"Il meglio di noi", imparare a vivere meglio secondo Francesco Gungui
Con Il meglio di noi Francesco Gungui torna in libreria, a due anni dal suo esordio nella narrativa per adulti con Tutto il tempo che vuoi (Giunti, 2017). Personaggio eclettico, autore di fortunati romanzi per adolescenti e fantasy, agente letterario e imprenditore, in questo nuovo romanzo ci racconta, attraverso le vicende della protagonista Sara, un possibile percorso motivazionale per superare un momento di crisi e riprendere il controllo della propria esistenza.
La crisi di Sara ha vari aspetti: parte dalla fine del matrimonio con Michele, dopo anni di incomprensioni, coinvolge l'ipersensibilità del loro bambino, Nicolò, afflitto da una dermatite di origine psicosomatica e mette in discussione tutta l'impostazione della sua vita.
Come superarla? Ci sono gli psicologi, ci sono le ricerche da fare in rete in un variegato e a volte infido mondo fatto di coach, corsi motivazionali, manuali di self-help e molto altro ancora: un mondo in cui Sara rischia di perdersi, finché non viene aiutata a iniziare un percorso corretto da un insospettabile maestro: perché ogni viaggio di un eroe ha bisogno del suo mentore.
Francesco Gungui ha riversato in questo romanzo, che si differenzia parecchio dal precedente, buona parte di un suo percorso personale: ne abbiamo parlato nel corso di un incontro nella sede milanese del gruppo editoriale Giunti.
Cosa ci dice di questo nuovo romanzo?
Considero questo libro molto diverso dal precedente: ci ho messo molta più vita e meno commedia.
È il frutto di tre anni di indagini in un mondo a parte, che comprende il coaching e tante altre cose, molto sintetizzate. La difficoltà è stata che io avevo un bagaglio infinito di cose possibili da raccontare, ma la storia ne richiedeva solo alcune, perciò ho cercato di mettere quello che è stato importante per me: le parti sul coaching sono quelle che mi sono servite nella vita reale.
Altri temi sono quelli dell'ipersensibilità e dei separati in casa. Quest'ultimo si riallaccia in parte al romanzo precedente, ma è trattato un po' fuori dai soliti cliché. Il percorso di Sara è come il viaggio dell'eroe nella mitologia: io sono un fan del mito del viaggio dell'eroe, ma ho disobbedito il più possibile allo schema classico per lasciare una struttura narrativa molto più libera.
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Come mai ha scelto di raccontare questa storia attraverso un personaggio femminile e come ha lavorato per arrivare a un risultato più che convincente?
Mi fa piacere che lo consideriate credibile! Il mio primo romanzo per adolescenti, scritto nel 2008, era raccontato da un punto di vista femminile, quello di una ragazza di sedici anni.
Io sono uomo, sposato e con figli, ma sono consapevole da sempre di avere un tipo di sensibilità femminile: esisto anche dentro il personaggio di Michele, ma sono proprio Sara al cento per cento. Per me è stata una scelta naturale, non il frutto di una ricerca.
La coppia oggi ha ruoli non tanto invertiti, ma piuttosto molto variegati, incertezze comprese.
Di fatto, penso che una coppia in crisi si ritrovi completamente nella storia che ho raccontato, ma qualsiasi coppia normale può riconoscersi in qualcosa che ho scritto.
Qual è stata l'idea di romanzo che ha espresso qui, se è diversa rispetto al precendente?
Nel precedente partivo da un punto molto forte, che era la crisi sentimentale, a cui seguiva la perdita del lavoro, da parte del protagonista, che finiva a fare il cuoco. Il tutto era narrato con toni anche da commedia, mentre qui siamo su un piano diverso. Sono partito dal tema dei separati in casa, ma poi è stata la psicologia dei personaggi a costruire la trama.
Non aveva paura di deludere i suoi lettori, che magari erano rimasti legati al tono da commedia? Capita spesso che certi romanzi, anche molto belli, abbiano poco successo perché si allontanano dallo stile abituale dei loro autori e finiscono per deludere le aspettative.
Credo che la parte in cui parlo del coaching sia quella più vicina al vecchio libro, perché per quanto profonda è anche un po' rocambolesca. Lì emerge anche la mia abituale ironia. Comunque avevo l'idea di fare un libro per accompagnare il lettore in un mondo migliore, raccontandogli esperienze che per me sono state positive.
Il libraio Achille è un personaggio molto particolare. Si è ispirato a persone reali?
Ho conosciuto tanti coach che sono spesso un po' esaltati, perché molte volte in loro mancano un po' di saggezza e di esperienza della vita, per cui ho creato un coach invecchiato e realista. Il mentore del resto è un archetipo letterario, ma è sempre una persona delusa dalla vita, che spera che il suo allievo riesca meglio di lui. Pensando al mito del viaggio dell'eroe, mi sono sempre appassionato alla figura del mentore, a partire da Virgilio che guida Dante: lui conosce la strada per il Paradiso, ma si deve fermare prima e lasciare che sia solo Dante a entrarci, e questa è una delle maggiori ingiustizie della storia della letteratura. Achille è una specie di Virgilio.
