Gli errori della Francia, pensare l’Islam per ripensare l’Occidente
Pensare l’Islam del filosofo Michel Onfray, uscito recentemente per Ponte alle Grazie nella traduzione di Michele Zaffarano, è un lavoro di grande spessore intellettuale, tutto interno a un dibattito francese che, se l’Europa fosse altro, dovrebbe essere esteso al resto del vecchio continente.
Onfray parte da un articolo sottoposto a «Le Monde» e mai pubblicato, nel quale individua nella minaccia operata dall’Occidente contro l’Oriente musulmano le ragioni dei fondamentalismi nel nuovo millennio. Ragioni intrinseche, se vogliamo, a un’idea fallita di modernità e a un ritorno evidente a forme di neocolonialismo globalizzato.
In concreto Onfray, nella lunga introduzione, punta il dito contro l’interventismo francese in Mali e in altri luoghi del mondo per il gusto di assecondare, in una spirale viziosa e decadente, voglie e brame alquanto insensate.
Il testo si sviluppa con una lunga intervista, quella che l’autore ha rilasciato alla giornalista algerina Asma Kouar. Nelle risposte Onfray dipana un concetto di laicità che non esclude la critica all’Islam e al Corano. Nella sua lettura delle scritture islamiche c’è, però, la ricerca di un gancio con la realtà crescente dell’Islam in Europa e nel mondo: una religione in salute, demograficamente attiva, che si riproduce oltre i confini dei luoghi in cui nasceva e prosperava.
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Questa critica si accompagna a un’altra, ancora più severa, alla sinistra liberale francese che ha sdoganato, da Mitterrand in poi, la rincorsa alla ricchezza al posto della tutela dei diritti e delle libertà. I due aspetti sono compresenti nelle risposte, come fossimo in una trattazione ampia, una dissertazione articolata sul rapporto esclusivo tra Francia e Islam politico.
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Onfray porta avanti le sue dimostrazioni illustrandoci gli aspetti più rigidi e integralisti del Corano, assieme a quelli più amorevoli, ai discorsi intorno alla salvezza dell’essere umano nella cornice degli affetti tra religioni; nello stesso tempo non sottace una certa disposizione alla militanza armata presente nell’Islam contemporaneo, come reazione, però, a una più vasta bellicosità francese antislamica.
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Il filosofo guarda a un Islam pacifico, che riesca a mescolarsi con la Repubblica: a un Islam che non produca pregiudizi, ma che risponda laicamente ai pregiudizi francesi ed europei. Per farlo, però, l’Islam ha bisogno di secolarizzarsi, di non ridursi a mera contrapposizione ideologica (quasi marxista) al liberalismo socialista e capitalista d’oltralpe.
Secondo Onfray l’Islam e il marxismo hanno in comune una critica severa al mercato, ma gli islamisti e i marxisti non sempre conoscono le “scritture” alle quali si ispirano. Tutto ciò alimenta la diffusione ideologica di un Islam politico rigido, che per l’autore è un disastro. È proprio questa nuova politicizzazione islamica, quella preconizzata da Khomeini, che muove guerra contro gli aguzzini di un tempo. Da qui il rischio di un conflitto generalizzato, che porta Onfray a citare Camus, la peste che genera il risveglio di altre pesti.
Per evitare che questo accada, l’autore vorrebbe rivedere la politica e la politica estera francese, una politica di nani, come la definisce, la cui direzione è inevitabilmente quella dell’inasprimento del conflitto con il mondo islamico francese e globale.
E dunque, nella coraggiosa e meditata dissertazione per risposte, Onfray non lesina critiche a Hollande, ai socialisti che abdicano al loro ruolo morale, alla pericolosa nullità francese d’inizio millennio. Il libro quindi diventa, piano piano, una critica al presente della Francia: a quello che la Francia fa dentro e fuori. È questo il grande pregio di Pensare l’Islam, rivolgersi a un Paese che viene colpito dagli attentati ma che reagisce, sul piano militare e politico, nel peggiore dei modi.
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