"Favola splatter", l'inquietante Milano futura di Beppe Tosco
Favola splatter (Frassinelli, 2018) è il romanzo che Beppe Tosco, autore eclettico di testi comici per la tv, romanzi e altro ancora, ha scritto in collaborazione col figlio Francesco e che è appena arrivato nelle librerie.
La storia, surreale quanto basta, è ambientata nella Milano di un futuro non troppo lontano, in cui Gheorghe Pop, criminale sempre alla ricerca di nuovi modi per fare soldi, ha avuto un'idea veramente brillante: recuperare le enormi quantità di cocaina presenti negli scarichi fognari della città, ripulirla e depurarla completamente per poterla poi reimmettere sul mercato. Chili e chili di polvere bianca si ammassano quindi in breve tempo in un vecchio silos abbandonato, che Gheorghe ha affittato a questo scopo, fino a quando si verifica un imprevisto: nel corso di un tremendo temporale, il vento abbatte una gru che precipita rovinosamente sul silos, sfondandolo. Lo stesso vento s'incarica di diffondere la polvere bianca sopra una larga parte della città, così che migliaia di cittadini inconsapevoli si ritrovano a inalarla. Gli effetti dell'incidente appaiono subito devastanti: in preda agli effetti della cocaina, le persone perdono qualsiasi freno inibitore e si scatenano nei modi peggiori, trasformando alcuni quartieri in una giungla selvaggia, dove può accadere di tutto. Ed è da questa giungla che il comandante dei carabinieri De Leo, resosi conto dell'impossibilità di fermare il disastro, cerca almeno di mettere in salvo due ragazzi che il caso ha condotto nella sua caserma: Lola, una diciassettenne fin troppo sveglia venuta a Milano all'insaputa dei genitori che vivono altrove, e Vladi, un ragazzino di origini russe rimasto senza famiglia. Li seguiamo quindi nel corso del loro viaggio in una città dove può veramente accadere di tutto, incontrando personaggi spesso esilaranti.
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Favola splatter è un romanzo che si legge tutto d'un fiato, perché ci racconta un futuro più prossimo di quello che pensiamo, e di cui, purtroppo, vediamo già tanto nel nostro presente, ma lo fa con leggerezza e ironia. Ne abbiamo parlato con gli autori, a Milano per la prima presentazione ufficiale, insieme a Giovanni Francese, responsabile editoriale di Frassinelli.
Il romanzo è stato pubblicizzato con due frasi: "Questa non è una profezia" e "come sarà Milano tra quindici anni? Più grande e certamente più cattiva". Possiamo partire da qui?
Chi ha letto un mio romanzo di qualche anno fa, È finita la benzina, sa che io avevo raccontato un futuro con dei fatti che in seguito sono anche accaduti, perciò non vorrei che si verificassero anche quelli che racconto in Favola splatter, ma chi l'ha già letto sa che ci stiamo avvicinando molto a quella realtà. Non è detto che i fatti raccontati nel romanzo, che è pur sempre un'opera di fantasia, non debbano capitare. Credo di aver descritto una specie di Apocalisse, che però farà sorridere chi la leggerà. Quanto a Milano, sono certo che in futuro sarà più cattiva di oggi. L'idea del libro nasce da un sogno che ho fatto, in cui Milano cadeva preda di una follia collettiva, poi mio figlio mi ha aiutato a svilupparla.
Come scrittore per lei è più interessante parlare del futuro piuttosto che del passato?
Sì, sono spinto verso il presente e il futuro. Il passato m'interessa meno, perché tendo a scrivere cose che vengono definite surreali: guardando il presente, m'interessa provare a raccontare come certe cose si trasformeranno tra un anno o fra dieci. Il passato richiede un'estrema precisione, mentre sul futuro si può sgarrare, perché nessuno andrà a controllare, quindi lascia più spazio al mio essere naif, alla fantasia e all'immaginario.
In questo libro succede di tutto, ma quello che colpisce il lettore è la leggerezza con cui vengono descritte anche le scene più raccapriccianti, che magari in un altro tipo di libro farebbero sobbalzare sulla poltrona. Questo modo di scrivere le è venuto naturale, oppure è frutto di una ricerca?
Penso che mi venga naturale. La mia fatica è stata quella di trovare delle cose difficili da descrivere e di trovare il modo più leggero per renderle credibili, almeno nel patto che c'è tra chi scrive un romanzo e chi lo legge. Chi legge sa che questa non è la realtà. Però, se andiamo a vedere i film sugli zombie e crediamo che uno esca da sottoterra e riviva cercando di mangiare gli altri, possiamo anche credere alle follia che racconto, alla follia che c'è nelle grandi città e che secondo me è in aumento esponenziale. Stiamo per esplodere, perché stiamo diventando una gabbia di matti, e per matti intendo anche quelli che abitualmente non riteniamo tali: se vedo una signora che riveste un cagnolino minuscolo con un cappotto di borchie, penso che quella signora tanto normale non sia. Così come penso che non sia normale una donna che passati i settanta si rifà il seno. Siamo sicuri che sa quello che sta facendo? E qualcuno lascerebbe un figlio piccolo, anche solo per tre ore, con un membro qualsiasi del pubblico di Uomini e donne di Maria De Filippi?
