"Ferro e sangue", si conclude la saga di Annika Bengtzon. Intervista a Liza Marklund
Con Ferro e sangue (Marsilio, 2017 – traduzione di Laura Cangemi) la giallista svedese Liza Marklund porta a conclusione il lungo ciclo di romanzi che hanno per protagonista la giornalista Annika Bengtzon, a diciotto anni dal suo esordio con Delitto a Stoccolma, pubblicato per la prima volta in Italia da Mondadori nel 2002 e poi ripubblicato nel 2012 da Marsilio, che attualmente presenta in catalogo la saga completa, da cui è stata anche tratta una fortunata serie televisiva, uscita in parte anche nelle sale cinematografiche svedesi.
I romanzi raccontano momenti diversi della vita della protagonista, ma sono stati scritti e pubblicati senza rispettare quello che dovrebbe essere un ordine cronologico, e proprio per questo possono essere comunque letti separatamente.
Annika, che è una reporter d'assalto del giornale «Stampa della sera», si occupa come sempre di casi di cronaca nera. In quest’ultimo episodio, in particolare, cerca di fare luce su alcuni casi di omicidi irrisolti, il cui ricordo continua a tormentarla, mentre l'espansione della stampa digitale sembra mettere a repentaglio il destino del giornale cartaceo a cui è tanto affezionata, e la sua complicata famiglia diventa fonte di ulteriori problemi, perché la sorella Birgitta scompare all’improvviso.
In una Svezia come sempre piuttosto cupa, dove i femminicidi sono all'ordine del giorno senza che il fenomeno venga davvero recepito in tutta la sua gravità, l'impetuosa Annika si batte su più fronti alla ricerca di verità rimaste nascoste troppo a lungo.
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Liza Marklund, scrittrice e giornalista molto impegnata sui temi del femminismo e della violenza domestica, è venuta a Milano a presentare la +sua ultima fatica e in quest'occasione ha risposto alle nostre domande.
Tema importante dei suoi libri è quello della violenza domestica. Perché in un paese benestante e apparentemente tranquillo come la Svezia ci sono così tanti casi di violenza domestica?
È una sorta di buco nero nella nostra società, un neo che ci affligge, soprattutto perché non se ne parla ed è un problema che non viene affrontato. Devo dire che negli ultimi due o tre anni i giornali hanno iniziato a parlarne con maggiore serietà, però il problema esiste ancora. Fino a poco tempo fa, tra l'altro, ci si chiedeva addirittura se si trattasse di vero omicidio: sembra assurdo, ma quando una donna veniva uccisa all'interno delle muira domestiche non veniva considerato un omicidio vero e proprio, e ancora oggi molti svedesi continuano a vederlo così.
In Spagna, dove ora vivo per gran parte dell'anno, la situazione è del tutto diversa, perché se una donna viene uccisa dal marito, dall'amante o comunque da un uomo è subito sulla prima pagina dei giornali, mentre in Svezia è fortunata ad avere un trafiletto nelle edizioni locali. Addirittura, in Spagna per tanto tempo all'aeroporto campeggiava un manifesto con scritto "zero tolleranza per chi abusa delle donne". In Svezia non esiste nulla di simile.
Può essere un problema di educazione maschile? Cosa si potrebbe fare per cambiare questo modo di pensare degli svedesi?
Noi svedesi purtroppo siamo convinti di vivere nel paese migliore del mondo e pensiamo che il problema stia nel fatto che il resto del mondo non corrisponde alla Svezia!
Il fatto che ogni settimana ci sia un femminicidio non è visto come un problema, cerchiamo di non vederlo perché macchia il nostro concetto di società pura. Di sicuro possiamo educare gli uomini, ma occorre prima di tutto affrontare sul serio "questo" problema.
Le racconto un aneddoto: c'è un centro di detenzione in cui sono rinchiusi solo uomini che hanno ucciso delle donne, oppure che ne hanno abusato, e che sono inoltre recidivi. A tutti questi uomini viene offerta la possibilità di fare una terapia di gestione della rabbia, ma per poter aver accesso a questa terapia bisogna ammettere di aver commesso quel tipo di reato, e solo la metà di questi carcerati ammette di averlo fatto. L'altra metà dichiara che è lì solo per colpa di lei, di essere innocente. La società continua purtroppo a essere compiacente con tali individui.
