"Fuoco invisibile", Javier Sierra ci racconta un nuovo mistero del passato
Fuoco invisibile (Dea Planeta, 2018 – traduzione di Claudia Acher Marinelli) di Javier Sierra è il romanzo vincitore dell'ultima edizione del prestigioso PremioPlaneta, il massimo riconoscimento letterario spagnolo.
L'autore, giornalista televisivo, è diventato celebre con una serie di romanzi come Le porte dei Templari, La cena segreta o L'angelo perduto, tradotti e pubblicati in Italia negli anni scorsi da vari editori, in cui importanti temi storici si mescolano a personaggi del tempo presente.
Nel caso di Fuoco invisibile il protagonista è David Salas, trentenne professore di linguistica presso l'università di Dublino, che alla fine dell'anno accademico viene inviato in Spagna alla ricerca di un prezioso volume del Siglo de Oro. Arrivato a Madrid, però, David scopre di doversi occupare di tutt'altro, perché viene contattato da Paula, storica dell'arte, e da Victoria, celebre scrittrice di romanzi del mistero, che lo coinvolgono in una complessa ricerca attraverso la Spagna, per fare luce sulla morte di un allievo di Victoria, avvenuta in circostanze poco chiare mentre svolgeva una misteriosa ricerca. Tra antichi manoscritti, chiese romaniche sperdute nelle regioni più remote della Spagna e situazioni sempre più pericolose, David è destinato a fare una serie di scoperte del tutto inaspettate.
Javier Sierra è venuto a Milano per presentarci l'edizione italiana di Fuoco invisibile e rispondere alle nostre domande.
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Cosa l'ha spinta a scrivere romanzi come questo, legati a grandi misteri del passato?
I miei sono romanzi di ricerca: mirano tutti ad affrontare una grande domanda o un grande enigma. Se io risolvo un enigma scrivo un saggio, altrimenti scrivo un libro di fantasia, perché quando scompaiono le tracce necessarie a risolverlo, l'unico strumento che ci resta è l'immmaginazione. La letteratura è stata inventata per rispondere a grandi domande, a partire dall'epopea di Gilgamesh, il primo romanzo della storia composto cinquemila anni fa in epoca sumerica. Gilgamesh era un re che andò nell'Eden a chiedere agli dei l'immortalità, senza ottenerla. Lo scrittore dell'epopea voleva rispondere alla domanda "perché dobbiamo morire?" ma, non avendo elementi razionali per rispondere, inventò la letteratura.
Voglio rivivere lo spirito di quelle prime narrazioni riportandole nel ventunesimo secolo. Fuoco invisibile nasce da una grande domanda: da dove vengono le idee?
Chiederci questo equivale però a chiederci chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, che è la base di tutto il pensiero filosofico umano. Tre domande che non hanno una risposta, un mistero che mi affascina e che io cerco di trasmettere ai miei lettori.
Come spiega il fatto che in una società tecnologica e razionale come la nostra, sempre meno religiosa, abbiano così grande successo romanzi come i suoi, e quelli di altri scrittori, che si occupano di misteri, anche con una forte componente religiosa?
È una grande domanda. Credo che la tecnologia e lo sviluppo del pensiero razionale ci abbiano messo in una situazione molto comoda, ma noi continuiamo a ignorare cosa troveremo dopo la morte, per cui cerchiamo risposte che ci possano svelare almeno in parte questo "dopo".
Viviamo in una cultura in cui quasi nascondiamo la morte, non ce ne occupiamo perché ci mette a disagio, ma la morte resta il motore del pensiero spirituale, perché ci porta a pensare all'aldilà.
La letteratura per me è l'ultimo avamposto che ci consente di parlare di questi argomenti: abbiamo romanzi polizieschi, erotici, storici, ma resta uno spazio per le grandi domande che ci facciamo.
Io le condivido con il lettore in una struttura di tipo poliziesco, in un contesto fornito di una tensione narrativa che invita alla lettura. È vero che stiamo diventando più laici, però i nostri dubbi restano e cerchiamo risposte di tipo trascendentale: senza una formazione religiosa, oggil'uomo si perde, ma può cercare risposte alle sue domande nella letteratura, cosa che forse spiega almeno una parte del successo dei miei romanzi. Il resto del successo rimane un mistero!
Lei crede nel fuoco invisibile di cui parla nel libro?
Credo che tutti abbiamo dentro di noi questo fuoco invisibile. In qualche misura il mio pensiero è simile a quello dell'eresia dei catari, che pensavano che non fosse necessario nessun intermediario per collegarsi con la divinità, perché la scintilla divina sta in ciascuno di noi, si tratta solo di cercarla. I catari furono perseguitati ferocemente dalla chiesa a partire dal XIII secolo proprio perché volevano escludere la chiesa stessa dal rapporto con la divinità.
Picasso, del resto, diceva che tutti i bambini sono artisti perché hanno dentro di sé questa scntilla: il problema è conservarla da adulti. La parola chiave è "cercare": chi cerca trova.
Quanto c'è di vero nel romanzo e quanto costituisce il suo pensiero? Chi legge può comprendere la differenza?
La mia missione di autore è creare un romanzo verosimile, in cui il lettore non scopra differenze.
Tutte le fonti, gli ambienti e le citazioni sono documentati, non ho inventato nulla: ho solo ordinato tutte queste fonti in modo diverso da come vengono presentate abitualmente.
Esiste un lettore ideale dei suoi romanzi?
