Il fascino della cucina. “Generi di conforto” delle Sorelle Passera
Quali sono i generi di conforto? Ognuno hai i proprio verrebbe da dire. Chi legge, chi dipinge, chi fa musica, chi corre… potremmo andare aventi all’infinito. Le sorelle Passera hanno scelto le ricette contenute nel libro Generi di conforto uscito lo scorso settembre per Tea. Tra le pagine di Gigi e Marisa – note come le sorelle Passera – si trovano ricette (dagli antipasti ai dolci), ma anche simpatici aneddoti, consigli culinari e di vita e ricordi di famiglia. Un libro che non solo insegna a cucinare, a scoprire nuovi gusti e sapori, ma anche a trovare la gioia, la bellezza e il piacere del vivere nelle piccole cose della vita quotidiana.
Come è nata l’idea del libro e perché il cibo è genere di conforto per voi?
Gigi – Cucinare, accogliere e scrivere sono le cose che credo di sapere fare meglio nella vita, il libro è stata la naturale conseguenza a questa propensione. Vero è che se non ci fosse stato il nostro sito che già aveva spalancato al pubblico le porte della nostra cucina tutto questo forse non sarebbe successo.
Marisa – I generi di conforto sono quei beni preziosi che riempiono gli occhi, la pancia e il cuore, sono piccole magie che riescono a tutti e illuminano il quotidiano. Il cibo per noi è conforto, cura, amore: in termini di affetto una polpettina servita in tazza con il purè equivale al bacio sulla fronte che la mamma ci dava per sentire se avevamo la febbre.
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Com’è stato mescolare ricette, ricordi di famiglia ed emozioni?
Gigi – Siamo una famiglia ad altissimo tasso emotivo. Tutto ci fa commuovere, nostro padre aveva sempre pronti in tasca diversi fazzoletti perfettamente stirati da distribuire all’occorrenza, ed è proprio nel cibo, insaporito e amalgamato di ricordi, che troviamo momenti di fortissima unione. Io e Marisa, per dire, lo abbiamo sempre usato come merce di scambio affettuosa per suggellare alleanze e trattati di pace. Scrivere la nostra storia attraverso queste ricette è stato un modo per tenerci ancora più strette, quasi fosse cemento a presa rapida.
Marisa – È stato molto naturale mescolare ricette, emozioni e ricordi, anzi sarebbe stato per noi impossibile il contrario. Ogni momento della mia vita è legato indissolubilmente al cibo, dalle caramelle al rabarbaro che mio nonno metteva nel suo fazzoletto e rompeva poi con un sasso in pezzetti di dolceamaro perché ero troppo piccola per mangiarne una intera, fino agli arancini che hanno sostituito il lancio del riso al mio matrimonio.
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Sono state più le ricette ad aver influenzato la vostra vita o la vita ad aver influenzato la “forma” dei piatti raccontati in queste pagine?
Gigi – Non credo sia possibile tracciare una linea retta. La vita mi ha regalato delle ricette da tramandare, altre ne ho create io impastando sapori, incontri e nuove emozioni. Spero che un giorno mio figlio, o chi verrà dopo di lui, conserverà lo stesso gusto per la memoria. Tanto più che oramai non c’è scusa che tenga: esiste un libro, Generi di conforto, che funziona meglio di una capsula del tempo.
Marisa – Credo che siano ricette piene di vita: la nostra, e il ricordo di quella delle persone di famiglia che non ci sono più. Continuando a cucinare i loro piatti siedono comunque alla nostra tavola imbandita.
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Il piatto al quale siete più affezionate e perché?
Gigi – Niente mi parla di cura, amore e casa più di una cotolettina ben fritta, è sempre stato il mio genere di conforto assoluto. Ora che sono madre e la padella dalla parte del manico ce l’ho io, ho anche capito perché: tu friggi, sporchi, magari ti scotti pure e la casa puzzerà per giorni ma la gioia che stai per regalare ti ripagherà di tutto. E poi certo, mentre friggi succede che ti tocchi assaggiare di nascosto, un piccolo piacere solitario che consiglio a tutti.
