“Il botanista”, alla scoperta dei tesori della natura con Marc Jeanson
Il botanista (Corbaccio, 2019 – traduzione di Maddalena Togliani Fessart) è un libro curioso, scritto da Marc Jeanson con la giornalista Charlotte Fauve, che è un po’ un’autobiografia e un po’ una colta divagazione sulla storia della botanica.
Marc Jeanson è infatti un giovane botanico e agronomo, responsabile dal 2013 dell’Erbario del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi e, raccontando il percorso personale che l’ha condotto a ricoprire quell’incarico, traccia anche una storia molto interessante delle scoperte fatte nei secoli passati da quegli scienziati a cui dobbiamo la classificazione e la catalogazione delle specie vegetali presenti sul pianeta.
In realtà, come ci spiega Jeanson, gli esemplari di piante raccolti nei grandi erbari come quello di Parigi e di altri musei costituiscono solo una parte di tutte le specie esistenti, oltre a conservare tracce di piante ormai scomparse perché inesorabilmente estinte. Quella dei botanici si rivela quindi soprattutto come una grande corsa contro il tempo, nel tentativo di giungere a una classificazione completa, ma in pratica quasi impossibile, perché l’evoluzione favorisce quasi ogni giorno la nascita di nuove specie.
Il libro di Jeanson è anche un grande omaggio a scienziati poco noti al grande pubblico, che hanno viaggiato per il mondo, esplorando territori sconosciuti e a volte pagando persino con la vita la loro fame di conoscenza, lasciandoci però in eredità un patrimonio scientifico inestimabile.
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Abbiamo fatto qualche domanda a Marc Jeanson, a Milano per la presentazione dell’edizione italiana del suo libro.
Leggendo il suo libro, mi sono sentita molto ignorante. Insegnare a scuola a riconoscere le piante che ci circondano, magari creando un proprio erbario personale come usava in passato, sarebbe un buon modo di avvicinarsi di più alla natura?
Certamente! Le generazioni attuali hanno perso del tutto la capacità d’identificazione e di descrizione del mondo. Si è perso il metodo, lo sguardo, il vocabolario: non abbiamo più né gli strumenti né le parole per descrivere il mondo vivente che ci circonda. Per me è una cosa grave, perché noi continuiamo a dipendere da questo mondo vivente per sopravvivere, un mondo che è in pieno mutamento.
Non conosco bene i programmi scolastici francesi, né tantomeno quelli italiani, perciò non so quanto venga effettivamente trasmesso ai bambini. A mio avviso esiste però un’urgenza di ricreare dei legami e ridare agli studenti e poi anche ai cittadini la capacità di descrivere e dare un nome agli esseri viventi che li circondano.
Le biografie degli scienziati di cui si parla nel suo libro sono spesso davvero affascinanti, ma a parte Linneo si tratta di persone praticamente sconosciute. Una storia delle scienze potrebbe essere una materia scolastica appassionante?
Sì, perché la storia delle scienze parla dei pensieri, della geografia, dei viaggi, della ricerca di metodi di classificazione del mondo. Sarebbe interessante come materia, soprattutto per combattere la diffusione di tante false credenze, anche se è sempre una questione di tempo: il mondo è sempre più complesso, si cerca di apprendere il maggior numero di materie possibili per cercare di capirlo, ma il rischio è che i poveri studenti siano oberati da troppe cose. In ogni caso, se ne dovrebbe almeno parlare un po’ di più di quanto si faccia oggi.
Uno dei grandi problemi affrontati da Il botanista è quello del tempo: si teme di non avere il tempo di classificare tutte le specie vegetali prima che scompaiano. Dal suo punto di vista, quanto incide il comportamento umano sull’estinzione di tante piante? È possibile modificare qualcosa?
L’azione umana nel suo complesso – sovrappopolazione, fabbisogno energetico, disboscamento per coltivare – è senz’altro unaminaccia per la biodiversità. Poi c’è il problema del clima e questo intreccio di cause ed effetti rende comunque la presenza umana una minaccia per il mondo vegetale e animale. Sono tante le cose che potremmo fare per cambiare la situazione, diventando più rispettosi per la natura: oggi si comprendono i problemi, se ne analizzano le cause, si propongono rimedi e soluzioni, ma il problema resta l’applicazione di queste soluzioni, che ormai sono note a tutti.
In questo momento, mentre i giovani di tutto il mondo manifestano contro le devastazioni ambientali, la domanda dominante è questa: abbiamo ancora tempo per invertire la rotta e salvare il pianeta?
Non so rispondere perché non sono un visionario e non possiedo una sfera di cristallo, però ciò che posso dire è che più presto inizieremo ad agire con serietà e maggiori saranno le probabilità di successo. Lo vediamo quando vengono tutelate certe zone: la biodiversità riprende e continua molto più in fretta di quanto ci si aspetti, almeno oggi. Per ora riusciamo ancora ad agire ottenendo degli effetti positivi, ma più aspetteremo e meno riusciremo a recuperare il tempo perduto.
Ho letto che lei presto lascerà Parigi per andare a dirigere il Jardin Majorelle a Marrakech, un grande orto botanico, passando quindi dalle piante seccate e conservate a quelle viventi. Cosa si aspetta da questo passaggio?
Passerò da un tipo di collezioni a un altro, ma questo non significa che metterò da parte gli erbari: sarà un approccio più globale, mi occuperò sia delle piante conservate, sia di quelle viventi. Quello che mi piace è che oggi l’Herbier dove lavoro non è una collezione aperta al grande pubblico, mentre a Marrakech sarò in un orto botanico aperto ai visitatori. Oggi credo che un orto botanico sia il luogo migliore, nel ventunesimo secolo, per mostrare alle persone la ricchezza del patrimonio vegetale e della biodiversità. Lì è possibile fare un discorso diretto ai visitatori, quindi penso di poter avere maggiori possibilità di diffondere un messaggio sulla protezione del mondo vegetale e sulla sua bellezza.
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Qual è la cosa più importante che ritiene di aver appreso studiando il mondo vegetale?
L’opportunità dei biologi, si occupino di botanica, di zoologia o di mineralogia, è quella di avere un approccio a delle misurazioni spaziotemporali totalmente diverse da quelle della nostra vita quotidiana. Oggi siamo ossessionati dagli spazi circoscritti, dalla velocità, dai tempi brevi, dalle decisioni da prendere per uno, due o cinque anni, ma la biologia non funziona così: considera i secoli, i millenni e anche molto di più, non si limita allo spazio limitato di una regione ma prende in esame i continenti. Le letture politiche sono sempre limitate nello spazio e nel tempo.
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Per la prima foto, copyright: Sarah Dorweiler su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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