"I prescelti", una pagina oscura del nazismo raccontata da Steve Sem-Sandberg
I prescelti (Marsilio, 2018 – traduzione di Alessandra Albertari) è il secondo romanzo che Steve Sem-Sandberg, giornalista e scrittore svedese, dedica ai crimini commessi dal nazismo dopo il successo de Gli spodestati (Marsilio, 2012 – traduzione di Katia de Marco), che raccontava, in un grande affresco corale, le vicissitudini del ghetto di Lodz, in Polonia, e del suo discusso e ambiguo capo Mordechai Chaim Rumkowski.
AncheI prescelti è un romanzo corale, affollato di storie e di personaggi ambientato a Vienna negli anni della seconda guerra mondiale: l'Austria è stata occupata dai nazisti nel 1938, cosa che in realtà non dispiace a una larga fetta della popolazione austriaca, che si mostra favorevole al sogno hitleriano di una Grande Germania.
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Il grande ospedale psichiatrico di Spiegelgrund, alla periferia della città, è stato trasformato in un istituto dove vengono rinchiusi bambini e ragazzi caratterialmente "difficili" o con problemi di vario genere, sia fisici, sia psichici, con lo scopo ufficiale di assisterli, ma la realtà è ben diversa: Spiegelgrund diventa ben presto l'anticamera per un viaggio senza ritorno, perché i medici pianificano in modo minuzioso l'eliminazione dei degenti, secondo il programma di eutanasia infantile emanato dal governo centrale di Berlino. Nel mondo nazista non c'è posto per i deboli e gli imperfetti, considerati un peso morto per una dittatura desiderosa di dominare il mondo e che sogna l'affermazione di una perfetta razza ariana.
La vita all'interno dell'ospedale viene descritta da Sem-Sandberg seguendo soprattutto le vicende di Adrian Ziegler, un ragazzino che sarà tra i pochi sopravvissuti, e di Anna Katschenka, un'infermiera che, per un mal interpretato senso del dovere, finisce per mettere da parte la sua etica professionale in nome di un'obbedienza cieca e totale ai superiori.
I prescelti è un romanzo molto complesso e di lettura non facile, basato sulla minuziosa consultazione, da parte di Sem Sandberg, di documenti originali dell'epoca tenuti segreti fino a pochi anni fa. Ci spalanca le porte di un mondo terribile, ma di cui tendiamo troppo spesso a dimenticare il fatto che sia purtroppo esistito realmente, e in un tempo non così tanto lontano dal nostro.
Abbiamo potuto intervistare Steve Sem-Sandberg in occasione del suo passaggio da Milano per partecipare a I Boreali, l'annuale festival della letteratura nordica ideato dalla casa editrice Iperborea.
Perché uno scrittore svedese, quindi appartenente a un Paese rimasto sostanzialmente immune dai crimini del nazismo, ha deciso di scrivere dei romanzi sul nazismo?
Prima di tutto, non credo che ci possano essere delle restrizioni di tipo etnico o nazionalistico sull'argomento su cui uno scrittore decide di scrivere. In secondo luogo, io non sono nato svedese, ma norvegese: i miei genitori hanno sofferto sotto l'occupazione tedesca della Norvegia e mio nonno è morto durante la guerra.
In un suo importante articolo di qualche anno fa, lei difendeva il diritto di scrittori come Herta Müller di scrivere dei campi di sterminio nazisti, o dei campi di lavoro comunisti, anche se non ci erano stati. Lei, in particolare, è stato criticato per aver scritto questi romanzi?
Se ci si pone questo tipo di limitazione, dicendo che si può scrivere delle cose che ci hanno coinvolto personalmente, in pratica non si può scrivere di nulla se non del proprio matrimonio, di un'esperienza di aborto o del traffico cittadino. Questo è un pregiudizio di tipo morale, che non ha niente a che vedere con la letteratura. La discussione sulla letteratura dell'Olocausto dura da molto tempo, si può risalire addirittura ad Adorno e a Wiesel, ma posso rispondere alla sua domanda in modo affermativo: sì, c'è stato chi mi ha criticato per aver scelto questi argomenti.
Da lettrice ho trovato molto impegnativa la lettura di questo libro, perché mette di fronte a cose che magari si preferirebbe non sapere. Ma quando è stato difficile scriverlo? Passando mesi e anni lavorando attorno a questo argomento non si corre il rischio di essere sopraffatti dall'orrore?
Sì, in parte lo sono stato. Ho vissuto per cinque o sei anni insieme a questi bambini, di cui ricostruisco le storie, giorno dopo giorno, ed è stata un'esperienza che ha cambiato profondamente la mia vita.
Lo stile del romanzo è spesso quasi più documentaristico che narrativo. È stata una scelta voluta oppure le è venuto spontaneo scriverlo così?