Il romanzo inizia proprio in uno studio televisivo perché per me sta lì la più alta concentrazione di pazzi, gente che tifa e si appassiona per persone a cui ci sarebbe come minimo da ritirare la patente tanto sono fuori di testa.
Vista la sua lunga esperienza lavorativa in quel settore, qual è la sua opinione sulla televisione generalista? Sta davvero morendo?
Certo, perché la gente ormai fa altro. I giovani, soprattutto, non la guardano più. Una volta mi hanno invitato a una trasmissione televisiva per parlare di un mio libro e sono finito in mezzo a un gruppo assurdo dove non si capiva quale fosse l'argomento di discussione. Io mi sono spento, volevo solo andarmene a casa e mi chiedevo perché mai mi avessero chiamato: il novanta per cento della tv è fatto da pazzi per i pazzi, ma il peggio assoluto è il pubblico, che sembra proprio composto da dementi.
All'inizio ho avuto delle difficoltà per trovare il modo giusto per raccontare certe cose e farle risultare credibili, mi ero abbastanza arenato finché non ho chiesto aiuto a mio figlio Francesco. Lui è uno strutturalista, mentre io sono un anarchico, e così lui mi ha aiutato a creare la struttura.
Nel caso di una scrittura a quattro mani, ci si chiede sempre come funziona in concreto, come vi dividete il lavoro, chi pensa di più. Com'è stato il vostro rapporto nello scrivere questo libro?
(Francesco Tosco) Fisicamente le parole sul libro le ha scritte mio padre. Ci vedevamo in modo saltuario per i recirpoci impegni, per cui abbiamo lavorato mettendo giù appunti sulla struttura e le trovate da inserire, ma la stesura finale è stata tutta sua, anche perché è difficile imitare la sua scrittura.
(Beppe Tosco) Lui però mi ha risolto tutti gli snodi, i momenti in cui rischiavo di arenarmi.
Milano è la grande protagonista del libro. Come mai, non essendo milanesi, avete scelto di ambientarvi il romanzo e qual è il vostro rapporto con la città?
(Francesco Tosco) Abbiamo scelto Milano prima di tutto perché ormai prendersela con Roma è troppo facile... In realtà Milano rappresenta in Italia una metropoli volta verso il futuro.
(Beppe Tosco) Qualcuno potrebbe pensare che i torinesi non hanno molta simpatia per Milano, ma non è stato questo il motivo. Siccome si parla di violenza, possiamo dire che ci sono città che in qualche modo, come Napoli, hanno una motivazione per i loro episodi di violenza, che è poi quella del denaro, mentre qui a Milano, invece, ci si ammazza perché si danno i numeri. Vi ricordate quello che è uscito di casa e si è messo a picconare i passanti, o quello che ha tagliato un braccio col machete al controllore del treno perché non aveva il biglietto? È a Milano che sono accaduti diversi casi che ci hanno ispirato, come abbiamo scritto nelle note finali.
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Questo processo di peggioramento della città presente e futura è irreversibile, oppure si potrebbe riuscire a invertire la tendenza?
Credo che sia abbastanza irreversibile, nel senso che se non impariamo niente da tutto quello che capita siamo destinati a picchiare il naso. Abbiamo creato un sistema che non è facile cambiare. Forse staremo meglio dopo una riduzione generale della popolazione.
Oltre alla cocaina che è il fattore scatenante della follia, nel libro c'è un altro aspetto della contemporaneità che assume un ruolo importante, ed è il mondo della rete, dei blog e dei social. C'è un legame tra la cocaina e il ruolo dei social network come amplificatori della follia collettiva?
(Francesco Tosco) Da un lato sì, perché i social hanno acquisito in pochi anni un potere enorme e se ne può fare un uso molto distorto per la loro possibilità di raggiungere potenzialmente il mondo intero senza filtri. Nel romanzo ci sono due fratelli che si divertono aizzando i loro follower postando immagini macabre commentate con la voce dei Simpson. Nella Milano stravolta dalla cocaina inventano l'hashtag #Milanofiesta per organizzare raduni di ragazzi che hanno voglia di divertirsi e di menare le mani.
Un'altra caratteristica di questo libro è un ritmo molto cinematografico. Avete pensato di farne una sceneggiatura?
L'importante è che l'idea di farne un film venga anche a un produttore, più che allo scrittore, comunque ci stiamo lavorando. Del resto, il romanzo è già scritto al presente, tutto accade sotto gli occhi del lettore proprio come se stesse assistendo alle scene di un film.
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Per la prima foto, copyright: Jilbert Ebrahimi.
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