Il lato doloroso delle donne. Intervista a Tea Ranno
Tea Ranno, la scrittrice siciliana che ci ha già offerto splendidi ritratti femminili nei suoi precedenti romanzi, è appena tornata in libreria con Sentimi (Frassinelli, 2018), di cui potete leggere qui la recensione.
Sentimi è un romazo forte e corale, in cui molte donne raccontano le proprie storie, cariche di violenze e di soprusi, quantomai attuale nei giorni in cui i femminicidi riempiono sempre più spesso le pagine dei giornali. Ne abbiamo parlato con l'autrice, insieme a Cinzia Carlino di Frassinelli, in una conversazione avvenuta a Tempo di Libri proprio il giorno della Festa dellaDonna.
Che cos'è per lei l'empatia, questo sentire comune delle donne che si avverte nel libro?
Qualcosa che prescinde dalla razionalità, un capirsi e un sentirsi che va oltre la mente.
Ci si mette a nudo, perchè nel momento in cui io, donna, mi apro a te, un'altra donna, vado oltre ogni barriera, anche quella dei miei vestiti e della mia pelle, per arrivare a uno scambio di anime. Questo percorso a volte è impervio, perché nessuno è disposto a scoprirsi così tanto da permettere un dialogo intimo, ede è questo che ho cercato di fare con le donne che ho voluto raccontare. Loro non mi davano tregua, mi chiedevano di ascoltarle.
Le storie che contiene sono tutte storie di violenza, di sopraffazione, di maschi cattivi, perciò chiedo: oggi, nel 2018, siamo ancora messe così male noi donne?
No, per me no. Questa storia è circoscritta in un brevissimo lasso di tempo e le donne che si raccontano fremono, perché la morte le ha accolte lasciando irrisolte determinate questioni. Un giorno mi è capitato di dire che non ci sono donne felici a raccontarsi in questo libro perché loro non saranno fantasmi inquieti, ma stelle comete, in un luogo di felicità come i Campi Elisi o il Paradiso. Quelle che invece in questa notte si manifestano bruciano per una ferita, che può essere anche un rancore o una mancanza, una verità distorta. Noi non siamo tutte così: esiste un bellissimo lato femminile, fatto di solidarietà e di sorellanza, che io ho anche la fortuna di vivere.
Questi personaggi riescono a sciogliere il loro dolore raccontandosi, attraverso un processo di liberazione, ma la società per fortuna non è solo questa.
L'amore è alla base di questo romanzo, ma in che senso viene inteso?
È un amore multiforme, che si rivolge anche a figli e sorelle, e che viene spesso frainteso e tradito. Nonostante tutti i loro dolori, queste donne riescono comunque a unirsi per salvare una bambina. Si parte dal femminicidio, ma non è un libro sul femminicidio, perché le donne vengono uccise in quanto donne, ma anche per tanti altri motivi.
Ci sono parecchie forme di amore malato in questo libro. C'è senza dubbio la solidarietà fra donne, ma ci sono anche alcune figure femminili veramente cattive. Cosa ci può dire di questo lato negativo delle donne?
Tutta l'umanità è divisa tra buoni e cattivi, per cui anche le donne si dividono tra buone e cattive. C'è anche chi fa il male per il puro gusto di farlo, senza distinzione di sesso. E c'è anche la zona grigia di chi non è del tutto perfido ma nemmeno buono.
Infatti si arriva a provare una certa empatia anche nei confronti di alcuni personaggi negativi, che hanno comunque delle giustificazioni per essere tali.
Non ho voluto fare un catalogo di eroine, perché sarebbe stato un falsare la realtà, un santificare tutte le donne, cosa non vera.
Come ha fatto a scrivere tutte queste storie così strettamente intrecciate fra loro senza perdere il filo, soprattutto senza perdersi?
A nu certo punto mi sono fatta un elenco di personaggi perché temevo di sbagliare, di non ricordare qualcosa, ma devo dire che nel suo racconto incalzante ogni donna suggeriva la risposta di quella successiva, aprendo la porta a un altro racconto. Ho dovuto soprattutto evitare il sovraffollamento, però ognuna doveva avere il suo tempo per parlare.
In questo libro ho trovato tanti elementi della tragedia greca, dalle voci del coro alla simultaneità dell'azione e del tempo.
Ho studiato al liceo classico di Siracusa, dove l'INDA, Istituto Nazionale di Drammaturgia Antica, veniva spesso a scegliere le ragazze del coro tra noi studentesse.
Mi è rimasto un legame molto forte con la drammaturgia: studiavamo la letteratura greca ma vedevamo le stresse tragedie rappresentate.
Qual è l'importanza del cuntu, la narrazione orale?
