Il passato non finisce. “Paura verticale” di Linwood Barclay
Paura verticale è l’ultimo romanzo di Linwood Barclay, ex giornalista americano che si dedica da oltre dieci anni, e con successo, alla scrittura di romanzi thriller. Paura verticale è un congegno perturbante e rizomatico tradotto da Nicola Manuppelli per la casa editrice Nutrimenti.
È suddiviso in cinque capitoli-giorni. La vicenda si svolge a New York tra lunedì e venerdì: nel prologo siamo subito introdotti nel clima del romanzo: un ascensore in caduta libera si sfracella al suolo provocando quattro morti. Poi il cadavere di un uomo, le dita mozzate e il volto irriconoscibile, viene rinvenuto lunedì mattina nel parco di High Line. A complicare le cose un paio di esplosioni di matrice terroristica: estremisti islamici o nazionalisti americani, i Flyovers? Cosa collega gli ascensori sabotati, le esplosioni e la morte dell’uomo, ascensorista e simpatizzante del gruppo Flyovers? Indagheranno i detective Delgado e Bourque. Mentre la giornalista Barbara Matheson pubblica i suoi articoli al vetriolo contro il sindaco di New York, Glover Headley, e per motivi che non ci aspetteremmo mai.
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Alla vicenda narrata s’intreccia quella di un ragazzo e del suo rapporto con la madre – «L’amore per sua madre, vittima, anni fa, di…» ma non diciamo altro – vicenda che ritorna in paragrafi scritti in corsivo a ogni fine di capitolo-giorno.
L’aspetto più interessante della storia non è solo la trama con tutti i crismi del genere, ma il fatto che il vuoto in cui precipita l’ascensore, a ben vedere, pare sublimare proprio quell’incapacità di tenere sotto controllo la vita quando si sono fatte, o subite, scelte errate. Tutti i personaggi, infatti, lungi dall’essere macchiette o pedine al servizio di un banale clima da suspense, vivono, concreti e reali, all’ombra di un ingombrante passato: «Non posso cambiare quello che ho fatto. Tutto ciò che posso fare adesso è cercare di prendere decisioni migliori da qui in avanti» dice la giornalista Barbara Matheson; i fantasmi nel presente, le angosce e le nevrosi psicosomatiche sono conseguenza di eventi subiti o agiti nel passato: il detective Bourke soffrirà di tremendi attacchi di asma di cui riuscirà a liberarsi nel corso della sua ultima impresa, subendo uno shock: un corpo che vede precipitare nella tromba vuota dell’ascensore il giorno in cui si sta inaugurando il nuovo grattacielo Top of the Park. Insomma «Le azioni hanno conseguenze. Forse non dall’oggi al domani. Forse non tra una settimana, un mese o anche un decennio» e per questo non si riesce, anche dopo il terrore di un massacro, a puntare il dito contro il colpevole: qualcosa in noi reclama una sorta, quanto meno, di comprensione intellettuale, di sicuro non ci sentiamo di giudicare. All’orrore, insomma, segue l’empatia, il dubbio che ciò che appare non è l’essenziale.
Il romanzo mette in scrittura anche le relazioni familiari – i rapporti tra i genitori e i figli sono mostrati evitando cliché e concedendo linfa vitale a quel che potrebbe diventare noiosa retorica familistica –, rapporti difficili, di amore e odio, quello tra il figlio Glover e il padre, sindaco, Richard Headley, quello tra la giornalista Barbara e la figlia Arla, rapporti crepati da proiezioni e fraintendimenti, segreti, inganni e però percorsi da sottili, salvifici, rivoli di autentico affetto. E in questo senso c’è una sotto-trama stupefacente che davvero non ci si aspetta e che racconta proprio quel privato che non pare aver nulla a che spartire con le morti e il sabotaggio degli ascensori, e invece...
Se il vuoto in cui cade l’ascensore evoca quel grande vuoto della nostra mancanza esistenziale, è pur vero che il protagonista di questo libro è il Reale«“Oh mio Dio!”, disse Dorothy. Aveva di nuovo infilato il cucchiaino nello yogurt e aveva scoperto qualcosa di piccolo e scuro che sembrava avere minuscole zampe e una coda»: pure nelle scene in cui non potremmo immaginarcelo, accade il Reale. Irrompe a sparigliare le carte dei falsi rapporti sociali e umani, delle finzioni politiche e televisive epone i personaggi, e i lettori con loro, a tu per tu con sé stessi e la propria capacità d’improvvisare. La struttura narrativa si gioca su diverse linee temporali che descrivono, in brevi, veloci e sorprendenti capitoli, il mondo da diversi punti di vista. Ogni personaggio colora emotivamente a suo modo uno stesso evento. E ci si chiede, alla fine del romanzo, cosa è la paura? E la vendetta: può essere che«Lo ha fatto per amore?»
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Un’altra cosa, forse la più essenziale per ogni grande scrittura: la mente dei personaggi, i loro corpi, e dunque il loro desiderio nonostante le ambasce e le difficoltà: «Tutti abbiamo delle complicazioni nella vita, ma andiamo avanti. Se c’è qualcosa che vuoi, la insegui, non importa quanto sia difficile o quanto tempo ci voglia». Il desiderio che rende reali e imprevedibili i personaggi di Paura verticale non è forse in grado di trasmettersi a noi lettori e farci riflettere, ma col fiato sospeso, sulla natura del nostro stesso desiderio?
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