Il tempo non cancella? L’idea di Roberta De Falco
Ettore Benussi. I lettori di Roberta De Falco avranno già capito che ci troviamo di fronte a una nuova indagine del commissario della mobile di Trieste che ne Il tempo non cancella (edizioni Sperling & Kupfer, 2014) si trova a confrontarsi con una storia che ha radici in un passato cruento e in parte nascosto. Ci riferiamo al passaggio dell’Istria dall’Italia alla Iugoslavia di Tito e agli effetti che ebbe sulle famiglie che vivevano in quei luoghi. Il nuovo romanzo della De Falco, ambientato in una Trieste «irraggiungibile», sospesa fra due nazioni e due epoche, mette in discussione molte regole del classico thriller e i delitti su cui si troverà a indagare Benussi non saranno quelli compiuti nei confronti di un singolo individuo, ma del sistema di relazioni umane che lo circonda e che trova le sue radici in un evento storico drammatico che ha cambiato la vita di molti italiani negli anni Quaranta del Novecento.
Mi piacerebbe partire proprio da questo punto per il nostro incontro con l’autrice, chiedendole perchéha deciso di incentrare la narrazione intorno alla città di Trieste.
Scrivere dei romanzi che abbiano la struttura del thriller vuol dire illuminare una parte della storia rimasta in ombra e siccome Trieste è una città di confine e ha alle sue porte molte storie drammatiche, spesso ancora nascoste, è il luogo ideale per le mie storie che nascono sempre dal passato e dall’effetto che esso riverbera sul nostro presente.
La nostalgia sembra giocare un ruolo molto importante nella storia. Nostalgia che si frappone e spesso assorbe le altre direttrici narrative del romanzo, andando a rafforzare il senso di perdita dei personaggi. Perdita della terra, a causa dell'esodo istriano, perdita dell'amicizia (quella fra Ivo e Frano), perdita dell'amore (materno e filiale), perdita della giovinezza e del tempo necessario per colmare alcune di queste mancanze. Qual è la nostalgia personale che l’autrice ha portato nel romanzo?
La nostalgia è quello che ci rende essere umani. Abbiamo sempre nostalgia di qualcosa che manca nel nostro passato o nel nostro presente e persino nel nostro futuro (penso alla fede che è una forma di nostalgia per quella parte spirituale di noi stessi che spesso sentiamo mancare). La nostalgia è quello che ci rende diversi dagli animali, guidati solo dall’istinto. Noi siamo fatti di sentimenti e i sentimenti si esprimono in memoria, nostalgia, progetto e libertà. La nostalgia è quella che rende empatico l’uomo e i personaggi che creo. La nostalgia è anche uno strumento che serve allo scrittore per catturare l’attenzione del lettore. I personaggi di questo romanzo non sono ispirati a persone che conosco, si sono creati da sé, hanno scelto la loro direzione. Sono frutto di una misteriosa alchimia a cui un tempo non credevo, ma che ora ho sperimentato direttamente.
Il tempo non cancella offre al lettore un’ampia gamma di personaggi, tutti connotati da una forte analisi psicologica. Mi hanno colpito i numerosi personaggi legati al mondo dell’editoria che ruotano intorno a Ivo (famoso scrittore che dopo il primo romanzo non èpiùriuscito a replicare il successo ottenuto). Ivo ha pronto un nuovo testo che Titus Celsius e Terenzio Tasca, rispettivamente editore e direttore editoriale di due marchi concorrenti, cercheranno di ottenere. Rivalità, antagonismo, e rancori personali sembrano costituire il sistema valoriale di questi personaggi, lasciando lo scrittore alla loro mercede. Cosa l’ha spinta a disegnarli in questo modo e quanto sono fedeli all’attuale contesto editoriale?
Ho voluto mettere a confronto la “vecchia” editoria con la nuova. Titus Celsius è l’editore aristocratico che crede nella qualità e nella necessità di pubblicare un certo tipo di libri che offrano un messaggio ai lettori. Terenzio Tasca è invece l’emblema di uno di quei grandi gruppi editoriali che negli ultimi anni hanno iniziato ad assomigliarsi gli uni con gli altri, pensando al libro che stanno per pubblicare solo in termini di best seller, di affare. Quello che descrivo in questo romanzo è quindi un mondo di passaggio a dir poco stridente fra vecchia e nuova concezione editoriale, di cui Ivo Radek è testimone.
Il passaggio cui fa riferimento è quello che facilita la produzione di “romanzi seriali”, prodotti, lavorati e digeriti da editor che usano sistemi di valutazione e revisione molti simili fra loro?
Certamente. Pensi a chi esce dalla Scuola Holden. Tutti quelli che escono da quella scuola hanno uno specifico imprinting, perché a tutti viene insegnato a scrivere nello stesso modo, il “modo”che piace di più in quel momento alle case editrici. È anche per questo che ho scelto di scrivere dei romanzi di genere, in cui c’è maggiore libertà. Oggi c’è un’omologazione molto simile a quanto avvenuto nel passato. Quando Vittorini e Pavese iniziarono a tradurre gli autori americani loro contemporanei, scoprirono lo stile individuale. Prima di questa scoperta, si scriveva usando il “buon”italiano, penso a Prezzolini o a Papini, da quel momento invece si capì che ogni autore poteva avere un suo stile peculiare. Fu una grande rivoluzione. Oggi assistiamo a una controrivoluzione. Ossia lo stile “parlato” diventa l’unico possibile e ciò crea un’omologazione assoluta. A questo si aggiunge un sistema di relazioni fra gli scrittori molto diverso da quello che esisteva un tempo. Gli scrittori sono tutti acerrimi rivali e ciò fa venire meno quel momento di confronto e reciproco arricchimento che esisteva non molti anni fa, penso al periodo in cui scrivevano Moravia o La Capria, un periodo in cui esisteva la voglia di “scrivere per scrivere”e non per la classifica di vendite in cui dovevi a tutti i costi entrare, pena la tua esistenza come scrittore.
