Il dolore raccontato con lo sguardo di un bambino. “L’innocente” di Marco Franzoso
Puntata n. 45 della rubrica La bellezza nascosta
“«Ricordati, Matteo» diceva, «nella vita sono importanti tre cose.» Si fermava ancora, gli metteva una mano sulla spalla e stringeva per fargli capire che gli voleva bene, e che quelli erano gli insegnamenti fondamentali di un padre. «Tre cose, hai capito? Misurare, scavare e poi dimenticare.» Con queste era cresciuto lui, e con queste doveva crescere anche Matteo. Tic. Quante volte suo padre le aveva ripetute. Sentiva la sua voce calda e rassicurante che lo tranquillizzava, anche ora che, scaduto il tempo delle riflessioni e dei dubbi, era giunto il momento di metterle in pratica. Soprattutto l’ultima.”
Il lutto spesso può trasformarsi in un luogo inabitabile, una terra che fino a qualche istante prima era straniera diventa casa, una casa dalle pareti che si stringono, dalle finestre che non si aprono, una casa con terremoti continui e potenti, con tetti che crollano. Il fantasma del lutto per un bambino può essere un mostro, può trasformarsi, per usare un archetipo che era tanto caro allo psichiatra Jung, nell’Ombra; questa Ombra con il tempo, se non affrontata nella giusta maniera, ha la possibilità di crescere come fosse un cancro e di arrivare a infettare ogni singola parte emozionale di quel bambino, fino a rendere poi traballanti i suoi rapporti interpersonali.
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Quando viene a mancare un membro della famiglia, uno dei due genitori, il “sopravvissuto” è costretto a fare i conti con una realtà nuova, con movimenti e spostamenti diversi, e con un ordine perduto. E spesso, quel genitore ha bisogno di un aiuto almeno nel momento inziale, in quelle settimane che servono per ricostruire le fondamenta. Ma di chi ci si può realmente fidarsi? Cosa accade a un bambino se le mani della persona che avrebbero dovuto difenderlo e salvarlo diventano le mani del “carnefice”?
Marco Franzoso è nato nel 1965, il romanzo L’innocente è stato pubblicato in Italia da Mondadori.
Ci troviamo dentro la vita di una famiglia, una madre (Enrica), un padre morto (Franco), una figlia (Clarissa) e un figlio (Matteo) ed è su quest’ultimo che si concentra il focus e la totalità della narrazione. In quel terremoto emotivo e pratico che succede al lutto in questa famiglia, Clarissa è costretta a inventare una nuova esistenza, per sé e per i figli; ma la mancanza di un’abitudine alla mancanza del marito e al dover gestire i due figli e la casa, da sola, la portano a cercare un aiuto, e decide di lasciare ogni giorno, per qualche ora, Matteo in una parrocchia.
«Il Giudice e la Psicologa si erano rilassate e scambiate un sorriso di intesa. Da un momento all’altro era finita. La Psicologa aveva guardato Matteo con un’espressione che sembrava materna, da amica, o da zia. Era sollevata, pareva dirgli che era andata bene ed era tutto finito, che poteva tornare a essere quello di prima. Il Giudice era concentrato, aveva sbuffato e poi aveva letto qualcosa nel telefonino. Aveva corrugato la fronte e aveva scritto un lungo messaggio. «Ottimo» disse. «Come stai, Matteo?» «Bene.» «Hai sete? Vuoi una caramella?» «No.» «Prendi una caramella, su, Matteo» insisteva il Giudice.»
Il nuovo romanzo di Franzoso inizia portandoci subito dentro il dolore e lo smarrimento di Matteo per la morte del padre e per qualcosa che è accaduto e che lui vuole costringersi a dimenticare. Con un linguaggio molto semplice e immediato, Marco Franzoso ci porta dentro la mente di un ragazzino di dieci anni, dentro le sue paure e le sue incertezze, e soprattutto prova a farci capire quanto possa essere labile, per un bambino, il confine tra colpa e innocenza.
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L’innocente è un romanzo che esplora l’universo difficile e traballante dell’infanzia, e come già altre opere di Franzoso, ci mostra le conseguenze nere e dolorose di quanto le nevrosi di un adulto possano inquinare il mondo di un bambino.
«La mamma guidava piano anche se la strada era deserta. Si erano lasciati la chiesa alle spalle e avevano superato la canonica, che da giorni teneva le serrande abbassate. La mamma adesso piangeva, un pianto trattenuto e senza respiro. Entrava in apnea e poi sbuffava, e soffiava fuori l’aria con la bocca stretta. Si asciugava le lacrime con un fazzoletto e lo premeva davanti alla bocca. Doveva piangere così anche quando si chiudeva in bagno, il suo pianto opaco. «Io...» sospirava. «Non è giusto che...» Procedeva con prudenza, pareva che guidare le risultasse molto faticoso. «Matteo, tu hai capito, ormai sei grande, ci siamo noi due.» Riprese a piangere. «E... Adesso non so più cosa dire...» «Mamma.» «Dobbiamo aiutarci... Almeno tra di noi.» Aveva raggomitolato il fazzoletto e lo aveva infilato dentro la manica della camicia, un gesto che faceva la nonna.»
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Quando sei un bambino assorbi il mondo esterno come fossi una spugna, la tua percezione del reale è pulita, e non sei a conoscenza delle distorsioni e della parte sporca della vita. Tutto quello che ti accade viene parametrato attraverso la tua visione del reale; ma basta poco per distruggere le sfere emotive di un bambino e costringerlo, poi, a una vita all’inseguimento di un equilibrio psicofisico da raggiungere in maniera difficoltosa e con sofferenza, basta un incontro sbagliato, un momento fuori posto, basta che qualcuno non si renda conto che sì, sei solo un bambino.
Per la prima foto, copyright: Andrik Langfield.
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