Dopo i Cazalet e gli Aubrey, una nuova appassionante saga famigliare, “Jalna” di Mazo de la Roche
L’editore Fazi ha abituato da tempo il pubblico delle librerie al potere seduttivo emanato dai romanzi seriali di respiro vittoriano. E un posto speciale se lo sono guadagnato le saghe familiari ambientate tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, ritagliandosi uno spazio autonomo e toccando le corde dei lettori. Attraverso le esistenze dei numerosi interpreti che affollano questa tipologia di narrativa – basti dire Cazalet e La famiglia Aubrey per illuminare molte menti e molti occhi – ci si immedesima, si gioisce, si soffre, si ama e si odia. Del resto ognuno di noi ha un’origine, un territorio di appartenenza, una famiglia che sia grande oppure no, ciascuna con le proprie regole e valori, se non persino disvalori. La normalità è un concetto ampio e variegato quando si parla di famiglia. Comunque sia, comunque vadano le cose, con essa iniziamo un percorso di vita.
Così accade per la storia di cui andiamo a parlarvi, tanto affascinante quanto avvolgente, come i climi e i paesaggi in cui è ambientato: Jalna il titolo, il Canada la Nazione, Mazo de la Roche la sua autrice, che la casa editrice citata porta per la prima volta in Italia, da oggi, nella traduzione di Sabina Terziani e per la stessa collana (Le strade) delle due saghe che ci sono servite da esempio per la loro ancora fresca e attuale celebrità.
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Jalna è il focolare domestico protagonista delle vicende, le quali sono narrate da una voce esterna, non coinvolta nei fatti, ma col potere analitico di chi già li conosce. I punti di vista invece sono tanti quanti i personaggi, a cui si aggiungono animali e animaletti significativi come gli esseri umani.
A dirla tutta, il nome in questione è quello di una località dell’India dov’era di stanza il capitano Philip, ufficiale britannico ai tempi del colonialismo, che innamoratosi di una bella irlandese formerà con lei la dinastia dei Whiteoak-Court, dopo aver lasciato il Paese asiatico per sempre non potendone più di stare in una guarnigione. Passando prima per Londra e il Quebec finalmente trovano il luogo adatto, «un migliaio di acri di terra fertile attraversata da un torrente pullulante di trote maculate che scorreva in fondo a un dirupo» sulle rive meridionali dell’Ontario, acquistandolo dal governo, e questa è la plastica descrizione che ne viene fatta:
«La manodopera era a buon mercato. Un piccolo esercito di uomini conferì alla foresta la parvenza di un parco all’inglese e costruì una casa che avrebbe eclissato ogni altra dimora della contea. E infatti, terminati i lavori, quando le stanze furono imbiancate e arredate, si rivelò in tutta la sua meraviglia. Era un edificio a pianta quadrata di mattoni rosso scuro, con un ampio portico di pietra e un piano interrato che ospitava i quartieri della servitù e le cucine. A piano terra c’era un soggiorno immenso, una biblioteca (più che altro un salotto, visti i pochi libri che conteneva), una sala da pranzo e una camera da letto; al piano superiore c’erano sei camere belle grandi, mentre il sottotetto ne aveva due. I rivestimenti delle pareti e le porte erano di noce. Cinque pittoreschi camini disperdevano pennacchi di fumo sopra le cime degli alberi che circondavano la casa. In un accesso di romanticismo, Philip e Adeline battezzarono Jalna, in ricordo della postazione militare dove si erano conosciuti. Tutti lo trovarono un nome grazioso, e Jalna si rivelò pervasa da un’atmosfera di allegria e di inespugnabile benessere».
Al tempo della narrazione sono tre le generazioni conviventi: la nonna Adeline, matriarca assoluta e riverita, dispotica e irritante, alla vigilia dei suoi cento anni nulla la scalfisce, i due discendenti maschi (l’unica femmina vive in Inghilterra e un altro è deceduto) e i nipoti; questi ultimi non tutti figli della stessa madre: c’è il poeta-scrittore non compreso dai congiunti nel portare avanti il suo sogno considerato tempo sprecato (e in un’abitazione con pochi libri non poteva essere altrimenti) il cui nome, Eden, esprime con una certa dose di probabilità la visione della letteratura per de la Roche; c’è chi ancora è giovane, studia e deve capire le reali attitudini e aspirazioni professionali.
Il più piccolo tra essi invece è Wakefield, primo nome di persona e prima parola che compare nel libro, le cui marachelle ricordano Tom Sawyer.
I più grandi tra i fratellastri invece devono districarsi con problemi giocoforza più rilevanti: quello che deve fare da padre si ritrova diviso fra doveri e responsabilità e nuove e più fulgide emozioni, e c’è la sorella che non riesce a superare una vecchia e cocente delusione amorosa e da allora si rifiuta di mangiare in pubblico. Insomma, dietro il paravento di un’apparente normalità, borghese e intransigente, scandita da riti a cui è impossibile rinunciare, c’è la propria interiorità, e vi sono i propri demoni con cui fare i conti. Quando poi il corso dei destini viene stravolto dall’ingresso nel piccolo-grande mondo di Jalna di due donne esterne ai legami di sangue – come mogli che si devono adattare alla nuova vita e al nuovo ambiente e che sono diverse per livello e provenienza – gli equilibri si frantumano, dimostrando la fragilità dei suddetti legami.
La lettura scorre via con agio nonostante l’atmosfera da feuilleton con personaggi fortemente caratterizzati. Gli avvenimenti si svolgono con naturalezza, come se la mano non avesse voluto calcare troppo sugli intrighi. Ogni capitolo sembra un piccolo e appassionato, e appassionante, romanzo a sé.
Inoltre, il fatto che determinate armonie si rompano con l’ingresso di componenti entrambi femminili non può essere solo una scelta narrativa dettata dal caso. Desiderio e senso di colpa, peccato ed espiazione non avevano la medesima valenza nei generi umani (e qualche dettame non solo religioso ma anche socio-culturale è rimasto invariato). Mazo de la Roche (1879-1961) lo sapeva bene. Originaria dei luoghi attraversati dalla sua opera difese con l’arma della privacy una vita privata insolita per il tempo in cui visse.
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Prima di una lunga serie di volumi – trenta furono gli anni per portarla a termine e non è stata l’unica produzione, anzi, proprio il contrario (ventitré romanzi, cinquanta novelle, tredici testi teatrali, oltre a poesie e racconti) – ebbe un grande successo in Nord America negli anni Venti del secolo scorso e permisero alla scrittrice di vincere, prima donna a riceverlo, il prestigioso premio dell'Atlantic Monthly Press. Tradotta in molte lingue, è stata adattata per il cinema e la televisione.
Ciò nondimeno Jalna è un qualcosa di più. Non “solo”rifugio e calore domestico, dove il tempo sembra essersi fermato nonostante gli abitanti abbiano un cuore che batte, è bensì contenitore di principi e stili vittoriani, di certo privilegiato e operoso, ma emblema di contraddizioni e sentimenti ambivalenti.
Per la prima foto, copyright: Louis Renaudineau su Unsplash.
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