Dei tentativi di migliorarsi. “Nostalgia di un altro mondo” di Ottessa Moshfegh
Senza dubbio, Nostalgia di un altro mondo – edito per Feltrinelli e tradotto da Gioia Guerzoni – è una delle antologie di racconti più originali degli ultimi tempi, assieme alla recente Una cosa sull’amore edita per Mondadori (qui la recensione).
Ottessa Moshfegh, scrittrice americana nato a Boston nel 1981, vincitrice con il suo primo romanzo Eileen del PEN/Hemingway Award e finalista del National Book Critics Circle Award e del Man Booker Prize, ha scelto di racchiudere e selezionare in questi quattordici racconti le prove migliori che nel corso degli anni sono state pubblicate, tra gli altri, su «Paris Review» e il «New Yorker», e che le hanno permesso di ottenere altri prestigiosi premi come il Pushcart Prize, l’O. Henry Award e il Plimpton Prize. Insomma: Ottessa Moshfegh è una delle “nuove” scrittrici da seguire con maggior attenzione.
Nostalgia di un altro mondo si presenta come una raccolta che intreccia i fili del grottesco, dell’oltraggioso con quelli della commozione tenera e compassionevole. Il filo rosso che tesse un’ideale correlazione fra i quattordici testi è però evidente: tutti personaggi vorrebbe essere migliori – emblematica la titolazione del primo racconto, Tentavi per migliorarsi, in cui troviamo un’insegnante che falsifica le prove, vomita nei bagni della scuola e fa uso di droghe. Il secondo, invece, tratta del distinto e misterioso signor Wu, il quale è ossessionato della proprietaria di una sala giochi che lo repelle per il suo terribile aspetto e sfoga le sue perversioni con una prostituta. Oppure, ancora, la bellissima riflessione sulla morte, sulla perdita e sul tradimento che accompagna il racconto Il ragazzo sulla spiaggia; la donna che soggiorna nelle case vacanze per farsi di droga di bassa qualità; il ragazzo pigro che sceglie di trasferirsi a Los Angeles per cavalcare il suo sogno di fare l’attore; la ragazza che si vergogna delle labbra della vulva perché crede che siano troppo grandi.
Se si dovesse individuare poi un ulteriore trait d’union fra i quattordici racconti, risalta il rimando costante dell’autrice a problematiche di tipo dermatologico: quasi tutti i personaggi hanno malattie o deformità sulla pelle.
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La scrittrice statunitense adotta una narrazione consequenziale estremamente rapida, sia sul piano cronologico che su quello linguistico. La sua scrittura, infatti, è semplice, ma non dismessa; provocatoria, accattivante, ma non stravagante – l’unico modo per districarsi agevolmente in questo originalissimo vortice di nichilismo, compassioni, vite perdute, inganni, autoinganni, morte e humor sottile.
La Moshfegh non disillude, né tantomeno dissimula, le difficoltà della vita e del mondo, anche per questo i suoi racconti non sono quasi mai definibili come “allegri”, ma lo sguardo quasi divertito e raggiante rende al meglio l’idea di fragilità che si nasconde nelle situazioni più grottesche e/o improbabili dell’esistenza.
Tutti con una precisa risolutezza stilistica e contenutistica, questi quattordici racconti sono pervasi da un sostrato di verità neanche troppo velleitario, reso genuino dalle trame intrinsecamente sconnesse che testimoniano uno stretto contatto con la realtà. Ovvero con le insicurezze; con le cose da “non dire” o “non raccontare”, perché imbarazzanti, o volgari, o stupide o inutili. Lo conferma quanto dice l’autrice: «Non fa parte del mio lavoro compiacere persone che non tollerano altro che bagni tiepidi». Perché «sono interessata a capire come un personaggio immagina la propria realtà, naviga, sbaglia e la ricostruisce, molte vite non vanno da nessuna parte e la cosa interessante è ciò che accade dentro in quel momento» (da un’intervista apparsa su «Los Angeles Review of Books»il 17 gennaio 2017).
A prima vista, si distingue esclusivamente l’incomprensibilità delle narrazioni, ma a un secondo sguardo più attento e accorto si odora il bisogno di autenticità e schiettezza sincera che pervade la scrittura di Ottessa Moshfegh. Ricorda, questa poesia di Wislawa Szymborska, in cui il titolo sembra fatto apposta; Allegro ma non troppo:
Sei bella – dico alla vita –
è impensabile più rigoglio,
più rane e più usignoli,
più formiche e più germogli.
[…]
Tiro la vita per una foglia:
si è fermata? Se n’è accorta?
Si è scordata dove corre,
almeno per una volta?
(vv. 1-4, 29-32)
Per la prima foto, copyright: Gemma Evans.
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