I suoi romanzi, come quelli di molti altri autori nordici, sono immersi in un’atmosfera che a noi europei del sud appare molto cupa. Lei, che vive un po' in Svezia e un po' in Spagna, che rapporto ha con questi due mondi, quello nordico e quello mediterraneo?
Vivere in Svezia in inverno è come stare in una cassa frigorifera col coperchio chiuso sopra: è buio e freddo per tutto il tempo. Consideriamo anche che io sono nata vicino al circolo polare artico, dove d'inverno non c'è sole per niente e d'estate c'è luce per ventiquattr'ore al giorno. Siccome mi deprimo abbastanza se non vedo la luce, ho deciso di non passare mai più un inverno in Svezia, dove torno solo in estate. Per il resto del tempo risiedo a Marbella.
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Il personaggio di Annika non riesce a liberarsi dai sensi di colpa per il suo passato. È possibile arrivare un giorno ad accettare le proprie colpe e a conviverci in un modo abbastanza sereno?
Secondo me tutti noi dovremmo poter rivolgere lo sguardo al passato per esaminare la nostra vita da un punto di vista genuino e autentico. Tutti abbiamo qualche problema che ci angustia dal passato, magari non è grosso come quello di Annika, che poveretta ha una storia piuttosto travagliata, ma ritengo che sarebbe utile a tutti noi guardarci alle spalle, cercare di capire quelle che sono state le nostre azioni e reazioni e nel caso chiarire a noi stessi i nostri errori.
L'altro grande tema del libro è la morte del giornalismo cartaceo. La rete è senza dubbio più veloce nel dare le notizie, però è spesso anche molto più superficiale. Come vede il futuro del mondo dell'informazione?
La rete è fantastica quando si tratta di portare le notizie agli utenti, perché in più porta anche suoni, immagini, tutto insomma. Di certo vince alla grande sulla carta in qualsiasi ambito, e poi pensiamo a quanti alberi abbattiamo e ai costi di trasporto per consegnare notizie che sono spesso già vecchie al termine di questo processo.
La battaglia per la carta è già persa, però il problema non è la rete, ma il fatto che i proprietari dei media operano grossi tagli nei confronti dei giornalisti, danno loro anche meno tempo per produrre notizie di qualità. Sta a loro far funzionare la rete in maniera adeguata, senza tagliare la verità con la scusa che la rete non fa guadagnare abbastanza.
I libri però si fruiscono meglio se sono di carta. In Norvegia hanno fatto un test facendo leggere lo stesso libro parte in digitale e parte su carta. Quelli che l'avevano letto su carta ricordavano più dettagli e raccontavano meglio la storia. Non sanno perché questo accada: forse perché su carta ti rendi conto meglio di dove ti trovi. Per le storie lunghe e per gli approfondiemnti la carta è meglio, ma non più per dare le notizie.
Visto che la serie di questo personaggio è conclusa, come si sente dopo aver convissuto con Annika per tanti anni?
Scrivo di Annika da quando avevo otto anni, quindi abbiamo una storia che va molto indietro nel tempo e conviviamo da tanto, però sono qui a dire che non ci sarà più nessun romanzo con lei come protagonista. Ho iniziato a usarla come strumento nella mia vita privata, perché spesso si può smettere di essere brave e carine e comportarsi con maggior decisione nella vita. Sì, a volte mi comporto in modo deciso e aggressivo come Annika, e in certi casi devo dire che funziona meglio dell'essere troppo gentili...
Pensa che inventerà un altro personaggio seriale, oppure Annika è stata troppo impegnativa per essere sostiuita facilmente?
Non scriverò più gialli: questo era un progetto che avevo in mente e che si è concluso, ho tante idee in testa ma non sono ancora in grado di parlarne. Potrei di sicuro inventare un altro personaggio seriale, ma non credo che scriverò più dei thriller.
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