l’istinto creativo e la razionalità consapevole, lei collocherebbe il suo modo di produrre scrittura a quale distanza dai due?
Io non sono una scrittrice, sono una giornalista. Se devo scrivere, perciò, il mio approccio è razionale e solo dopo interviene l'emotività. È un percorso difficile. Come diceva Leibniz: "È lunga la strada che dall'intelligenza porta fino al cuore…".
Moravia, cascasse il mondo, era solito scrivere tutte le mattine, come descriverebbe invece il suo stile? Ha un metodo rigido da rispettare o attende nel caos della vita un’ispirazione? Ce ne parli.
Sono pigra, mostruosamente pigra, quando scrivo non mi piace quello che scrivo e allora tra pigrizia e narcisismo ferito passano giorni e giorni di "nullafacenza".
Di che cosa non può fare a meno mentre si accinge alla scrittura? Ha qualche curiosità o aneddoto da raccontarci a riguardo?
Non ho bisogno di nulla, ma come dicevo prima, sembra sempre che abbia bisogno di tutto semplicemente per rimandare un momento che per me è doloroso. Allora trovo mille scuse e mille necessità da espletare prima di mettermi a tavolino.
Wilde si inchinò di fronte alla tomba di Keats a Roma, Marinetti desiderava “sputare” sull’altare dell’arte, qual è il suo rapporto con i grandi scrittori del passato? È cambiata nel tempo tale relazione?
Da quando ho letto Proust a 18 anni, l'ho amato sempre. In maniera diversa, perché La Recherche a ogni rilettura ti dice cose nuove e differenti. Questa è la caratterista dei capolavori, come Dante, o Leopardi. E amo con la stessa intensità di quando ero ragazzina, Jane Austen, Tolstoi, Balzac, Saint Simon...
L’avvento delle nuove tecnologie ha mutato i vecchi schemi di confronto fra centro e periferia, nonostante ciò esistono ancora luoghi italiani dove la letteratura e gli scrittori si concentrano? Un tempo c’erano Firenze o Venezia, Roma o Torino, qual è la sua idea in merito?
Certamente le grandi città favoriscono uno scambio culturale che non ci può essere in luoghi piccoli e chiusi. Le grandi città, penso a Firenze nel rinascimento, o Parigi a cavallo del ventesimo secolo (ma anche prima) o New York dalla seconda metà degli anni 50, hanno vissuto un fermento, una concentrazione di genialità che per essere spiegata occorre si esaminino mille aspetti (società, economia, contingenze politiche ecc.).
Però c'è poi l'aspetto opposto. Recanati, un paese di poche anime, un ragazzo malaticcio, solo e disperato, in una famiglia "codina e bigotta", come diceva Sapegno. Il risultato: un capolavoro come "l'Infinito"!
Scrivere le ha migliorato o peggiorato il percorso di vita? In altre parole, crede che la letteratura le abbia fornito strumenti migliori per portare in atto i suoi desideri?
"Il cappotto di Proust" mi ha cambiato la vita. Non esagero. Questo piccolo libro ha rappresentato per me più di una serie di sedute di psicoanalisi. È stato un viaggio, doloroso, dentro di me. È poi questo cammino così arduo e impervio si è trasformato in una fonte di gioia. Sono sentimenti difficili da descrivere, ma il risultato è quello di essere diventate diverse da prima. Per noi donne è come quando si diventa madri....
La ringrazio e buona scrittura.
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Commenti
Non ho capito se "Leibinz (controllare come si scrive)" è una battuta o un appunto a uso interno dimenticato lì...
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