E se la verità fosse come un’improvvisa tempesta? “Lascia dire alle ombre” di Jess Kidd
Lascia dire alle ombre è un romanzo giallo al confine tra fantasia e realtà, che sa macchiare i verdi paesaggi irlandesi con note amare di un noir dalle fattezze soprannaturali, facendo immergere il lettore in un bellissimo viaggio al confine tra cielo, terra e acqua.
Il romanzo (edito da Bompiani nella traduzione di Sergio Claudio Perroni) inizia in medias res, in un lontano e indefinito maggio del 1950, non è chiaro chi siano i nostri personaggi, abbiamo solo la descrizione di un omicidio perfettamente occultato a cui è sopravvissuto un bambino. Ma ecco che d’un tratto veniamo catapultati nell’aprile del 1976, quando il giovane dublinese Mahony – protagonista del racconto – è arrivato a Mulderrig, «un piccolo corpuscolo geografico srotolato alla rinfusa e steso al sole», che però ben presto scopriamo nasconde segreti e scheletri nell’armadio. Tutto ciò che l’orfano Mahony ha della sua infanzia è una piccola foto sul retro della quale sono scritte poche semplici parole:
«Il tuo nome è Francis Sweeney. Tua madre era Orla Sweeney. Sei nato a Mulderrig, contea di Mayo. In questa foto ci siete tu e lei. Sappi che lei è la vergogna della città, perciò l’hanno portata via da te. Mentono tutti, quindi stai in guardia e sappi che tua madre ti amava.»
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Ma non tutti hanno l’abilità di vedere gli spettri delle persone morte, con i quali lui parla e si confronta. Inizia a conoscere le prime persone del posto: il sergente Jack Brophy e Tadhg, perdutamente innamorato della vedova Annie Farelly, che lo accompagnerà a Rathmore House, dove Mahony potrà chiedere una stanza alla proprietaria Shauna. Proprio qui farà conoscenza con l’anziana eccentrica signora Cauley – soprannominata Merle – che sarà tra le prime a conoscere la vera identità di Mahony. Il dublinese è molto determinato a conoscere la storia del suo passato e dopo aver sentito numerose versioni sulla scomparsa della madre si convince definitivamente che qualcuno ha interesse a nascondere la verità. Interviene a questo punto Merle, la nostra Miss Marple, la cui fama come attrice teatrale la precede. Il suo intento è appunto quello di allestire un nuovo spettacolo, in favore della chiesa di padre Quinn, facendo partecipare gli abitanti di Mulderrig, compreso il nuovo arrivato. L’anziana sembra voler usare il teatro quasi in funzione catartica: durante le prove ogni singolo partecipante alla messa in scena, attore o spettatore che sia, si applicherà spensieratamente e si libererà degli spettri che hanno gravato su di lui fino a quel preciso istante, ma non solo, come in un “guardarsi vivere” pirandelliano, i colpevoli si smaschereranno l’un l’altro in un gioco di incastri, coperture e stratagemmi. Gli effetti di questa fantastica trovata sono geniali, già durante i provini, quando finalmente Mahony rivela proprio a tutti chi effettivamente lui sia, alla domanda sfrontata della signora Culey circa la scomparsa di Orla Sweeney, ognuno racconta una versione differente, preoccupandosi solamente di inscenare quanto scritto sul copione. Ma ecco che accade qualcosa di inaspettato, la signora Lavelle dà fuori di testa, inizia a urlare e a profetizzare il ritorno di un’entità indefinita, lasciando anche il lettore avvolto nel mistero.
Le indagini intanto continuano e Mahony decide di avventurarsi nella foresta a ridosso del paese. Chiunque sia stato in Irlanda sa che nella fitta e rigogliosa vegetazione locale non ci si sente mai soli, vuoi per le credenze locali sull’esistenza di numerosi abitanti dei boschi, vuoi perché proprio l’apparente sventurato orfano incontra diverse anime: i morti assumono un ruolo attivo nella risoluzione del caso, perché «è una verità universalmente ignota il fatto che, quando i morti fanno di tutto per ricordare qualcosa, i vivi facciano ancora di più per dimenticarlo». Con lo scorrere inesorabile del tempo accadono fatti strani e i frammenti raccontati del passato divengono più che mai taglienti e si ricompongono fino a incollarsi per formare lo specchio in cui si rifletterà il volto dell’assassino. Improvvisamente la natura rivendica la sua non trascurabile presenza nella storia con un temporale fuori dal consueto, un temporale simbolico.
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera.
Così come leggiamo in Lampo di Giovanni Pascoli, la luce della tempesta sembra voler restituire al mondo e a noi lettori la casa bianca di un ricordo seppellito, vuole far riaprire per un attimo l’occhio di chi, fino a quel momento, era nel grembo di una terra sommersa… un vento irrequieto si infiltra nei comignoli dei camini e annerisce di fuliggine l’interno delle case. Mahony è ora nella foresta che sembra essere più animata che mai, sotto il cadere di una pioggia capace di far annegare anche i morti. Al risveglio Mulderrig non è più la stessa e ora finalmente l’orfano dublinese e la signora Culey potranno trarre le loro conclusioni.
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Il piacere del mistero è unito nel libro a una ricca caratterizzazione psicologica dei personaggi che li fa apparire attori e non uomini di una comunità sociale. Le continue analessi nel raccontare la vicenda, il parallelismo fabula-intreccio, l’uso di dialoghi vivaci – con l’inserimento di una speziata vena ironica – e i ritratti che emergono dei singoli personaggi, suffragano la volontà di voler rendere viva l’effettiva “esperienza umana”.
Potremmo affermare anche che si tratti di una sorta romanzo di formazione: i personaggi allo scorrere degli eventi cambiano radicalmente, Mahony in primis, da ragazzo scapestrato e del tutto oscuro ai sentimenti profondi, diventerà il compagno di chi invece aveva già progettato la propria intera vita a Mulderrig, non cedendo all’infatuazione per una donna già sposata. Il paesaggio, partecipando attivamente alla narrazione, ci dona un’Irlanda magica e soprannaturale, un’isola dal profumo di trifoglio e dall’essenza di mistero, dove il cielo è capace di regalare lune che scintillano nell’acqua, ma è altresì in grado di scatenare tempeste. L’alternarsi di spazi esterni e interni e di focalizzazioni ci restituiscono una perfetta continuità narrativa, da momenti in cui prevale un taglio più intimo e privato si passa alla concretizzazione esteriore dei fatti.
Lascia dire alle ombresignifica proprio dar voce a quel lato di sé che esige risposte, messo troppe volte tra parentesi dagli altri; significa essere artefici del proprio destino e saper dare un valore eterno a quei sogni disegnati sulla sabbia, troppo spesso abbandonati per paura che il mare li distrugga, quando invece non capiamo che non fa altro che portare i granelli verso il nostro piccolo angolo di infinito.
Per la prima foto, copyright: Steven Hanna.
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