Il potere dell’intuito nell’amicizia tra donne. Intervista ad Alessandro Pierozzi
Luce in una notte romana, edito da Piemme, è l’esordio del quasi ottantenne Alessandro Pierozzi che ha deciso di raccontare una storia intensa di amicizia femminile tra due donne tra loro assai diverse. Giovanna e Anna, accomunate da una solitudine che però prende forme diverse, si conoscono e si scelgono fino a diventare amiche. Il tutto sullo sfondo di un Testaccio nel periodo della seconda guerra mondiale tra una famiglia opprimente e condomini non sempre all’altezza di un buon vicinato.
Dopo una vita da lettore, a oltre settant’anni anni ha deciso di dedicarsi alla scrittura con il suo primo romanzo. Ci prova a raccontare il percorso che l’ha portata a compiere questo che in genere viene considerato un vero e proprio salto?
In verità la gestazione del romanzo è stata molto più lunga. A metterlo nero su bianco ho cominciato nei mesi di ottobre/novembre del 2000. Quello che scrivevo lo salvavo su dei floppy oggi illeggibili. La spinta, determinante alla scrittura, però, è stata la memoria, il suo sedimentarsi. Fatti, avvenimenti che i miei raccontavano, ma che io stesso avevo vissuto in prima persona, e che nella mia immaginazione risuonavano epici, e che alla fine reclamarono d’essere raccontati.
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Fino al 2001, anno del suo pensionamento, è stato operaio specializzato. Il lavoro in fabbrica le ha donato una prospettiva particolare sulla scrittura/lettura o è solo stato qualcosa che ha tardato il suo esordio?
Io sono andato in pensione come dirigente sindacale della Fiom CGIL, non più distaccato dalla fabbrica. Nel mio romanzo racconto due microcosmi, quello di un cortile di case popolari a Testaccio, dove ho vissuto, e quello di una fabbrica metalmeccanica dove ho lavorato, per dodici anni e sette mesi, e poi il sindacato della Fiom a tempo pieno. Il mondo della fabbrica che racconto è vissuto dal basso. Le mie esperienze di vita e professionali si intrecciano indissolubilmente, sono parte del romanzo. Penso siano un arricchimento. Io ho sempre scritto, ma soltanto alla fine del 2000, come si dice, il romanzo ha cominciato a uscire dalla mia penna. Evidentemente prima non ero pronto. Non ho rimpianti.
Il titolo del romanzo è molto evocativo. Possiamo provare a spiegare ai nostri lettori cosa sono la notte romana e la luce cui si fa riferimento?
Il titolo del romanzo è altamente simbolico. Per quattro motivi. Se te ne vai sul Pincio, oppure sul Gianicolo, o sul Palatino, e ti guardi Roma all’imbrunire, e poi si fa notte, ti godi qualcosa che ti irrompe nell’anima. E questo è il primo dei motivi che evoca il romanzo. L’altro, il secondo, è legato agli aspri conflitti sociali da cui il paese era attraversato nel periodo che descrivo – la disoccupazione non era un’immaginazione, la polizia sparava ad altezza d’uomo, e la Celere di Scelba imperversava. Il terzo motivo lo rappresentano Giovanna e Anna, le protagoniste del romanzo. Vivono una solitudine esistenziale esasperata al limite della rottura. Su trincee diverse combattono per esistere, giorno per giorno. Ed ecco il quarto motivo. La luce è una lama che penetra nel buio di questa notte, e la squarcia. Nasce dall’amicizia tra queste due donne, e l’anima una speranza indomita. È un vitalismo che ha origine e fini diversi. Ma insieme si sostengono e si aiutano a vivere. E Vergilio, lo scorciato, è un altro simbolo di questo vitalismo indomito, carico di futuro.
Luce in una notte romanaè un romanzo con due protagoniste femminili tratteggiate con precisione e amorevole cura. Cosa l’ha spinta a indagare l’universo femminile, inserendosi così in una tradizione consolidata di scrittori che parlano di donne?
Io ho due figlie, e non finiscono di stupirmi. Per essere presenti al Salone del Libro di Torino l’undici maggio prossimo, imbarcheranno mariti e sette figli. Quello femminile è un mondo sfaccettato, curioso, litigioso, eroico… fantastico. Mai quieto. L’osservi e non ti annoi mai.
Giovanna e Anna, le due protagoniste del romanzo, sono entrambe costrette in una realtà domestica che se prima hanno accettato poi vivono come una gabbia. Per certi versi sembra proprio questo ad averle spinte verso una reciproca amicizia. Com’è l’amicizia tra donne vista da un uomo?
Come ho già affermato, quelle di Giovanna e Anna sono due solitudini tra loro diversissime. Giovanna è un angelo guerriero, si batte contro il male e la violenza annidati nella propria famiglia. Lo fa com’è nel suo carattere, a viso aperto, senza retrocedere di un millimetro. La lotta di Anna è quotidiana, si batte per la propria famiglia. Sono due stelle solitarie. Ma è l’intuito di Giovanna che percepisce la solitudine di Anna, e che la penetra e la conquista. L’amicizia tra donne mi sembra guidata dall’intuito, che spesso è infallibile. Ho sempre pensato che sia capace di una profondità e di una intimità particolarissime. Totalità di partecipazione, solidale senza tentennamenti, e nello stesso tempo mutevole, come quelle giornate in cui piove, poi esce il sole, poi piove ed esce il sole, contemporaneamente. E spunta pure l’arcobaleno. Un miracolo che non mi stanco di osservare. Ammirato.
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Tutto il romanzo è ambientato nel lotto Sessantanove del Testaccio a Roma e racconta un po’ di tutti gli inquilini. Quali sono i modelli, letterari e non, che l’hanno ispirata per questa soluzione?
L’oralità del racconto. Mio padre era un affabulatore. Pratolini. E poi il cinema neorealista, e il Pasolini di Accattone.
La storia del romanzo copre il secondo dopoguerra. Com’è cambiata Roma e come sono cambiati i romani da quel periodo a oggi?
L’anno scorso ho accompagnato un’amica sui luoghi del romanzo. la mia vecchia fabbrica è scomparsa, incorporata nella Terza Università. Il cortile che osservavo dalla finestra non c’è più. Un praticello ordinato, brecciolino, portoncini e persiane nuovi, raccoglitori ecologici, tutto molto curato. I locali fontana nel seminterrato sono in disuso e, miracolo, ci sono gli ascensori. In alcuni casi, per installarli, hanno rifilato le scale. Gente nuova circola per il cortile, e degli abitanti originali, i superstiti lottano con la propria vecchiaia. I locali sotto il monte, da un pezzo, si sono trasformati in ristoranti e locali notturni, ma i giovani che li frequentano e li animano provengono dai quartieri di una Roma bene che non ha niente a che vedere con Testaccio. La trasformazione è profonda. I giardini del quartiere sono pieni di ragazzini e di vecchi. Un po’ ti rallegri del nuovo, un po' ti immalinconisci del vecchio. Io ho settantasette anni.
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Per la prima foto, copyright: Sam Manns.
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