Federico Faggin, il genio italiano poco conosciuto in Italia
Il nome di Federico Faggin, autore di Silicio (Mondadori, 2019) appena arrivato in libreria, forse dice poco al lettore italiano,eppure oggi non c'è quasi persona che non stia utilizzando la sua più grande invenzione: il microprocessore, elemento che sta alla base di tutti i computer attualmente in uso. Sua è anche l'invenzione del touchscreen, e per la sua attività ha ricevuto premi e riconoscimenti in tutto il mondo, tra cui la Medaglia Nazionale per la tecnologia e l'innovazione che gli è stata conferita dal presidente Obama nel 2010.
Nato a Vicenza nel 1941 e trasferitosi nella Silicon Valley alla fine degli anni Sessanta, Faggin, laureato in fisica, ha lavorato alla Fairchild e poi all'Intel negli anni in cui si è sviluppata tutta la tecnologia informatica attuale, ha fondato aziende e da quando si è ritirato dall'attività imprenditoriale si è dedicato allo studio scientifico della consapevolezza e dell'unicità del pensiero umano, in opposizione a coloro che teorizzano l'avvento di computer intelligenti in grado di agire esattamente come esseri umani.
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Silicio è la sua autobiografia, in cui racconta con passione le quattro vite che ritiene di aver vissuto: dalla giovinezza italiana al lavoro informatico, partendo dall'Olivettiper approdare in California, dall'attività imprenditoriale alla ricerca scientifica a cui continua a dedicarsi. L'uscita italiana del libro ha coinciso con la partecipazione di Federico Faggin a un ciclo di seminari organizzato dal dipartimento di Scienze Umane per la Formazione dell'Università Bicocca di Milano, coordinato da Stefano Moriggi, e in questa occasione abbiamo avuto la possibilità d'intervistarlo.
Scrivere la sua autobiografia le è servito per fare un po' i conti con se stesso e a comprendere meglio il suo passato?
Certamente. Capire il mio passato per me è diventata una cosa essenziale, a partire dal momento in cui mi sono reso conto che la mia concezione della realtà era contraddittoria rispetto al mondo molto più vasto e più ricco a cui mi sono avvicinato approfondendo gli studi sulla consapevolezza umana. Ho aspettato a scrivere la mia autobiografia finché non ho sentito di dentro di me la sicurezza che il modello che stavo sviluppando attraverso gli studi miei e di tanti ricercatori poteva essere proposto agli altri. Penso che tutto quello che ho fatto nel passato mi serva per proporre oggi, soprattutto ai giovani, un nuovo modo di vedere gli sviluppi della realtà attuale, sulla base di un'esperienza personale e non per sentito dire.
Poco fa, durante il suo discorso, lei ha esortato i giovani ad andare all'estero se non trovano lavoro qui in Italia. Del resto, come lei ci sono tantissimi italiani di talento che hanno ottenuto successo e riconoscimenti all'estero. Perché l'Italia appare come un Paese che non è in grado di valorizzare le sue eccellenze?
Perché quello che ci frena è una classe politica purtroppo meno preparata rispetto a quelle di altri Paesi. Se uno pretende di governare ma non capisce le tematiche fondamentali dell'economia globale, quale giudizio può esprimere sulla direzione futura dell'Italia, su come si fanno o non si fanno le cose? La mancanza di governi stabili è la stessa che c'era quando ero giovane io, ma dopo decenni vedo che non è cambiato nulla.
In effetti, proprio nel settore informatico abbiamo avuto l'esperienza di Olivetti che non è stata assolutamente capita e sostenuta dai politici di allora.
Negli anni Sessanta, quando io sono entrato a lavorare all'Olivetti prima di trasferirmi in America, ho sperimentato la mancanza di una visione più vasta da parte dei politici, che poi diventa miopia della classe dirigente. In Italia manca una scuola di formazione che insegni la conduzione di grandi aziende, che diventano quasi tutte ingovernabili: l'Olivetti è sparita, la Fiat è stata salvata da Marchionne, che aveva una mentalità anglosassone... Manca una classe dirigente di alto livello che assicuri una gestione professionale delle grandi imprese.
Personalmente mi meraviglio di quello che stanno facendo i cinesi, che stanno conquistando il mondo con ditte di enorme successo a conduzione semi familiare, come in fondo accade spesso in Italia. Ma qui da noi si scivola subito nel nepotismo: si affidano aziende al figlio del proprietario anche nel caso in cui sia evidentemente un incapace, che finirà per distruggere il lavoro del padre. E se le grandi imprese non vanno bene, questo si ripercuote su tutta l'economia. Un bravo dirigente diventa tale se nell'azienda viene aiutato a formarsi da un altro bravo dirigente, ma se manca questa formazione i giovani cosa possono fare?
Una sua frase mi ha colpita molto: «L'arte è essenziale, la scienza è essenziale: le due combinate possono dare a tutti un mondo migliore in cui vivere». Ce la faremo ad eliminare la distinzione, finora abbastanza rigida, tra mondo scientifico-tecologico e mondo umanistico?
La scienza vorrebbe che la coscienza, la consapevolezza umana, fosse prodotta dalla materia. Se riusciremo a dimostrare scientificamente nei prossimi anni – spero che accada prima che io muoia!– che la consapevolezza è primaria e non un prodotto secondario, si potrebbe cambiare l'atteggiamento rigido degli scienziati a questo proposito.
La posizione sulla consapevolezza come è espressa nel suo libro, che si pone contro la fisica classica, le ha procurato ostilità nel mondo scientifico?
Per il momento no, direi più che altro che gli scienziati sono scettici. C'è una corrente che sembra impegnata a voler dimostrare che i robot siano o possano diventare a breve meglio degli esseri umani, il che per me è assurdo.
Il pericolo che il mondo possa arrivare a essere controllato da pochi attraverso le macchine è un pericolo reale?
Riusciremo a evitarlo se la gente rifiuterà di farsi abbindolare.
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Lo sviluppo dell'informatica sarà infinito oppure a un certo punto toccherà dei limiti invalicabili?
L'informatica come è intesa oggi andrà avanti altri cent'anni, con un'accelerazione che comunque rallenterà nel tempo. Il vero sviluppo umano avverrà quando l'uomo prenderà coscienza del suo essere, appunto, un essere cosciente, e allora potrà andare molto più avanti, utilizzando l'informatica come supporto.
Tornando alla sua vita di inventore: tutto quello che è nato nella Silicon Valley, avrebbe potuto svilupparsi altrove, oppure in quegli anni e in quel luogo si è creata una situazione unica e irripetibile?
Senz'altro le condizioni di allora erano irripetibili. Chi ha dato l'avvio a tutta la creazione dei computer attuali è stata la Fairchild, dove ho lavorato prima di andare all'Intel, ma l'importanza delle prime scoperte non è stata capita, tanto che c'è stato chi ha praticamente rubato la tecnologia sviluppandola altrove. Ma questo è successo un po' dappertutto in quegli anni. Anche Steve Jobs, del resto, ha costruito la sua fortuna su molte idee che non erano affatto sue, ma che lui ha saputo sviluppare meglio.
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Per la prima foto, copyright: John Schnobrich su Unsplash.
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