“Il settimo peccato”, la Venezia rinascimentale di Carlo A. Martigli
Il nuovo libro di Carlo A. Martigli, Il settimo peccato, in libreria dal 10 luglio per Mondadori, è, come i suoi precedenti, un romanzo storico, che immerge il lettore in una magica Venezia rinascimentale. Ci troviamo infatti al principio del Cinquecento, quando il frate francescano Martino da Braga è convocato nella città lagunare per partecipare, in qualità di difensore, a un processo che sta per essere aperto contro Hieronymus Bosch, artista fiammingo che è stato accusato di blasfemia per aver dipinto, in uno dei suoi quadri, un Cristo in croce dall’aspetto femminile. Martino viaggia accompagnato da un ragazzino che gli è stato affidato come discepolo, Giovanni Ciocchi, che qualche decennio più tardi diventerà papa Giulio III. Il compito di Martino si presenta subito molto difficile: Bosch è persona complessa e stravagante, il suo accusatore è uno dei peggiori inquisitori in circolazione e, come se non bastasse, tra le calli veneziane si verifica una serie di delitti inspiegabili. A Martino da Braga, noto per il suo spirito d’osservazione e la capacità di trovare soluzioni a eventi inspiegabili, tocca dunque il compito di risolvere il groviglio di misteri che sembra chiamare in causa proprio Hieronymus Bosch.
Lei ha scritto vari libri, dai fantasy a testi per ragazzi. Come mai ha scelto di dedicarsi soprattutto ai romanzi storici?
È stata la mia passione per la storia. Anche i primi libri per ragazzi che ho scritto erano ambientati nel I secolo d.C., ma è il periodo rinascimentale quello che più mi affascina. Le storie dei miei personaggi prendono infatti spunto da fatti realmente avvenuti. E il lettore ha così la possibilità di immergersi nei luoghi, di sentirne gli odori, di vivere insomma quelle straordinarie atmosfere con Alessandro VI Borgia, con il banchiere Fugger, con Martin Lutero, Sigmund Freud, Hieronymus Bosch, a Roma, Firenze, Augusta, Venezia e via dicendo. Mi piace usare una scrittura di tipo cinematografico, quella per immagini che rende più vivo e più emozionante il racconto.
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Nel suo romanzo precedente, La scelta di Sigmund, ci ha presentato un Freud che nel 1903 si cala nei panni di un detective nella Roma di Leone XIII, mentre Il settimo peccato ci trasporta in una Venezia rinascimentale e ruota attorno al celebre pittore olandese Hieronymus Bosch. Da dove comincia quando inizia la stesura di un nuovo romanzo: da un personaggio, da un luogo o da un particolare momento storico?
Soprattutto da un’idea, forte, vivace, unica e capace di emozionarmi. Un mistero ancora oggi irrisolto, un fatto che ha cambiato la storia o che avrebbe potuto cambiarla. Intorno a questo fulcro mi immagino la trama e di conseguenza i suoi protagonisti, antagonisti e comprimari. Le piccole storie dentro la Grande Storia. Paragonando la scrittura alla pittura è come se dipingessi un grande affresco su una parete bianca.
Scrivere un romanzo storico presuppone un lungo lavoro preparatorio. Lei come si organizza? E quanto tempo impiega a scrivere un romanzo di questo genere?
Per non ingannare il lettore, quando si scrivono thriller storici, occorre una preparazione rigorosa sui fatti, sull’epoca, sui costumi, sulle idee e sui personaggi realmente esistiti. Questo rigore mi viene riconosciuto sia dalla critica che dai lettori ed è frutto di studi e approfondimenti continui. Direi che su dieci ore di lavoro otto sono di preparazione, ma per me è un piacere, quasi come scrivere. Scopro spesso episodi straordinari o divertenti e nelle mie presentazioni e conferenze mi diletto e diletto il pubblico a raccontare aneddoti relativi a queste scoperte. Di queste, ne ho fatto addirittura uno spettacolo teatrale, Inganni – Le Bugie della Storia. Con la presenza di una violinista-rumorista, accompagno il racconto di questi inganni con slide a dimostrazione. Il pubblico ne rimane affascinato e interessato e io mi diverto moltissimo. La prossima rappresentazione è il 5 agosto, a Pontremoli.
Quali sono gli errori più frequenti in cui si rischia di incorrere scegliendo di ambientare i propri romanzi nel passato?
Il primo errore è di non approfondire fatti, luoghi e persone. Un paio di anni fa Dan Brown ha postato una foto su Twitter con questo commento: «It seems like a wedding cake, but I love the Italian parliament». Da morir dal ridere. Ma sono errori in cui cascano anche le grandi produzioni televisive. Chiamato per un provino per I Borgia, avevo ottenuto di fatto una parte, ma mi interessava di più essere accreditato come esperto. Gli feci notare che in una scena Alessandro VI appariva giovane e in gamba davanti al letto di morte di un Innocenzo VIII che sembrava un novantenne. Quando invece quest’ultimo era più giovane di un anno. E feci anche notare che Cesare Borgia e il suo sicario Micheletto brindavano facendo “cin cin”. Ridicolo, perché questa espressione fu portata in occidente dai marinai cantonesi alla fine dell’800 e significa più o meno “scemo scemo”. Suggerii che avrebbero potuto dire “Salute” o “Prosit”. Mi cacciarono…
Il settimo peccato, anche se ambientato in un tempo più recente rispetto al Medioevo narrato da Umberto Eco, ricorda molto la struttura de Il nome della rosa, a cui del resto lei fa riferimento anche nelle note finali. Come mai ha deciso di rendere omaggio proprio a quel romanzo?
Perché con Il nome della rosa Umberto Eco ha di fatto sdoganato il romanzo storico nel mondo. C’è anche una frase particolare nel romanzo, un riferimento diretto al Nome della rosa. Ma non dico dove, lascio ai lettori la curiosità di individuarlo. Che il romanzo di Eco sia paragonato al Settimo peccato mi riempie ovviamente di gioia e di orgoglio, e in Cina (amo quei lettori) mi hanno paragonato a lui e a Ken Follet. Di più non potrei volere.
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Da autore di romanzi storici, non prova una certa soggezione a mettersi nei panni di personaggi famosi, a farli agire e parlare? Oppure immaginare di essere Freud, un papa o un famoso pittore come Bosch fa parte del divertimento?
Non mi mette in soggezione, anche se è una grandissima sfida e una continua scommessa con i lettori di essere credibile. D’altra parte quando undici anni fa ho dato le dimissioni da dirigente per essere uno scrittore (diverso è fare lo scrittore), anche quella è stata una grande scommessa. Che ho vinto, grazie ai miei lettori, e alla regola delle cinque C, la chiave del successo. Cuore, cervello, competenza e costanza. Queste le prime quattro. La quinta è intuibile… Insomma credo sia chiaro che per me è un grandissimo divertimento, come credo lo sia anche per i lettori. Perché comunque leggere è un divertimento e leggere, come dico sempre alla fine delle mie chiacchierate, rende Liberi.
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