Fare filosofia con i bambini. Ecco perché è importante
Si discute con sempre maggiore forza dell’importanza della filosofia anche per i bambini. Ma quali sono i modelli e i metodi da seguire in questo caso? Qual è l’approccio giusto e perché la filosofia può risultare utile anche nel percorso di crescita e sviluppo dei bambini?
Di questo, e di molto altro, abbiamo discusso con Luca Mori, ricercatore presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell'Università di Pisa, e autore del recente Giochi filosofici. Sfide all’ultimo pensiero per bambini coraggiosi (Erickson).
Cominciamo dalle domande più immediate: perché e cosa s’intende per insegnare la filosofia ai bambini?
Il verbo “insegnare” può fare venire in mente una lezione in cui chi insegna parla e chi apprende ascolta o prende parola soltanto per chiedere chiarimenti. In questo senso, il verbo “insegnare” è fuorviante. Fare filosofia con i bambini non significa insegnare loro nozioni o pezzi di storia della filosofia ma, dal mio punto di vista, trovare il modo di condividere con loro grandi domande, problemi ed esperimenti mentali tratti dalla storia della filosofia, per avventurarsi in uno spazio di scoperta condiviso. Ciò che si “insegna”, allora, è allenarsi a entrare in questo spazio di scoperta. Cosa si scopre? Se le domande e gli esperimenti mentali sono proposti bene, si scopre cosa significa avanzare oltre il contorno tracciato dalle cose già dette e già pensate, cercando connessioni tra ciò che già sappiamo (o crediamo di sapere) e ciò che ci meraviglia perché non sappiamo come inquadrarlo nello spazio del nostro sapere, delle nostre credenze o della nostra immaginazione.
Una delle parole che ricorre più di frequente nel libro è “dubbio”, insieme a “domanda”. Che importanza ricopre nel percorso che lei propone la naturale propensione dei bambini alla curiosità?
Il filosofo Ludwig Wittgenstein diceva che un problema filosofico ha una forma caratteristica, riassumibile nell’espressione “non mi ci raccapezzo”. Le domande della filosofia sono spiazzanti e coinvolgenti perché, anche quando riguardano cose a cui siamo abituati (il cambiamento delle cose attorno a noi, il nostro modo di usare il linguaggio ecc.), riescono a farcele percepire in modo insolito, facendo balenare la possibilità che forse quel che ci appare ovvio non lo è del tutto e che ci sono aspetti fondamentali dei fenomeni sui quali non abbiamo le idee chiare. Le domande della filosofia ci portano al confine tra ciò su cui sappiamo prendere posizione e ciò su cui non sappiamo che posizione prendere: nella perplessità che ne consegue si può accendere la curiosità, che si accompagna al piacere della ricerca e della scoperta.
La storia della filosofia può essere riletta anche come la storia delle domande e dei dubbi più complessi che gli esseri umani siano stati in grado di concepire e, in questo, si intreccia profondamente con la storia della scienza. Il libro raccoglie domande che, in base alle esperienze fatte in tanti anni nelle scuole, si sono dimostrate capaci di stimolare potentemente la curiosità dei bambini.
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Di filosofia per i bambini si parla da tanto tempo. Basti pensare a Matthew Lipman, che ne gettò le basi negli anni Sessanta del secolo scorso. A che punto è in Italia l’insegnamento della filosofia ai bambini? Quali passi avanti sono stati fatti?
Paragono il paesaggio attuale della filosofia con i bambini a un arcipelago formato da molte isole. Sviluppando questa immagine, si potrebbe dire che l’isola di Lipman è una delle più grandi (probabilmente la più grande) e delle più frequentate. Non è però l’unica isola. I passi avanti degli ultimi anni – in Italia e fuori – sono legati proprio alla comparsa di un gran numero di isole (approcci, gruppi di lavoro, sperimentazioni), caratterizzate dall’utilizzo di punti di partenza, materiali e metodi anche molto differenti. Non sono mancate neppure le polemiche tra i fautori di approcci differenti nei presupposti, nel metodo, nello stile o negli obiettivi; né sono mancate le improvvisazioni. Complessivamente, però, la varietà delle sperimentazioni costituisce un’opportunità per chi voglia cimentarsi nel fare filosofia con i bambini: le idee in circolazione sono tante e la possibilità di trovare ispirazione non manca.
Quali sono le caratteristiche peculiari di una sessione di filosofia con i bambini?
Restando all’immagine dell’arcipelago, ogni isola ha le sue modalità tipiche di impostare gli incontri con i bambini e una o più sessioni tipiche, con le loro caratteristiche peculiari. Per quanto riguarda le proposte contenute nel libro Giochi filosofici, il punto di partenza è sempre un problema tratto dalla storia della filosofia. Che si tratti di una domanda diretta, di un enigma, di un paradosso o di un esperimento mentale, il problema filosofico invita i bambini a entrare in uno spazio di ricerca insolito, in cui non si sa inizialmente se il problema ha una sola risposta, se ne ha tante o se non ne ha nessuna.