Il problema maggiore dei percorsi di coaching, secondo me, è che quelli che li intraprendono si lasciano affabulare un po' troppo dai coach.
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Ho apprezzato molto i continui richiami a Guerre stellari: anche lì c'è Luke che si affida a Joda, ma ad un certo punto deve proseguire da solo.
Guerre stellari per me è l'applicazione più bella del tema del viaggio dell'eroe, compreso l'uso della forza che è il tema a cui mi sto dedicando dopo aver finito il romanzo. Le mie ricerche continuano, anche se non so se poi ci scriverò un altro libro. Quando inizi a scavare in certi mondi, non sai mai quando ti fermerai. A me piace moltissimo fare ricerche random in rete, anche sui temi più assurdi. Ieri mi sono imbattuto in un test per misurare le proprie capacità di pranoterapeuta, una cosa che proprio non so come si possa fare da un computer...
Cosa ci dice invece del personaggio di Michele?
Che era nato come puro maschio egoista. Ne ho discusso tanto con la mia editor, ma a un certo punto ho deciso di dargli una possibilità di riscatto. Il mondo è pieno di uomini che reprimono la propria sensibilità sotto birre e calcetto... Rispecchia comunque quella percentuale di maschi italiani, siamo all'incirca uno su tre, che non fa nulla in casa. Si riscatta perché in questa storia alla fine non ci sono buoni e cattivi.
E dei tanti temi che affronta?
Riguardo alla teoria dell'ipersensibilità, devo dire che l'ho scoperta qualche tempo fa, c'è una teoria del 1999 secondo la quale almeno una persona su cinque ne sarebbe affetta. La trovo molto affascinante, un bel tema da approfondire. Per il bambino Nicolò non ho inventato nulla: da bambino io ero proprio così. La meditazione l'ho sperimentata in tempi recenti e la trovo ormai indispensabile, a me dà una ricarica energetica incredibile. Prendersi cura di se stessi è anche quello: sembrano poche cose – meditare, andare a correre – ma messe insieme funzionano tantissimo.
Non ha avuto la tentazione di scrivere, più che un romanzo, un saggio o un manuale per raccontare le sue esperienze e le sue scoperte, soprattutto nel mondo del coaching?
Mi sa che prima o poi lo scrivo. Nel mio caso sarebbe una sintesi di varie cose, ma sempre con un approccio da narratore, che è quello che mi è congeniale, quindi non certo da dispensatore di metodi infallibili, ma come suggeritore di storie possibili. I manuali spesso sono ingannevoli, soprattutto quando ti spiegano come essere felici in cinque minuti. Personalmente ho messo in piedi una società che si occupa della formazione dei coach, con un corso molto serio che dura un paio d'anni.
C'è stato un momento in cui si è trovato in difficoltà scrivendo questo libro?
Ce ne sono stati almeno mille: è stato un libro molto più sofferto del precedente. Un po' perché l'ho scritto mentre vivevo certe esperienze, per cui non sapevo bene quando mi sarei fermato e quanto avrei potuto mettere nella storia, un po' perché non era semplice integrare nella narrazione il tema del coaching che mi stava a cuore.
Negli anni ho seguito due linee di ricerca personale: una sul mondo del coaching, l'altra su tutti i fenomeni irrazionali che mi incuriosivano, dai sensitivi ai pranoterapeuti, inclusi medium, veggenti e sciamani. Il cuore del libro per me sta comunque nel mostrare quello che ciascuno può iniziare a fare per stare meglio.
Non ha rischiato di perdersi un po' nelle sue ricerche?
Sicuramente. Bisogna comunque continuare a occuparsi di tutto il resto e poi imparare a distinguere vero e falso, ma io sono inguaribilmente curioso e spesso non riesco a frenare la mia curiosità.
Quando trova il tempo di scrivere?
Bella domanda! Oltre alla scrittura, al lavoro come editor e come coach, ho anche una vita da imprenditore, perché ho rilevato la piccola azienda di mio padre, che si è ritirato dalla sua attività, e un paio di giorni alla settimana li devo passare lì.. Cerco pure di essere presente in famiglia, almeno nei fine settimana.
Aveva già in mente la storia familiare di Sara fin dall'inizio oppure si è costruita scrivendo?
In parte sì e in parte no. Sapevo che Sara doveva seguire un suo percorso e che Nicolò doveva avere certe caratteristiche, il resto è nato a poco a poco.
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Il personaggio a cui è più legato?
Direi Sara, perché facevo comunque il tifo per lei mentre scrivevo. È possibile seguire in pochi mesi un percorso di crescita e migliorare davvero la propria vita. L'importante forse è capire che non è necessario pianificare tutto e subito, ma che un cambiamento può avvenire iniziando con un piccolo passo per volta, fermandosi e ripartendo. Esiste anche il diritto di regalarsi delle pause.
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Per la prima foto, copyright: Samuel Zeller su Unsplash.
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