Giocare a Risiko con il mondo. “Il giorno della nutria” di Andrea Zandomeneghi
Puntata n. 66 della rubrica La bellezza nascosta
«Il fatto è che la sera prima – come ogni benedetto lunedì – c’eravamo ritrovati con Esteban e Emanuele per giocare a Risiko in canonica da Don Stefano, che oltre a essere un compulsivo divoratore di Philip Roth, un instancabile rilettore delle Cronache del ghiaccio e del fuoco e un eccentrico (diciamo fantasioso) interprete dell’opera di Jung, è anche un monomaniaco appunto del Risiko. E io m’ero ubriacato. Selvaggiamente. Mentre fuori infuriava la tempesta e gocce d’acqua grosse e sode come astragali d’avorio o molari di scimmia sbatacchiavano contro i vetri delle finestre.»
Se i pensieri ossessivi che abitano la nostra mente fossero materiale solido sarebbe forse più semplice mettere ordine, sarebbe più facile pulire, disinfettare. Ma i pensieri non si possono toccare, non con le mani; i pensieri non hanno proprietà tattili e, nel momento esatto in cui un semplice pensare diviene un’ossessione, ogni parte di noi converge verso quella fisima, e il gioco è fatto. Ci sono palliativi che ci vivono intorno, ci sono i boccali di birra e le bocce di vino, ci sono i tranquillanti e i rilassanti muscolari.
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Abbiamo grandi similitudini con il mondo esterno e al contempo gradi profondi di diversità, ci sono stampelle chimiche che usiamo per non cadere, e ci sono i libri che ci affollano la mente e ci rendono più sopportabile quello che continua a girarci accanto senza fermarsi mai.
Andrea Zandomeneghi è nato nel 1983, Il giorno della nutria è il suo esordio ed è stato pubblicato dalla casa editrice Tunué.
Davide è un cefalgico che abita nello stesso appartamento con il nipote e la madre, donna malata che vorrebbe ricorrere all’eutanasia. Un giorno, dopo essersi ubriacato per l’ennesima volta, si sveglia e tenta di placare il mal di testa con psicofarmaci e caffè; dopo poco rinviene una nutria morta e congelata sul pianerottolo di casa.
«Ho smesso di perdermi nelle cose, lascio che le cose si perdano in me. Non esiste realtà che non sia formazione mentale cioè non esiste realtà che non sia una forma di virtualità. Realizzare la virtualità auto evidente del reale comporta una dissociazione in perenne riassorbimento. Suicidarsi al mondo. In me stesso. Non ho mai più riaperto gli occhi, non ho mai più smesso di riportare l’attenzione sul respiro per annullarla.Il mondo si disgrega in reminiscenze occasionali di frammenti di fantasticheria. Ogni struttura si frammenta.»
Il giorno della nutria è un romanzo singolare, il flusso di coscienza di Zandomeneghi e la sua vasta sapienza letteraria rendono l’intera opera un caleidoscopio di fatti e avvenimenti e pensieri che sono inusuali e, proprio per questo, importanti. La scrittura è scorrevole e tecnicamente valida, non è mai pomposa e, anche se qualche passaggio richiede un’ulteriore lettura per districarsi meglio tra le parole di Zandomeneghi, tutte le pagine risultano febbrili e veloci, dense di informazioni e di letteratura.
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L’ennesimo esordio che fa rumore nella collana Romanzi, diretta da Vanni Santoni, il romanzo di Andrea Zandomeneghi ci mette sotto gli occhi una scrittura originale e una voce affabile, ci mostra il tormento e la meccanica del tormento, prova a spiegarci da dove nasce la colpa e fin dove si può arrivare trascinandosi dietro il peso di questa colpa.
«Delirio ossessivo che spazia arpionando dentro i cunicoli di una formazione mentale. Le formazioni mentali non vanno scacciate, bisogna lasciare che attraversino. Fare come le Bene Gesserit con la paura. Eccomi fantasticheria deforme che mi lascio mostrare a me stesso prima di dissolvere la concentrazione concentrandomi sulla parte umida delle narici durante l’inspirazione e l’espirazione. Mi sono risvegliato in terapia intensiva. Richiudere gli occhi, respirare. In primo luogo cercare di perdersi nell’essere solo respiro, percezione corporea del respiro. Poi la meditazione – il discorso della cosa yoga – e un precipizio, se la prendi sul serio.»
La gestione di qualcosa che ci appartiene ma che risulta materialmente inconsistente rappresenta sempre qualcosa a cui è difficile approcciarsi, qualcosa che è difficoltoso da spiegare, qualcosa di liquido che viene fuori da tutto il corpo ma che non si vede.
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Nei tormenti di Davide c’è il peso dell’esistenza e c’è la certezza della cefalea, c’è l’alienazione e la confidenza con un mondo a cui sfuggire e con il quale giocare a Risiko.
Per la prima foto, copyright: Sharon Christina Rørvik su Unsplash.
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