Il ruolo della formazione nell'epoca globale
Che cosa significa al giorno d'oggi “formare”? Cercano di spiegarcelo Gianluca Bocchi e Francesco Varanini in Le vie della formazione, ottimo e completo volume sull'argomento uscito per le Edizioni Angelo Guerini e Associati. Parlare di formazione risulta complesso, per questo i due studiosi si concentrano su vari aspetti del tema, dal linguaggio alle risorse messe in campo per attuare il processo formativo.
La formazione è legata indissolubilmente alle possibilità di ripresa del nostro Paese: formare significa offrire gli strumenti necessari per affrontare un mondo sempre più incerto. Modelli standard di comportamento diventano così inaccettabili: l'essere umano deve possedere una certa flessibilità e attitudine al problem solving. L'epoca globale è caratterizzata da un complicarsi delle situazioni, sia nel lavoro sia nei rapporti umani: ecco che la formazione non riguarda più solo l'ambito professionale, ma investe una sfera più ampia, per cui l'individuo deve acquisire le tecniche utili per competere con le sfide lanciate dall'ambiente esterno. A identificarci è il nostro comportamento, ed è per questo che Varanini dice che «il nostro sguardo sul mondo è la nostra etica» («L'etica è un'ottica» affermava Emmanuel Lévinas).
Per quanto riguarda l'universo del lavoro, un addestramento fordista, basato su regole già scritte, con l'impiego inteso come esecuzione meccanica di un compito, non è più concepibile nell'epoca della globalizzazione. La formazione deve mirare proprio a evitare la trasformazione dell'uomo in una macchina, inserendolo, al contrario, in contesti creativi, dove ciascuno può mettere in gioco se stesso, tramite la sua professione. In particolare, molta attenzione viene posta sui concetti di Gestalt e Bildung, di cui parla Goethe nella sua Metamorfosi delle piante: la Gestalt «esprime l'idea di forma realizzata e statica», mentre la Bildung è un concetto dinamico, che indica il sapere sempre in formazione. Questo perché cultura e formazione sono inseparabili («quando valutiamo una persona dotata di cultura, pensiamo che sappia andare oltre la specializzazione» scrive Varanini). La realtà non conosce confini tra le discipline e, al di là delle competenze acquisite in passato, è necessario riuscire a destreggiarsi all'interno di più contesti diversi. Le stesse istituzioni scolastiche dovrebbero promuovere un'attitudine di questo tipo, poiché non è sufficiente stabilire dei piani formativi e seguirli alla lettera: il nostro sapere è una ricchezza, che però non è sempre fruibile in ogni circostanza, ma può essere un ottimo punto di partenza per rielaborare nuove informazioni, magari più adatte a un contesto insolito con cui si entra in contatto.
Sulla base di quanto detto finora, diciamo che ci sono tre assunti formativi fondamentali, ovvero il tempo (come sfruttarlo e come capire quand'è il momento giusto o meno per agire), un progetto (avere ben fisso davanti a sé un obiettivo preciso, valutando anche la possibilità di ostacoli durante il percorso), infine la narrazione (costruire la propria storia in modo attivo, sfruttando in particolare la propria esperienza personale). Per far questo è necessario possedere una certa dose di creatività, «di una sensibilità alle trasformazioni in atto, di una capacità di prefigurare diversi scenari possibili».
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La creatività permette di sperimentare combinazioni nuove (sempre Varanini richiama la radice indoeuropea kre-, che implica la creazione, il crescere, in italiano, o increase, in inglese), di lasciare respirare e maturare idee originali. Bisogna abituarsi a vivere nell'incertezza, poiché «la creatività cerca il cambiamento, ci vuole coraggio e consapevolezza». È quindi paradossale che l'essere umano si auguri il nuovo, ma lo ricerchi all'interno del vecchio, poiché la paura dell'ignoto, il più delle volte, è troppo forte. Secondo Bocchi così facendo «addomestichiamo il nuovo», mentre il carattere stesso della novità sta proprio nel fatto di essere qualcosa di ancora inesplorato, tutto da scoprire.
La formazione, in questo senso, serve per imparare ad aprirci a nuove vie, mentre essere addestrati a fare una sola cosa o a pensare in un solo modo spinge nella direzione opposta, ossia incontro alla routine. E se il processo creativo presuppone questo movimento intrinseco, allora per essere davvero creativi anche nel lavoro è necessario innescare gli stessi meccanismi: realizzare un moto, evitare di caricarci di stress, «andare all'esterno e poi tornare all'interno».
Per predisporsi ad affrontare il rischio, ad accettare l'imprevedibile, è importante sia una formazione che prepara al “fare”, ovvero finalizzata alla realizzazione di un progetto, sia una che prepara all'“agire”, ossia a muoversi verso l'ignoto. In questo senso, è utile anche rielaborare la visione stessa di docente, il cui compito, per Bocchi, è di far convergere punti di vista divergenti verso soluzioni comuni, valorizzando le diversità e permettendo così una migliore interazione tra di loro. Inoltre, serve una «formazione incrociata», perché la trappola in cui cade spesso il formatore è quella di considerare un allievo un patiens (che subisce), piuttosto che un agens (che agisce): siamo tutti insegnanti e tutti allievi, e anche il docente in senso stretto può diventare un alunno e «alimentarsi delle conoscenze dell'altro». Nella visione di Varanini, in qualità di «facilitatore di relazioni emergenti», il formatore, oltre a diventare, a seconda delle occasioni, discente, è anche un “rapsodo”, ovvero colui che «cuce il canto», poiché «il formatore non cala conoscenza dall'alto ma fa sì che il canto – l'insieme delle voci narranti delle persone che sono insieme in un'aula, per esempio – manifesti il suo senso».
Concludiamo con una citazione di Bocchi, ottima per riassumere quanto finora detto sulla funzione della formazione: «Solo se abbiamo varietà, ridondanza, resilienza, solo se sperimentiamo mondi diversi, narrazioni, fiction, possiamo trovare di volta in volta modi adeguati per accoppiarci strutturalmente con l'ambiente».
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