Il peso dell’infanzia che ci portiamo dietro. “Mira corpora” di Jeff Jackson
Puntata n. 54 della rubrica La bellezza nascosta
«Non riesco a smettere di tossire. Ho i conati di vomito. Non permetterò a me stesso di piangere. Il vento si è fermato completamente e il cinguettio metallico degli insetti accompagna i fratelli mentre si immergono nei cespugli al margine della radura. I fori neri rotondi delle loro pistole ondeggiano tra le foglie verdi come un paio di occhi osservatori.»
C’è un luogo sacro nella vita di ogni persona, un posto decisivo, è l’infanzia. Tutto quello che siamo e tutto quello che diventeremo s’inizia a formare nei nostri primi anni di vita, siamo spugne che assorbono le cose che accadono intorno, le emozioni che provano le persone che ci circondano.
Ma quando siamo dei bambini, non abbiamo gli strumenti per capire cosa fare e cosa non fare, non possediamo la mappa degli errori su cui documentarci, che ci portiamo dietro, poi, da adulti; tutto quello che viviamo resta nelle mani dei grandi, e loro, spesso senza saperlo, ci fanno del male, ci causano ferite e traumi che diventeranno, per noi, delle vere e proprie nevrosi.
Un bambino, che cresce davanti all’immagine di una madre che nel tempo libero riempie bicchieri di superalcolici e bestemmia, si porterà dietro il mostro ingombrante di cose che diventeranno solide solamente molto più tardi, e causeranno sofferenza retroattiva; buchi neri, voragini nello stomaco, risvegli nelle ore buie con la pelle sudata e i battiti accelerati, panico, debolezza verso tutto ciò che è amore.
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Jeff Jackson è nato in America, Mira corpora, pubblicato in Italia dalla casa editrice Pid Gin, è il suo primo romanzo; la traduzione è a cura di Stefano Pirone.
Ci troviamo dentro la vita di un bambino, e poi di un adolescente, e poi di un uomo, e si tratta sempre della stessa persona: Jeff, il protagonista del romanzo, ci apre le porte della sua esistenza, raccontandoci della fuga da casa, che è anche fuga da una madre violenta e alcolizzata; ci conduce dentro la sua formazione, per strada, in un’urbanità a tratti distopica e a tratti irreale, attraverso un percorso di abbandono e distacco dal proprio corpo e dalle proprie radici.
«Il parcheggio è quasi completamente vuoto. Il cielo è grigio pece. Un vento gelido soffia spazzatura sulla pavimentazione di cemento, spandendola in strati omogenei. Alcuni senzatetto si sono dati la briga di scavalcare la rete metallica che protegge le partizioni di erba morta dal pubblico. Giacciano spaparanzati per terra come sculture trascurate, annerite dagli elementi atmosferici. Mi faccio strada verso la conchiglia acustica, una struttura di acciaio smerlata, arrugginita come tutto il resto.»
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Mira corpora è un romanzo che per certi versi risulta ipnotizzante. Con una scrittura solida, compatta e precisa, Jeff Jackson riesce nel difficile compito di raccontare una storia di formazione senza risultare banale. Tutto quello che accade tra le pagine si porta dietro un senso di estraneità e di abbandono; c’è, all’interno di questo romanzo, una sensazione di tempo fermo, sospeso, in cui ogni cosa appare ferrosa e in equilibrio precario. Jeff (il nostro protagonista) ci coinvolge con un raccontarsi in prima persona, che ci porta in dote echi del miglior Cormac McCarthy, uno stile pulito e al contempo fermo, potente. La struttura del romanzo è divisa in spezzoni di vita, a seconda dell’età del protagonista, e le pagine scorrono via causando una sensazione di malessere che pervade tutto il libro.
«Il cervello rettile mi dice di andarmene, ma io voglio quelle sigarette, mi sporgo sopra il bancone e afferro uno dei pacchetti. Il commesso si infuria, sbatte i pugni sul banco e mi indica la porta, urla un torrente di sillabe adirate. È probabilmente un bene che il dialogo mi arrivi sotto forma di puro suono. Voglio dire, quelle parole sarebbero troppo pesanti per me, a questo punto. Infilo in tasca le cicche e mi fiondo fuori dal negozio. Il cervello rettile mi dice di non voltarmi. Corro temerariamente nella nebbia.»
È di sicuro un romanzo da leggere per tutti gli amanti della buona letteratura che non si accontentano di una bella storia, che cercano lo stile e la forza della scrittura. Jeff Jackson, autore di teatro, insignito del Master in fine arts, diventa, con questo romanzo di esordio, una delle voci più corpose della nuova narrativa americana, e lo fa con una sicurezza e una padronanza della pagina davvero invidiabili.
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È inevitabile trascinarsi dietro l’infanzia, è inevitabile diventare a volte il ricordo che ci esplode dentro la testa; non possiamo fuggire dal nostro essere umani, di carne e di ossa e di muscoli; tutto quello che ci resta, talvolta, è la possibilità di cambiare il presente e programmare il futuro; ma tutto quello che realmente abbiamo è la nostra storia, che ci precede.
Per la prima foto, copyright: Kat J.
Per la quarta foto, la fonte è qui.
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