Ci sono tanti piani di scrittura. Il cuntu è bellissimo perché in esso c'è la narrazione orale, di fronte a una platea con cui ti relazioni. Quando poi la narrazione orale diventa scritturac'è un passaggio ulteriore che è un filtro. Puoi raccontare, scrivendole, delle cose su cui poi rifletti. Nell'oralità c'è l'immediatezza del raccontare, ma scrivere comporta una grandissima responsabilità: la scrittura è uno strumento che permette che far giungere la mia voce ad altri e può diventare un rasoio, un veleno, una bomba che esplode.
La realtà è dura e triste. Donne che vengono uccise e bambini che restano senza genitori, bambini che crescono sapendo di avere alle spalle una tragedia, donne che vanno nei centri antiviolenza. Passare dal sentito, letto, immaginato a riempire un foglio di scrittura pone la domanda se restituire la realtà così com'è oppure filtrarla per renderla fruibile.
Non puoi trasferire la realtà in un libro così com'è. Chi legge deve vedere cosa racconto, ma il patto lettore-scrittore prevede che io dia un input, che poi il lettore seleziona e completa. Per questo per me un libro è sempre meglio di un film: in un film ricevi le immagini, le voci, le musiche scelte dal regista, mentre in un libro le parole ti permettono di evocare una visione che è la tua. Ognuno leggerà una cosa diversa dall'altro.
Il femminicidio in realtà avveniva anche in passato ma non se ne parlava. La situazione è peggiorata o no?
Non so dare una risposta. Di sicuro l'amplificazione mediatica può suscitare sentimenti di emulazione: c'è chi si vanta sui social di aver eliminato qualcuno e chi pensa di poter fare lo stesso e restare magari impunito. L'altra faccia della medaglia, però, è la possibilità per le donne di denunciare, di creare una rete che ci salvi.
Parlando del linguaggio, mi ha incuriosito la contaminazione tra il siciliano e un italiano in qualche modo arcaico. Questo modo di raccontare è spontaneo o frutto di un lavoro complesso?
Hanno parlato così le donne, donne perlopiù del passato, per cui le parti di raccordo sono rimaste conformi alle voci narranti.
Nel libro ci sono riferimenti ai personaggi di suoi libri precedenti. Come mai?
Questo libro non era nato come romanzo o come storia da proporre a uneditore e non è la prima volta che mi capita, mi era successo anche con La sposa vermiglia.
Ci sono momenti della vita in cui sono subissata da altro, faccio in primis la mamma e non penso che la maternità sia qualcosa di riduttivo, tra l'altro ho avuto due gemelle, e ho bisogno di raccontarmi delle storie, quando la realtà fa troppo male. Nel 2016, se vi ricordate, c'è stata la storia di Sara, una ragazza che alla Magliana, non lontano da dove abito io, era stata bruciata viva dal fidanzato. Nei primi mesi del 2016 sono state uccise 116 donne: sentirne parlare, avere due ragazze e temere per loro, il tutto catalizzato da altre cose, ha creato in me una combinazione esplosiva, che si è tradotto in una scrittura non pensata né elaborata, io tra l'altro scrivo a mano su una serie di quaderni numerati e datati.
Simenon nelle sue memorie intime raccontava di come prendeva nomi a caso dalla guida telefonica, su cui costruiva i profili dei personaggi. Io ho fatto la stessa cosa, ma mi venivano in mente solo nomi femminili e con la data di morte oltre quella di nascita.
Perché tutti i suoi romanzi sono ambientati in Sicilia, anche se lei da tempo vive a Roma?
Perché me ne sono andata. Finché ci vivevo non m'importava, nel momento in cui mi sono trasferita la Sicilia mi è venuta a mancare. Io non parlo il siciliano perché in casa mia si parlava solo italiano, per volontà di mia madre che faceva la maestra, però andavo alla stazione Termini, dove partiva il treno per la Sicilia, ad ascoltare i viaggiatori che parlavano siciliano. La Sicilia che racconto è quella desiderata, sognata, un po' onirica, e che dipende anche dalla letteratura e dalle storie che mi legano a lei.
Allora se non fosse siciliana scriverebbe in modo diverso, o magari non avrebbe scritto?
Senz'altro. Ho cominciato a scrivere molto presto per sopravvivere allo studio del diritto. Scrivevo fiabe e favole, poi, mentre facevo pratica per il notariato, una mia amica ha portato un mio racconto a un editore che poi mi ha convocato e lì ho iniziato a fare la gavetta nel mondo letterario. Sì, avrei forse scritto, ma tutt'altro.
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Per la prima foto, copyright: Zach Guinta.
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