I classici greci e latini per prendersi cura della vita. L’esperienza di Cristina Dell’acqua
Una SPA per l’anima (Mondadori, 2019) di Cristina Dell’acqua è un libro che si racconta già nel sottotitolo: Come prendersi cura della vita con i classici greci e latini.
Lo scopo del saggio ci viene spiegato dall’autrice nell’introduzione: «Questo libro è pensato come una SPA, un percorso di ben-essere interiore in cui ogni tappa è una lettura che si prende cura di un aspetto di noi e ci aiuta a vivere meglio, rinnovandoci.»
Grazie alla sua lunga esperienza come docente di greco e latino, Cristina Dell’Acqua intende prima di tutto offrirci nuovi percorsi di lettura per i principali autori antichi, dai tragici greci – Eschilo, Sofocle ed Euripide – ai filosofi, passando poi ai grandi scrittori latini, focalizzando, un capitolo dopo l’altro, i temi principali espressi nelle loro opere: l’amicizia, l’amore, il coraggio, l’introspezione. Dopo aver tracciato un percorso attraverso i testi di uno o più autori, ogni capitolo si conclude con un suggerimento per mettere in pratica un “percorso di benessere” personale.
Un libro, quindi, da leggere e da rileggere, in cui ritrovare i classici amati, ma spesso anche detestati o non compresi nella loro pienezza, ai tempi della scuola, che Cristina Dell’acqua ci può aiutare a considerare in un modo del tutto differente rispetto al passato, come ci ha spiegato anche rispondendo alle nostre domande.
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Il suo libro incuriosisce fin dal titolo:Una SPA per l’anima può essere letto anche come una critica a un mondo in cui, nelle librerie, i manuali dedicati a diete, fitness, cure corporali di ogni tipo sono sempre molto più numerosi di quelli dedicati alla spiritualità, non importa se laica o religiosa? Le nostre anime, in sintesi, non sono un po’ trascurate?
In realtà sono partita dalla parola perché mi piaceva l’acronimo SPA, salus per aquam, e mi affascinava l’immagine acquatica. Come ci si disseta dalle fonti, allo stesso modo dai testi classici riceviamo sorsate di benessere e di bellezza, perché sono letture che ci fanno bene, dal momento in cui effettuiamo il passaggio che ce li fa considerare non solo testi, magari inaccessibili, ma libri.
Intendevo rivolgermi a persone che hanno studiato i classici a scuola, ma poi nella vita hanno fatto tutt’altro, oppure a chi ha seguito altri tipi di studi, invitandoli a considerare questi autori come libri da leggere e non come manuali inaccessibili.
Devo ammettere che leggendola ho invidiato i suoi studenti, perché il mio ricordo delle ore di studio liceale dedicate al greco e al latino è tutt’altro che entusiasmante. Ho avuto professori per cui era importante solo l’aspetto tecnico della traduzione, ma senza alcun collegamento con le idee espresse nei testi che dovevamo tradurre. Lei come ha trovato la strada per affrontare gli autori classici in modo diverso?
Per prima cosa grazie all’incontro con alcuni docenti che mi hanno avviato su questa strada, e poi grazie al tempo. Ogni lavoro ha le sue fasi, e questo vale per ogni ambito. Il rischio è sempre che il passare del tempo ci induca a essere meccanici e ripetitivi, per cui alla luce di questo ho seguito vari stimoli durante la mia formazione. Su tutti è stato basilare un corso di teatro, che mi ha insegnato a vedere i testi da un altro punto di vista, a frequentarli e a provare sulla mia pelle cosa significasse leggerli ad alta voce ed entrare nei personaggi. Questo mi ha portato a fare la stessa cosa con i ragazzi. Ciò ovviamente non libera dal capestro dei paradigmi, ma la mia esperienza mi dice che riempiendo i ragazzi con un po’ di motivazioni e di passione, questi diventano leve molto forti per affrontare anche il resto. Il paradigma greco è un mondo, se lo si considera un po’ anche dal punto di vista etimologico si ha una nuova visione del mondo.
Spesso nelle facoltà universitarie non si dà molto spazio alla didattica, nel senso che ai futuri insegnanti dovrebbe essere “insegnato a insegnare”, ma questo accade raramente. Possibile che nelle numerose riforme scolastiche e universitarie questo tema non sia mai stato toccato?
Sicuramente è stato così almeno fino alla mia generazione: ognuno di noi si è basato sulla propria esperienza, fino a trovare un modo per avvicinarsi ai ragazzi. Ogni docente finisce per crearsi un proprio metodo personale. Adesso mi sembra di notare che i giovani insegnanti abbiano avuto la possibilità di sperimentare la didattica meglio di noi. Penso che sarebbe molto utile fare dei tirocini in classe con altri docenti, come del resto si è fatto per un certo periodo in passato, mentre ora questa cosa è scomparsa.
A questo proposito, cosa pensa della recente modifica dell’esame di maturità, che introduce un doppio esame di latino e greco?
Personalmente la trovo una buona iniziativa, nel senso che quest’idea di ampliare il lavoro, aggiungendo un commento e un confronto tra le lingue segue un po’ il discorso che faccio nel mio libro, allargando la visuale. Penso che uno studente liceale che abbia studiato normalmente per cinque anni possa essere in grado di fare un buon lavoro sugli schemi proposti. Prima si valutava solo la traduzione, ma questa non è l’unica abilità che si dovrebbe avere dopo cinque anni di studio. Magari poteva essere introdotta in modo più graduale, ma in linea di massima per me è una buona idea.
Il suo libro vuole essere un invito a riscoprire il valore del pensiero, della riflessione individuale, della meditazione, mentre la nostra vita quotidiana si fa sempre più frenetica e sembra lasciare sempre meno spazio ad attività che richiedono tempo e lentezza. Il nostro è un percorso irreversibile oppure possiamo ancora fermarci, rallentare i nostri ritmi e riscoprire la bellezza del pensiero oltre a quella dell’azione?
Sicuramente siamo ancora in tempo, nel momento in cui ci si rende conto che ci dobbiamo riappropriare dei nostri spazi interiori. È quello che ho appreso nel corso del tempo, partendo da Seneca che è uno dei miei autori preferiti. Leggendo le sue lettere ci rendiamo conto che, rivolgendosi al suo discepolo Lucilio, Seneca mette sempre sul tavolo le proprie difficoltà, per arrivare a una vita il più possibile equilibrata. La parola “meditare” deriva dal verbo medicari, che significa “curare”, ed è una forma frequentativa, che implica la ripetizione di un’azione. Intensificando per noi alcuni momenti di autodisciplina, di stacco dalla nostra vita quotidiana, si può e si deve entrare in contatto con la nostra parte più intima. A seconda di come lo facciamo, possiamo stare meglio e far stare meglio anche le persone intorno a noi.
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Scriverà ancora su questi temi? E in caso positivo, ha già delle idee su cui lavorare?
Scrivere mi piace moltissimo, ma io sono indisciplinata e non ho programmi. Siccome questo è il mio primo libro importante, adesso mi sto gustando il momento. Insegnando da ventotto anni, le pagine che ho scritto riflettono le mie esperienze e hanno fatto riaffiorare alla memoria incontri, contatti, persone conosciute: lo trovo un bel rivedere il tempo che scorre.
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Per la prima foto, copyright: Mitchell Griest su Unsplash.
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