Marisa – L’inizio del mio amore per la cucina, il campanello che ha svegliato il mio gusto, sono state le acciughe. La nonna me le preparava a merenda con il pane e il burro, e ancora adesso le infilerei in ogni ricetta, tanto sono piccole, d’argento, e sgusciano via in un lampo lasciandoti il sapore di un tuffo nel mare.
Tra le pagine del libro ci sono anche i vostri ricordi di famiglia. Quali valori vi hanno trasmesso – a livello culinario e umano – i vostri nonni fuggiti da Zara?
Marisa – I miei nonni erano profughi della Dalmazia, sono fuggiti durante la guerra e non sono mai potuti ritornare a casa, se non con il cuore almeno due volte al giorno quando la nonna cucinava. Avevano perso tutto, a parte un album di fotografie e una boccetta di cristallo, ma avevano conservato intatti e nitidi i ricordi, e ci hanno insegnato a nutrirli tutti i giorni, a innaffiarli come si fa con le piante, fino a farli diventare nostri perché non si perdessero mai più. Così, quando cucino lo strudel della nonna, che io chiamo del teletrasporto, mi sembra di riaccompagnarli per mano a casa seguendo il profumo delle mele e della cannella.
Gigi – Uno dei miei ricordi più dolci è legato alle mani operose di mia nonna Maria, sempre sporche di farina. Tutto il giorno nella sua micro-cucina impastava torte, tagliatelle e gnocchi con lo sguardo sognante e il cuore malinconico, imbrigliato com’era al vaporetto che avrebbe dovuto ricondurla a Zara. Da lei ho imparato che nulla di importante è davvero mai perso, basta volere forte che continui a esistere.
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Cucina tradizionale, moderna, internazionale, etnica. Secondo voi oggi quanto contano le contaminazioni culinarie?
Marisa – Amo tutti i tipi di cucina, a seconda del momento sento il bisogno di un bel piatto di tortellini in brodo fumante, mi abbranca il desiderio di un’insalata russa caramellata, mi tuffo carpiata in un bagel al salmone o sogno di aprire una paninoteca di solo naan. Credo che le contaminazioni creino valore in ogni ambito, non solo culinario.
Gigi – Per me tantissimo, sono per il metissage, in cucina come nella vita. Le spezie, le materie prime esotiche ma anche quelle extra regionali, mi permettono di viaggiare da ferma. Costa meno di un last minute e lo posso fare tutte le volte che desidero.
Il cibo è un abecedario delle emozioni, ma il cucinare può essere anche terapeutico?
Marisa – La cucina è la mia bolla magica, dove si placano i pensieri e il tempo è sempre bello, al massimo scende la neve ma se ne fai sciogliere un fiocco sulla lingua ti accorgi che è zucchero a velo. Niente mi rilassa come cucinare, anche quando mi lamento ad alta voce, mi lamento solo perché voglio che gli altri poi lavino i piatti.
Gigi – Scherzo spesso su questo, ma in fondo sono seria: cucinare è l’unica attività sportiva che svolgo. Se fosse una disciplina per me sarebbe yoga: inspirare, impastare, espirare. Spirituale e ginnica al contempo, senza ombra di dubbio terapeutica.
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Quanto è importante conoscere e avvicinarsi alle cucine differenti da quella con la quale siamo cresciuti?
Marisa – Io sospetto, fortemente sospetto, di tutte quelle persone che dicono: no, non lo assaggerei mai. Se non sei curioso e aperto nei confronti della cucina, che è nutrimento soprattutto emotivo, non lo sarai nemmeno della vita.
Gigi – Fondamentale, senza curiosità e apertura verso il mondo non esisterebbe progresso.
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Per la prima foto, copyright: Nicolas Gras.
Per la terza foto, copyright: Julian Hargreaves, su gentile concessione dell’editore.
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