Intervista a Koethi Zan, autrice di “Dopo”
Koethi Zan, giovane avvocatessa americana, è in Italia per presentare il suo primo romanzo, Dopo, che negli Stati Uniti ha avuto un grande successo, guadagnandosi la traduzione in una ventina di lingue e l’imminente trasposizione in una serie televisiva.
Sono passati dieci anni da quando Sarah è scappata, dopo tre anni di prigionia in uno scantinato, esposta alle torture di Jack Derber, insospettabile professore universitario. Sarah ha cambiato nome e vita, ma non riesce a mutare il proprio destino: ancora oggi vive in una prigionia autoimposta, in preda a mille fobie e vittima delle proprie notti insonni, rinchiusa da mesi nel proprio appartamento di Manhattan. Ma l’FBI la informa dell’approssimarsi di una scadenza importante, l’udienza per il rilascio di Jack Derber che, accusato solo di rapimento, potrebbe tornare libero. Sarah non può consentirlo, perché lei sa che Derber non è soltanto un rapitore, ma anche un assassino.
Con lei c’erano altre due ragazze, Christine e Tracy, e per i primi mesi ce n’era anche una terza: Jennifer, la sua migliore amica. E Sarah sa con certezza che Jennifer è morta per mano di Derber. C’è una sola speranza, per tenere il mostro in prigione: ritrovare il corpo di Jennifer. Per questo, Sarah troverà la forza di riallacciare i contatti con le altre sopravvissute, nonostante l’odio che loro provano per lei e nonostante i segreti che le dividono.
A Milano per presentare il suo romanzo, edito da Longanesi nella traduzione di Annamaria Biavasco e Valentina Guani, Koethi Zan ci ha rilasciato un’intervista.
Leggendo il romanzo, si può restare perplessi di fronte al comportamento della protagonista, che, dopo aver trascorso dieci anni sempre chiusa in casa perché terrorizzata dal mondo esterno a causa del trauma subito col rapimento e la segregazione da parte di Derber, si lancia improvvisamente nell’impresa di ricostruire il passato: prende aerei, guida auto, si sposta da una parte all’altra dell’America. Non è poco plausibile?
So che questo cambiamento può sembrare poco realistico, ma Sarah ha bisogno di una spinta per cambiare la sua vita, e la necessità di assicurare Derber alla giustizia è la svolta di cui aveva bisogno, e funziona meglio della psicoterapia di sostegno da cui in apparenza non ha avuto nessun beneficio.
Il libro appare chiaramente ispirato ad alcune vicende salite alla ribalta della cronaca negli ultimi anni, dal caso di Natascha Kampusch, rapita ancora bambina e tenuta prigioniera per otto anni a quello di Elisabeth Fritzl segregata dal padre per ventiquattro anni, oppure alle tre ragazze vittime per dieci anni del mostro di Cleveland. Ma quanto ha influito la cronaca sulla sua idea del romanzo?
Anni fa, durante una passeggiata, avevo iniziato a immaginare la storia di una detective costretta a indagare su una vicenda in cui fosse in gioco la sua stessa sopravvivenza. A poco a poco le idee hanno preso forma, e poi le vicende di cronaca mi hanno spinto a continuare.
Qual è stata la tua reazione quando sono venute alla luce tutte quelle vicende?
Quando è stato scoperto il mostro di Cleveland stavo già scrivendo il libro, ma seguivo da anni gli altri casi, e sono stati per me fonte di grande dolore e sofferenza.
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Non hai mai incontrato qualcuna delle donne vittime di queste segregazioni?
Assolutamente no. Ho pensato che non fosse per nulla appropriato, visto che io ho scritto una fiction, non una cronaca del reale.
Il tuo lavoro di avvocato ti ha aiutata?
Non direttamente, ma lavorando da anni negli uffici legali di compagnie cinematografiche e televisive, circondata da creativi di vario genere, ho avuto molti stimoli. In particolare, la cinematografia dei film noir mi è stata molto utile per costruire le immagini della storia, come desideravo che fossero viste dal lettore.
Hai dovuto fare molte ricerche per scrivere il libro, hai viaggiato?
Più che altro ho cercato di documentarmi molto, leggendo anche gli atti processuali, e i memoir scritti da alcune delle vittime, e poi ho integrato con la mia fantasia.
Alla luce di ciò che hai letto, pensi che sia veramente possibile avere di nuovo una vita normale dopo quelle terribili esperienze di segregazione?
Credo che si debba capire cosa intendere per vita normale. Se parliamo di tornare alla vita di prima, quello credo che sia impossibile, perché un trauma del genere ti cambia completamente e tu non sarai mai più come prima. Credo che si possa andare avanti in una vita nuova, diversa, ricostruita integrando anche le esperienze peggiori.
Hai ricevuto delle critiche dalle vittime, o da loro parenti, per aver scritto questo romanzo?
No, ma non credo che le persone rimaste vittime di fatti tragici possano leggere delle fiction ispirate alle loro esperienze. Se dovesse accadere, spero che capiscano che io ho voluto soprattutto scrivere qualcosa sulla capacità delle donne di reagire alle situazioni peggiori, e di riuscire comunque a riprendere la vita nelle loro mani. Spero che questi personaggi siano dei modelli per capire che si possono superare anche le situazioni più disperate.
Anticipazioni su un prossimo libro che potresti scrivere?
Sto già scrivendo un secondo romanzo: si tratta di un thriller psicologico molto tetro e cupo, dove però ci sono delle donne che si aiutano a uscire dal buio.
Credi davvero nella solidarietà tra le donne? Nella vita non è così scontata.
Sì, penso che le donne tendano a colpevolizzarsi per tutto quello che accade, mentre dovrebbero imparare a coalizzarsi contro i nemici comuni. In Dopo, Sarah e le altre ragazze in principio si odiano, ma è solo unendo le forze che possono vincere.
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