Nel ragionamento tra Stelio Kunz (critico e scrittore frustrato) e Petra (moglie di Ivo Radek) viene posta la domanda: «Cosa significa essere un bravo scrittore? Chi lo decide?». Ne Il tempo non cancella lei condivide con il lettore un sistema di regole che uno scrittore dovrebbe seguire per tentare di arrivare al successo. Ci vuole fatica e tempo per scrivere un libro, empatia con i personaggi descritti, un titolo azzeccato, un buon editor, un ottimo ufficio stampa, essere disposti a diventare un commesso viaggiatore, essere capaci di subire umiliazioni. Come si sposano queste regole con la necessità di scrivere perché «si ha davvero qualcosa da dire» (di cui parlava Scott Fitzgerald) e la sicurezza che un giorno si scriverà un libro che «sarà come un’ascia nel mare ghiacciato che è dentro di noi» (come chiedeva Kafka alle proprie opere)?
Chi scrive cerca sempre di essere Kafka, almeno se “scrive per scrivere”, mentre chi pubblica tenta sempre di farlo entrare in una categoria, di sistematizzarlo, di capire se può essere “spendibile” su un particolare mercato. Ci sono delle eccezioni ovviamente, ma questo approccio rende molto rara l’attitudine dell’editore a incoraggiare e a sostenere i suoi autori. E ciò porta a far scoraggiare anche molte persone di talento.
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Nel suo libro il mondo dell’editoria è rappresentato anche dall’universo degli scrittori esordienti o aspiranti tali. Le loro ansie e le loro aspettative. Primo fra tutti il commissario Benussi che vorrebbe provare a proporre un manoscritto all’agente di Ivo Radek. Il confronto sugli italiani “popolo di scrittori disposti a tutto pur di pubblicare” è ormai noto, così come quello sul sistema che viene poi utilizzato dagli editori per scegliere chi pubblicare e promuovere, tanto che lei stessa scrive «le vere persone di talento si vedono sorpassate da nullitàletterarie, grazie a perverse e martellanti campagne di stampa». Quali consigli darebbe a uno scrittore esordiente per riuscire a farsi leggere e apprezzare?
Molti autori esordienti pensano che pubblicare voglia dire risolvere il problema. In realtà pubblicare oggi non dà alcuna garanzia di essere effettivamente letto. Anche se si è così fortunati da avere alle proprie spalle un lancio pubblicitario importante, penso per esempio al caso degli autori scoperti dal programma televisivo Masterpiece, non è automatico riuscire a guadagnarsi un posto su uno scaffale che oggi è talmente affollato da diventare respingente per il lettore stesso. A uno scrittore esordiente suggerirei di insistere. Se sente di dover scrivere a ogni costo, se in lui si agita un talento che deve uscire fuori, allora fa bene a continuare, ma se lo fa solo per il riconoscimento il livello di frustrazioni che lo attende saràtale da portarlo a smettere. Anzi l’esigenza di essere visibile a tutti i costipotrebbe portarlo anche a rovinare la propria traccia stilistica. Alla fine io penso che i talenti veri vengono scoperti, indipendentemente dalle vendite che potranno mai realizzare.
I personaggi di questo romanzo hanno dei nomi molto particolari, che fanno pensare a una scelta attenta da parte dell’autore. Quanto è importante il nome per un personaggio e per un lettore?
Ho pensato molto ai nomi dei protagonisti perché fossero evocativi del loro carattere e della loro estrazione. Sono tutti di origine triestina ad eccezione del protagonista (Ivo Radek) cui ho dato un cognome russo, quello della madre, perché ha ripudiato una parte importante delle sue radici, a cominciare dal cognome paterno. Il nome Ivo, l’ho scelto in onore dello scrittore Ivo Andric. Allo stesso modo ho cercato di creare i “nomi perfetti”per i due rappresentanti del mondo editoriale. Titus Celsius, elegante, mitteleuropeo e aristocratico, come volevo che fosse quest’editore della vecchia guardia e Terenzio Tasca, semplice, deciso, un manager rampante con l’ipad sempre in mano, costantemente teso verso il suo obiettivo. Sì, mi sono divertita molto in questo romanzo a creare i nomi dei miei personaggi.
Posso fare una domanda a Roberta De Falco lettrice? Quali libri ha sul comodino in questo momento?
Sto leggendo dei gialli, ho letto Il male non dimentica di Roberto Costantini e poi Uccidi il padre di Sandrone Dazieri. Sto leggendo quindi molti gialli italiani. Ho difficoltà per esempio a trovare gialliste italiane, non so se ciò accade per un eccesso di attenzione dedicata ai giallisti uomini o per sovrapproduzione. Dovrò indagare.
Vorrei lasciarla con una domanda che parte dall’inizio del suo romanzo, dai versi di Rainer Maria Rilke che inserisce ad apertura del testo: «Terra non è questo che vuoi? Invisibile esistere in noi? – Non è il tuo sogno essere una volta invisibile? - Terra! Invisibile! Che cosa, se non il cambiamento, è l tuo urgente compito?». Perché questa scelta?
È un poeta che amo molto e l’ho inserito in tutti e tre i romanzi ambientati a Trieste perché riesce a trovare nei suoi versi la sintesi perfetta di un sentimento umano. C’è sempre un suo verso che ispira e fa partire una mia storia. Rilke dimostra che la poesia con soli tre versi può offrirti le stesse emozioni di un poderoso romanzo russo.
Grazie per la sua disponibilità.
Grazie a voi.
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