Non sono d'accordo con lei, perché se è vero che il mio stile è diverso da un certo tipo di letteratura popolare, che usa il dramma in modo più teatrale, con continui colpi di scena, si tratta comunque di uno stile letterario, che si può ritrovare anche in Thomas Bernhard e in altri autori mitteleuropei. Naturalmente il libro si basa sull'uso dei documenti, ma lo stile non è legato così strettamente ai fatti. Io, del resto, sono stato giornalista per venticinque anni, e allora scrivevo in modo un po'diverso.
Da quando è stato istituito il Giorno della Memoria, in questa occasione escono ogni anno nuovi libri: saggi storici, ma soprattutto romanzi ambientati nel periodo della seconda guerra mondiale e che vertono spesso sui campi di sterminio. Secondo lei questo è positivo o negativo? Il male romanzato non rischia di diventare banale, o peggio di allontanarsi dai fatti realmente accaduti?
Sicuramente sì. Entro certi limiti, tutte le attività che ruotano attorno al Giorno della Memoria sono una forma di ritualizzazione della memoria stessa, e non sempre riescono a suscitare una reale empatia nei confronti delle vittime e delle persone traumatizzate, che sarebbe poi il vero obiettivo di questa celebrazione: far sì che tutti si avvicininoalle sofferenze patite. Ma tutti i riti, in fondo, tendono a semplificare e a banalizzare.
In effetti, molti dei libri che escono ogni anno su questo tema sono inutili, ma credo che sia importante fare una distinzione. Da un lato ci si può soffermare sulla banalizzazione e sulla diffusione forse esagerata, ma dall'alro si può avere un punto di vista diverso, che poi è il mio: quello di considerare più importante il giudizio su ogni singolo titolo che viene pubblicato, chiedendosi come questo libro possa aiutare a dare una nuova prospettiva, una nuova visione della storia. Credo che non ci si debba limitare a un giudizio solo sulla quantità, ma considerare la qualità.
Nei suoi libri, però, il male è tutt'altro che romanzato.
Ho scritto due romanzi, Gli spodestati e I prescelti. Per il primo ho usato documenti che non erano mai stati pubblicati o divulgati prima all'esterno del mondo accademico: si tratta di cronache scritte dagli stessi ebrei che vivevano rinchiusi all'interno del ghetto di Lodz.
Quando ho capito che avevo la possibilità di accedere a questi documenti, ho pensato che sarebbe stato un peccato non utilizzarli per scrivere un romanzo, perché per la prima volta il racconto di quello che accadeva ogni giorno all'interno del ghetto proveniva da chi ci viveva, e non da chi stava fuori. Sono documenti molto diversi rispetto alla narrativa dei sopravvissuti, che raccontano i fatti da un punto di vista del tutto diverso, cioè avendo già la conoscenza del decorso successivo della storia e delle ragioni politiche, mentre queste persone nel ghetto non sapevano nulla del mondo esterno e oltre a soffrire la fame e le persecuzioni erano totalmente senza difese dal punto di vista mentale ed emotivo: perciò posso dire che non esiste un altro romanzo del genere sull'Olocausto.
I prescelti si basa a sua volta su documenti che non erano stati né pubblicati, né diffusi fino a una ventina d'anni fa, che raccontano la storia di questi bambini "imperfetti".
Quando ho iniziato a lavorare su questo materiale i fatti non erano stati nemmeno resi noti alla società austriaca in generale, anche se sarebbe stata una responsabilità dei politici e degli storici divulgare la verità su questi fatti accaduti a Vienna, su come i nazisti perseguitassero non solo gli ebrei, ma anche questi bambini considerati difettosi. Questo, però, non è stato mai fatto.
Pensa di scrivere altri romanzi su questi argomenti o in futuro cercherà nuovi soggetti?
No, per carità, basta così!
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A settant'anni dalla fine della guerra tutti conoscono i suoi orrori, anche grazie a romanzi come i suoi. Come mai allora stiamo assistendo a una rinascita dei movimenti nazisti e fascisti in Europa?
Io non sono né un politico né uno storico, ma solo un romanziere. Cerco di capire i singoli individui, ma non posso spiegare i motivi di questa rinascita, se non così: quando sono passate alcune generazioni si tendonoa dimenticare l'orrore e le ragioni delle persecuzioni. La logica e la forza delle persecuzioni però è sempre la stessa, non c'è nessuna differenza strutturale tra la violenza perpetrata nei confronti dei migranti di oggi e quella usata verso gli ebrei di allora: "non li vogliamo qui" esprime la stessa mentalità.
Perciò ritengo importante che romanzi come i miei vengano pubblicati, anche a prescindere dalla loro qualità letteraria, per preservare la memoria delle persecuzioni, della brutalità con cui le persone venivano cacciate di casa, i figli separati dai genitori, si moriva nei campi di concentramento dopo aver patito enormi sofferenze nel corpo e nell'anima.
Solo ricordando queste sofferenza scatta l'empatia, che ci fa pensare che tutto questo sarebbe potuto accadere a noi o ai nostri cari. E se pensiamo che possa accadere ancora oggi, allora deve tornare anche la memoria, e tutte le forme di razzismo e di violenza possono essere affrontate in modo migliore.
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Per la prima foto, copyright: Alessio Lin.
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