Il lettore che cerco è una persona curiosa, che ha il desiderio di risolvere l'enigma che io propongo nel libro. La curiosità ti mantiene eternamente giovane, la trovi in una ragazzina di quattordici anni e in una signora di ottanta: la cosa che mi piace di più del mio lavoro è quando firmo i libri e vedo nella coda dei lettori persone diversissime tra loro, di varie età. È il momento in cui penso che ce l'ho fatta.
Un'altra cosa che cerco di fare è spiegare al grande pubblico riferimenti culturali tratti da studiosi e specialisti. La mia idea è di rendere facile ciò che sembra difficile.
Quanto tempo impiega per le sue ricerche? E come è nata l'idea di fare un collegamento con il Graal?
Riguardo al tempo devo dire che non mi pongo una scadenza per i miei libri, non faccio mai contratti per cui ricevere un anticipo: prima lo finisco, poi ne parliamo. Questo mi dà la libertà di poter dedicare a ogni storia il tempo necessario.
La prima idea di una ricerca del Graal l'ho avuta nel 2004, ed è arrivata proprio qui a Milano, davanti al Cenacolo Vinciano. Avevo visitato per mesi il Cenacolo per costruire la trama di un altro romanzo, La cena segreta, e un giorno mi sono reso conto che Leonardo si era dimenticato di dipingere il Graal, oppure che non l'aveva fatto intenzionalmente. A quel punto mi sono messo sulle tracce di quell'oggetto, anche se sapevo che sul Graal erano stati scritti migliaia di libri, che si riferivano al mito della coppa usata da Gesù nell'Ultima Cena.
Ho cercato di studiare questo tema dal principio: credevo che la prima fonte fossero i Vangeli, ma in nessuno di essi, e nemmeno nella Lettera ai Corinzi di San Paolo, che parla dell'Ultima Cena, il Graal viene menzionato. La prima citazione avviene nel 1180 al tempo delle Crociate, non in una cronaca ma nel romanzo Il racconto del Graal, di Chrétien de Troyes, in cui si descrive una ciotola, che irradia luce ed è tenuta in mano da una dama, non un calice. Non si dice che fosse sulla tavola dell'Ultima Cena e questo mi ha portato a chiedermi quando il Graal fosse stato associato a Gesù: è accaduto quasi un secolo dopo, in un romanzo di Robert de Buron. Risalendo alle fonti ho iniziato a fare delle piccole scoperte, che mi hanno fatto pensare di avere in mano una grande storia.
Non ha paura che qualcuno metta in discussione quello che lei ha scritto?
Mi piacerebbe tantissimo, ma questo è un romanzo, non un saggio. Ho cercato di rendere un piccolo servizio alla storia della letteratura, perchè Chrétien de Troyes è morto lasciando incompiuto il suo romanzo e quindi non ha potuto spiegarci esattamente cosa fosse l'oggetto di cui parla. Molti trovatori in tutta Europa hanno dato una loro versione della storia e oggi, nel ventunesimo secolo, anch'io ho scritto la mia continuazione. con elementi che scorrono in parallelo, perché David Salas, come Parsifal, è orfano di padre e s'imbarca in una ricerca che non sa come andrà a finire. Una storia del dodicesimo secolo sembra funzionare ancora nel ventunesimo, perché il desiderio dei personaggi è molto simile: abbiamo fatto molti progressi materiali, ma nelle questioni trascendenti siamo più o meno allo stesso punto, cosa su cui ci sarebbe da riflettere.
Perché il Graal ha avuto così tanta fortuna nei secoli, arrivando fino ai nostri giorni, pensiamo anche al Parsifal wagneriano, rispetto ad altre leggende meno potenti?
Perché il Graal è un oggetto fisico che apre l'accesso a un mondo che non è fisico, come un punto d'intersezione tra due mondi: noi siamo in qualche modo ossessionati dall'idea di trovare questo punto d'intersezione.
Se qualcuno dice che Fuoco invisibile è un romanzo esoterico lei si offende?
No, però la considero una semplificazione. L'esoterico è quacosa che non si vede, mentre qui tutto è ben visibile.
Qual è il suo rapporto personale con il soprannaturale?
La risposta sta nella mia città natale, Teruel, una cittadina tra Saragozza e Valencia, con un passato storico importante. Lì le leggende sono molto diffuse, ci sono ovunque rappresentazioni di streghe, maghi, draghi, dame e cavalieri. Io sono cresciuto tra queste tradizioni, che fanno parte della mia essenza, ma sono anche un uomo del ventunesimo secolo, razionale, che comprende l'uso della tecnologia e della materia. Però Rainer Maria Rilke diceva che la patria dell'uomo sta nell’infanzia, perciò io torno spesso in questa mia patria e ne prendo ispirazione.
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Quanto c'è di suo nel protagonista?
In realtà non tanto. David per me è un Umberto Eco giovane, mi sono sempre immaginato quel grande scrittore come il secchione della classe, a suo agio solo tra i libri e mi sono immaginato di strapparlo alla sua zona di tranquillità per fargli affrontare dei problemi.
Le interessa che i suoi libri diventino film?
Sto lavorando all'adattamento di una serie televisiva tratta da Fuoco invisibile, ma vorrei ampliare il mondo del romanzo, inserendo certi argomenti, come la vita di David a Dublino o la storia di suo padre, che mi piacerebbe sviluppare di più.
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Per la prima foto, copyright: Steve Halama.
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