Di cos’è fatta la vita? “Tutti i nomi del mondo” di Eraldo Affinati
Tutti i nomi del mondo (Mondadori, 2018) è il nuovo libro con cui Eraldo Affinati torna in libreria dopo il successo di L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani (Mondadori), finalista al Premio Strega 2016.
Si tratta di un romanzo a più voci, strutturato in ventisei capitoli. Ogni capitolo raduna, sotto una lettera dell’alfabeto, una serie di nomi che iniziano con quella stessa lettera: sono le persone che il narratore principale, lo stesso Affinati, si ritrova attorno in un simbolico raduno sul colle Oppio, a Roma, ciascuna pronta a raccontare la sua storia e le circostanze che l’hanno portata a entrare in contatto con lui. La maggior parte di loro sono gli studenti transitati nel corso degli anni dalla Penny Wirton, la scuola gratuita di italiano per immigrati che Affinati ha fondato a Roma con la moglie Anna Luce Lenzi, e che funziona grazie all’apporto di insegnanti volontari, disposti a offrire qualche ora settimanale del proprio tempo per aiutare giovani, e meno giovani, provenienti da mezzo mondo non solo a imparare la nostra lingua, ma anche a integrarsi nella società italiana. Il progetto è stato poi esportato con successo in diverse altre città italiane.
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A queste storie, intrise spesso di dolore e di sofferenza, ma anche di volontà di riscatto e di speranza in un futuro migliore, si mescolano quelle di altri personaggi che appartengono alla vita passata di Affinati: i nonni, lo zio partigiano, gli amici di gioventù, gli ex allievi scomparsi nel nulla o finiti dall’altra parte del mondo.
Con queste storie Affinati si racconta, e al tempo stesso racconta al lettore, tutto ciò di cui può essere fatta la vita di una persona, perché noi siamo quello che siamo non solo per nascita o per carattere, ma anche e soprattutto per i rapporti umani che intratteniamo nel corso della nostra esistenza: «se non ci foste stati voi non sarei me stesso», dichiara il professore ai suoi ex studenti.
Siamo però anche il risultato di quanto ci è stato trasmesso dalle generazioni precedenti, e al tempo stesso responsabili di quanto trasmetteremo a quelle successive, perché «ognuno ha un pezzetto di responsabilità. Se la disattende, qualcun altro, dopo di lui, alla distanza di una o due generazioni, dovrà metterci una pezza. Porre rimedio. Colmare questa lacuna».
Il vissuto descritto dai vari personaggi è, prevedibilmente, molto spesso drammatico fino alla tragedia, ma a stemperare il tutto arriva una fortunata invenzione letteraria di Affinati: la voce di Ottavio, ragazzo di borgata pluriripetente e dalla vita familiare sgangherata, inesorabilmente refrattario allo studio ma molto affezionato al professore, di cui commenta le parole in puro dialetto romanesco, in un tono sempre ironico e disincantato, che alleggerisce sia i drammi dei migranti, sia i ricordi di guerra delle generazioni precedenti, ma anche le profonde riflessioni personali dell’io narrante.
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Sullo sfondo c’è Roma, descritta soprattutto dal punto di vista dei più poveri, dei borgatari come Ottavio che ne disegnano una topografia diversa da quella conosciuta dai turisti, ma anche degli extracomunitari che, pur tra le difficoltà di una quotidiana lotta per la sopravvivenza, non rinunciano a frequentare la scuola per imparare l’italiano. L’istruzione e la conoscenza come possibilità di riscatto, tema caro ad Affinati e già trattato in diversi suoi libri precedenti, ritorna anche lungo le pagine di Tutti i nomi del mondo, un ritratto appassionato e quantomai attuale in un momento di crisi generale dei valori su cui dovrebbe fondarsi la nostra società.
Per la prima foto, copyright: rawpixel.com.
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