I bambini speciali di Elisa Luvarà in “Un albero al contrario”
Una bambina soprannominata come un liquore, una bambina che si chiama come un colore e un bambino col nome di un sentimento sono i bizzarri protagonisti di Un albero al contrario di Elisa Luvarà (Rizzoli, 2017), romanzo autobiografico che ci porta tra le mura di una comunità per minori.
Ginevra – Gin per gli educatori – ha undici anni quando “viene mandata indietro” dalla famiglia affidataria che l’aveva accolta quando aveva quattro anni e i suoi genitori hanno rinunciato a prendersi cura di lei. La madre naturale soffre di un disturbo psichiatrico che le impedisce di badare perfino a se stessa, sopravvive inerme in una comunità, tra le urla delle compagne e la continua somministrazione di farmaci; il padre, un impiegato delle poste, vive come una condanna questo ruolo acquisito, tanto da preferire che siano altre persone a crescere la sua unica figlia: «Dovevano farti adottare da una famiglia benestante, magari una coppia che non poteva avere figli. Io lo avrei permesso, mi avrebbero fatto un piacere! Mi liberavano, Ginevra! Mi liberavano!». Ma non sempre si può ottenere ciò che si vuole, nemmeno se i tuoi genitori sono pronti a rinunciare a te e tu a loro, così i servizi sociali decidono che per Ginevra sia meglio un affidamento sine die invece di una vera e propria adozione.
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Solo che prendere un bambino in affidamento è un po’ come avere il diritto di reso: nessuna garanzia per te che sei il nuovo arrivato mentre i genitori affidatari possono “mandarti indietro”, possono rifiutarti così come hanno già fatto i tuoi genitori biologici. È quello che succede a Gin che, abbandonata di nuovo, si ritrova in comunità insieme a un nutrito gruppo di ragazzini che vantano una storia familiare costellata da abbandoni e mancanze proprio come la sua. Rimasta sola tra i suoi simili, la bambina scopre il piacere di avere un luogo accogliente in cui tornare, la gioia della condivisione e un bizzarro quanto solido sentimento di fratellanza; ma la comunità non può sostituire una casa, una famiglia, gli inquilini sono precari, in attesa che qualcuno li scelga, e separarsi diventa ancora più difficile quando il dolore crea dei legami.
Ricordate i bambini speciali di Miss Peregrine? Quei “mocciosetti” dimenticati da tutti della saga di Ransom Rigs, le cui caratteristiche fuori dal comune si sono rivelate l’unica salvezza per il mondo? Ecco, mentre leggevo Un albero al contrario di Elisa Luvarà non ho potuto fare a meno di associare le due storie: una magica e soprannaturale, l’altra cruda e reale. Due case riempite dalle risate di bambini soli, accolti e protetti dalle amorevoli cure di una donna – Miss Peregrin in un caso, la signora Tilde nell’altro –, due case in cui si cerca una normalità che si fa sempre più evanescente. I bambini di Elisa Luvarà, però, sono persone vere, i loro drammi sono più forti e profondi dei sorrisi e se anche alla fine non va tutto così male, le ferite curate tra quelle mura comuni e temporanee hanno una guarigione lenta e difficoltosa, forse non guariranno mai. Possiamo immaginare lo smarrimento di una bambina di undici anni dopo il rifiuto di due famiglie? Possiamo sentire quel vuoto, quella solitudine? No, non credo sia possibile ma Elisa Luvarà ce lo racconta bene, con le parole di chi quelle sensazioni le ha vissute e ora vuole condividerle con mondo. E insieme ci racconta anche la quotidianità della comunità, le amicizie e i primi amori, piccoli episodi che resteranno impressi nella memoria di chi li vive. Elisa, Ginevra le due storie si confondono una nell’altra e poco importa dove finisce il vero e inizia la finzione, ciò che conta è il percorso comune a moltissimi bambini di cui si parla sempre troppo poco e che in Un albero al contrario trovano finalmente voce.
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«La prima sensazione che ricordo del mio ingresso in comunità è di puro, immenso sollievo. Il posto, contro ogni mia aspettativa, era accogliente e luminoso. Le sue pareti erano tinteggiate di un caldo rosa pesca e un profumo di lavanda riempiva le narici, come quando qualcuno ti spinge un mazzetto di fiori essiccati sotto il naso». Parte da qui Un albero al contrario e l’invito al lettore è quello di farsi accogliere in questa storia.
Per la prima foto, copyright: Louis Blythe.
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