Filippo Tuena: ecco perché ho riscritto “Le variazioni Reinach”
Recentemente alla statale di Milano lo scrittore romano Filippo Tuena ha tenuto una conferenza sulla ristampa del suo libro Le variazioni Reinach, rieditato dalla casa editrice NUTRIMENTI-BEAT Biblioteca Editori Associati.
È stata l’occasione per spiegare come si può costruire un piacevole, affascinante e ipnotizzante romanzo storico a partire proprio da uno dei testi principali della produzione scritta di Filippo Tuena. Ben noto scrittore saggista che annovera fra i suoi libri del passato Ultimo Parallelo e La grande ombra e che ha deciso di raccontare nuovamente la tragica vicenda della famiglia Reinach, a distanza di dieci anni dalla prima edizione. Il libro uscì, infatti, nel 2005 per Rizzoli e fu la dottoressa Centovalli, presente anche lei alla conferenza, a curarne parzialmente l’edizione.
Quest’anno l’autore di quel successo, che fu insignito dal premio Bagutta nel 2006, ha trovato, dopo tanti rifiuti, una casa editrice disposta ad accettare questa nuova sfida. «Perché», racconta lo stesso autore «quando lo riproposi presso altri editor, mi risposero che non era né troppo vecchio, né troppo nuovo, né un neo un successo nuovo e tanto meno precedente».
Romanzo, saggio, resoconto storico d’una decadenza e riflessione esistenziale su cos’è stata la Shoah. Un testo a tratti poetico, pur nel dramma che racconta e proustiano pur cercando la ricostruzione della verità.
È la storia di una discesa agli inferi, come ammette lo stesso scrittore, di una famiglia “snob” e agiata, i Reinach-Camondo: dalla “belle epoque” francese alla dissoluzione nei campi di concentramento di Auschwitz. È l’iter biografico, di quattro vite sconosciute, Bertrand, Léon, Fanny e Bèatrice, riportate a galla dalla minuziosa, accurata ricerca dello stesso scrittore e rappresentate nel loro inatteso disfacimento. La ricostruzione di un mondo scomparso, proprio mentre stava per scomparire. Una famiglia potente, aristocratica e forse odiata, che si ritrova improvvisamente a fare i conti col tatuaggio dei campi di sterminio.
Nella versione recentissima Filippo Tuena non ha variato moltissimo nella sostanza, ha ritoccato soprattutto la punteggiatura e l’aggettivazione, cercando di dare alla storia un altro respiro.
Perché riscrivere un libro dopo così tanto tempo?
«Perché questo è un libro che continuerà a modificarsi. Io sono sicuro che fra dieci anni, se lo riprendessi in mano, lo riscriverei di nuovo, variando ancora lo stile, il ritmo e la musicalità. Quando l’ho riscritto, frammentandolo ulteriormente, mi ispiravo alle stanze ariostesche. Tuttavia mi sono reso conto che era un’operazione non confacente al libro, perché prevaleva questo aspetto di esercizio stilistico e ho deciso di lavorare sulla struttura della frase. Così, premesso che adoro la frase lunga, perché riprende la struttura di pensiero e consente il suo fluire, pur dotandosi di virgole, senza eccesso di punti, ho deciso di depurare il testo della punteggiatura superflua, eccetto nei casi di discorso diretto, perché lì una pausa serve per forza. Con lo stesso criterio e anche quando il pathos lo richiedeva (vedi il capitolo su Auschwitz), ho ristrutturato il testo».
La questione della punteggiatura, a quanto pare era uno dei motivi di raffronto non facile con la Rizzoli all’epoca della prima edizione. È impensabile per un lettore di oggi leggere senza virgole e la casa editrice preferì inserire alcuni accorgimenti stilistici in fatto di punteggiatura.
In questa nuova versione Tuena induce il lettore ad ascoltare il ritmo del testo, ed ecco perché la sente maggiormente collegata alla sua idea di testo letterario. Fra le caratteristiche risulta proprio il maggior numero di congiunzioni. Ci si chiede a cosa sia dovuta la scelta.
«Sì, ho preferito congiungere più elementi per dar ritmo alle frasi. Anche questa volta non sono voluto venir meno alla mia copiosa opera di frammentazione. Io adoro, da sempre, smontare le cose e ricomporle diversamente e anche nella scrittura prediligo spezzare la narrazione piuttosto che darle linearità».
Nella nuova edizione, c’è un’aggiunta che aggrada molto a Filippo ed è la scoperta musicale della partitura creata da Leon, il musicista ammazzatto ad Auschwitz. A detta dello scrittore questa sonata dà un senso etico al libro, che racconta di gente che finisce in polvere e recupera la musica dimenticata di questi quattro personaggi.
Per comprendere il testo, complesso e raffinato bisogna tornare alla genesi e così la penna romana s’è lasciata andare a una serie di aneddoti che l’hanno portato alla costruzione del testo, ancor prima che Le variazioni Reinach uscissero per la Rizzoli nel 2005.