L’adulto accompagna la conversazione senza dare giudizi, con grande attenzione e capacità di ascolto, aiutando i gruppi a cogliere possibili connessioni e contraddizioni tra le posizioni emerse strada facendo, oppure introducendo domande ed elementi aggiuntivi, qualora la piega presa dalla conversazione lo permetta. Quanto più l’adulto si è appassionato al problema filosofico affrontato e alla sua storia, tanto più sarà capace a sua volta di cogliere connessioni e di proporre espansioni al ragionamento dei bambini. Succede qui qualcosa di simile a quel che accade con la lingua inglese: posso insegnarla anche se non sono madrelingua, ma la insegnerò tanto meglio, quanto più io stesso mi esercito e mi alleno nel leggerla e nel comprenderne le sfumature. Questo libro vuole ispirare il lavoro degli insegnanti e aiutarli anche in questo genere di allenamento personale con le questioni filosofiche da affrontare con i bambini.
Per quanto mi riguarda, poi, non c’è una sola cornice spaziale e temporale da adottare in tutte le situazioni: ho fatto filosofia con bambini e adolescenti nei contesti più diversi, arrivando a conversazioni di quattro ore intervallate da una piccola pausa. Molto dipende dal tipo di problema proposto e dall’età dei bambini coinvolti: qui è l’esperienza accumulata a fare la differenza.
Dialogo, problemi e giochi sono tre aspetti su cui insiste molto. Qual è il loro ruolo nell’insegnamento della filosofia ai bambini?
Rispondo con la metafora del puzzle. Immaginate un gruppo di bambine e bambini che affrontano l’esperimento mentale dell’utopia, incontrando una decina di domande che richiedono di trovare l’accordo su posizioni che inizialmente possono essere anche molto distanti. Quando la conversazione inizia, nessuno ha idea dell’aspetto che l’utopia potrà avere alla fine. Ogni volta che un bambino esprime la propria idea e la argomenta, è come se disegnasse una tessera del puzzle “utopia” proponendola agli altri; altri proporranno poi le loro tessere e inizieranno i tentativi per incastrarle. Ci si accorge subito che non tutte le tessere (le singole idee) combaciano. A quel punto, senza avere la scatola con l’originale dell’utopia da ricomporre, i bambini dovranno ridisegnare i contorni delle proprie tessere, tornare sulle mosse iniziali, cercando nuove strategie per costruire le tessere e nuovi modi per procedere. Ecco: il problema è come la scatola del puzzle, vuota, perché non ci sono tessere né soluzione, ma qualcosa che “spiazza” e mette in moto le idee dei bambini (sono quelle, semplificando, le basi per iniziare a disegnare il puzzle); il dialogo è il processo che permette di lavorare al disegno delle singole tessere e ai tentativi di trovare gli incastri giusti; la giocosità è il modo in cui quel processo avanza ed è, al tempo stesso, l’emozione di base che si lega al piacere della ricerca e della scoperta progressiva di combinazioni inizialmente impensate.
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Giochi filosofici è diviso in quattro sezioni, l’ultima della quale è intitolata Cambiare prospettiva. A cosa si riferisce quest’espressione quando si parla di bambini?
L’espressione fa riferimento alla possibilità di cambiare punto di vista sulle cose, simulando prospettive diverse dalla propria. È quello che fa Voltaire quando, in Micromega, immagina due extraterrestri in visita sul nostro pianeta, ed è quel che fa Platone, quando riflette sulla condizione di un gruppo di prigionieri in una strana caverna. La domanda di fondo è: “cosa accadrebbe se/se non…?”, “come potrebbero vedere il mondo o noi degli esseri diversi da noi (per determinate caratteristiche)?”. Provare a cambiare il punto d’osservazione è un modo per alimentare la creatività e per accorgersi di aspetti delle cose che solitamente rimangono nascosti.
Il suo libro è rivolto agli operatori adulti. Quali competenze sono necessarie per gestire percorsi di questo tipo?
Ho già accennato in precedenza alla questione, facendo l’esempio della lingua inglese. Tra le competenze fondamentali metterei il saper ascoltare sospendendo il giudizio e astenendosi dai suggerimenti, il saper indicare possibili connessioni, incongruenze o contraddizioni tra le posizioni emergenti, il saper sostare e rilanciare la conversazione con polso e tatto. L’adulto che fa filosofia con i bambini dovrebbe inoltre acquisire una buona pratica con alcuni tra gli “stili” dell’argomentazione filosofica e impegnarsi per padroneggiare il linguaggio e le “tecniche” della filosofia: il libro Giochi filosofici è pensato anche per fornire esempi e stimoli in questa direzione.
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Per la prima foto, copyright: Hannah Tasker.
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