«Di libri sulla Shoah ce ne sono tanti ed è giusto che sia così. Tutto è iniziato quando a Parigi mi sono imbattuto nelle fotografie della famiglia Reinach al museo Nissim De Camondo. Da quel momento mi s’è destato l’interesse per le vicende di questa famiglia ebrea. Certo non mi aspettavo di dover raccontare dell’immane tragedia nazista, perché non ne avevo trovato traccia. Poi feci una ricerca casuale su Internet, nei siti dove sono elencati i deportati di Auschwitz e ritrovai i nomi di Bertrand e Leon. A quel punto mi rivolsi al centro ebraico Cdec di Milano e mi informai, dopo aver ottenuto i numeri di matricola dei due martoriati parigini. Qui mi vennero spiegate molte cose da persone che hanno vissuto o conosciuto l’orrore da vicino e inserii nel libro questi momenti della mia ricerca come parte del complesso romanzesco».
Filippo Tuena si accorse che ciò che gli piaceva di questa nuova storia era la ricerca che, pazientemente, lui stava svolgendo. C’è da ricordare che la famiglia scomparsa non aveva lasciato molte testimonianze, ma solo due o tre album di fotografie. E quando in lui nacque il dubbio se scrivere o no la storia di questo soggetti sconosciuti, accadde che…
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«Andai a Parigi a conoscere lo zio di Leon e questi non mi disse molto su di lui, ma mi domandò il perché volessi scrivere una storia sulla sua famiglia. Quando gli diedi la risposta e gli feci capire che cercavo dei dettagli in più, lui mi raccontò che Leon gli era apparso in sogno. A quel punto capii che questo era un segnale e che dovevo proseguire con la stesura».
Solo che a questo punto, come accade di fronte alla scelta di scrivere romanzi storici autobiografici, come fare ad essere rispettosi e seguire la verità, senza inventare niente delle vite altrui?
Dalle Variazioni Reinach, passando per Ultimo Parallelo e La grande ombra, Tuena insegna che «non è ammissibile o almeno è fastidioso l’uso del condizionale, come modo verbale per esprimere delle probabili o improbabili dichiarazioni. Meglio, pur rischiando di sorprendere le stesse figure rappresentate raccontare la verità e io in questo libro ho tentato di farlo il più possibile».
Che voce usare a quel punto?
Tuena racconta di aver provato subito a narrare in prima persona, ma «la prima persona era una zeppa spaventosa, così scelsi la terza che mi consentiva di essere vicino emotivamente ai personaggi, ma altrettanto starne distaccato». La chiave di tutto, prosegue Tuena, «è trovare il proprio modo di raccontare la storia». Secondo l’autore, alcune vicende nascono per essere raccontate in un certo modo e solo quello è il modo adatto, viceversa non si ottiene che effetti stilistici o pastiche confusi. Non è facile lavorare sul dato storico, dandogli una patina letteraria e narrativa. Nelle Variazioni Reinach, quanto più scriveva facendo un resoconto semplice, tanto più la scrittura precipitava. Paradossalmente la parte più arricchita sul piano artistico non è quella dove lo scrittore ha avuto più libertà, ma quella dove si limitava a riferire ciò che era accaduto. Fra storicità e invenzione la prima diventava letteratura, la seconda restava narrazione semplice. Come già detto ogni libro ha il suo punto di vista e il suo modo di essere e racconta il suo divenire.
Perché il titolo Variazioni?
Lo stesso ideatore ne dà molteplici spiegazioni: «innanzitutto perché riprende la mia idea di una scrittura frammentaria e io quando scrivo faccio continuamente delle variazioni, prendendo la realtà e modificandola. Poi perché la mia pagina aspira ad assomigliare a una partitura musicale, solo che anziché l’ascesa verso il parnaso, qua io sono disceso negli inferi. Infine perché uno dei quattro personaggi fu un compositore musicale e il collegamento con la musica non diveniva casuale».
Nelle Variazioni Reinach si racconta l’impatto che ebbe il reportage storico su Tuena. Questo perché «ogni libro racconta un innamoramento verso qualcuno o qualcosa. Può essere una donna, un luogo o una storia privata».
Del resto quando si è innamorati non si esprimono le sensazioni, le emozioni in maniera complessa o semplice per impressionare il proprio dedicatario o la propria amata?
In maniera più semplice e forte possibile e così altrettanto nella scrittura, non serve sempre la complessità e l’ornato esagerati, basta saper trovare il giusto equilibrio fra i poli opposti.
Siamo davanti dunque a un’opera di ispirazione proustiana, dove storia e invenzione, fotografia e musica, materiale d’epoca e racconto si sovrappongono e si amalgamano grazie a una tecnica narrativa insolita, particolare, antica e affascinante. Il soggetto storico è solo un modo per trasmettere la conoscenza, qui brutale e irrazionale della razza umana, al lettore odierno, ma nel suo libro non c’è solo questo. Va in scena un travagliato rapporto fra padre e figlio e fra l’uomo e la sua storia. Bisogna avere il coraggio di raccontare una tragedia come questa, dallo stato di grazia all’inferno del lager.
Tuena l’ha fatto una volta e l’ha rifatto quest’anno; con forza d’animo e musicalità, perché come diceva Aldo Busi «la letteratura è ritmo», ma è riuscito a raccontare gli altri e se stesso, con un atto meta-letterario non comune, interrogandosi sulla scrittura e riflettendo su come costruire la narrazione.
Risultato: a distanza di dieci anni resta uno dei romanzi storici sulla Shoah fra i più apprezzati.
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