Dalla sofferenza alla scoperta di sé. “Chiamami Iris” di Vincenza Alfano
Chiamami Iris, messaggera propiziatrice di arcobaleno/speranza. Evoca il senso dell’intera narrazione il semplice quanto suggestivo titolo dell’ultimo romanzo di Vincenza Alfano, pubblicato da L’Erudita.
Giornalista e docente, sia di liceo chedi corsi di scrittura creativa, innamoratadella letteratura«che moltiplica le nostre possibilità di vivere all’infinito», l’autrice ha iniziato a scrivere nel 2002 su «suggerimento/provocazione di uno studente», dopodiché ha pubblicato varie raccolte di racconti, romanzi e un manuale per aspiranti scrittori, oltre ad avere partecipato ad antologie collettive anche come curatrice (basti pensare a Napoli in cento parole, da cui traspare tutto l’amore per la sua città, dalle «radici culturali profondissime, mai dimenticate»).
La trama, ambientata tra il mare della fiabesca Scilla e il magico golfo partenopeo, ha un sapore antico che fa venire in mente i romanzi di formazione ottocenteschi, rivisitati in chiave moderna.
Il romanzo inizia con la protagonista che, mentre trasfigura la sofferenza dell’abbandono in una scrittura che le permette di prenderne le distanze, rievoca frammenti del suo passato, lontano ma rimasto nella memoria intatto e vivido, con cui sembra cercare una definitiva riconciliazione.
Privata in tenera età dell’affetto dei genitori Iris, sopravvissuta a stento all’abbandono del padre seguito alla morte della madre, viene affidata dai servizi sociali alla recalcitrante zia Assunta. Superata una prima fase molto conflittuale, dovuta alla riluttanza di quest’ultima a cambiare le proprie abitudini e alle difficoltà per la bimba di adattarsi a un’adulta tanto più rude e anziana dei suoi genitori, zia e nipote imparano a volersi bene e sostenersi l’un l’altra. Ma l’aggravamento delle condizioni di salute di Assunta provoca un nuovo intervento della sensibile e combattuta assistente sociale Rosaria Menna, che strappa Iris alla zia per affidarla a un convento nel cuore di Napoli, «spalancato su vicoli, donne e miserie». Qui la bambina, tra rigidissimi rituali e speranze frustrate, solitudine temperata da nuovi legami e devastanti attacchi di nostalgia, trascorre il resto dell’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza; finché, non sapendo immaginare la sua vita fuori dal convento, decide di prendere i voti, trasformando il proprio nome in suor Irene. Sarà la scoperta dell’amicizia e dell’amore ad aiutarla a trovare il coraggio di affermare il proprio autentico sé, mutando il corso di un destino che, in apparenza irreversibilmente tracciato, saprà aprirsi, come suggerisce l’incipit, quanto meno a«qualcosa di buono» (da qui il significato del titolo Chiamami Iris: non suor Irene, simbolo di una pace che può essere portata solo se posseduta, ma Iris-portatrice di un messaggio di rivendicazione del diritto alla vita e alla gioia).
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Il romanzo è articolato su una molteplicità di assi temporali – quello di Iris bambina, violentemente separata prima dai genitori poi dalla zia, si alterna al mutevole tempo della sua crescita in convento, tra somatizzazione del dolore e infatuazioni adolescenziali, al registro della Iris monaca senza vocazione sopraffatta da una passione “scandalosa” e a quello della “burattinaia” scrittrice in fieri dell’incipit – in un incrociarsi di dimensione diacronica e sincronica che, pur richiedendo al lettore uno sforzo aggiuntivo di comprensione, s’intona allo scomposto dipanarsi del filo della memoria.
La prosa, agile e poeticamente armoniosa soprattutto nel raccontare le vicende amorose, è di una evocativa sensualità musicale che ricorda Marguerite Duras e Luce Irigaray – filtrate da una prospettiva religiosa – ma a tratti anche il Pavese di Dialoghi con Leucò.
Chiamami Irissi presta a diverse possibili letture.
È in primis un romanzo di formazione, che racconta la progressione della protagonista bambina verso l’età adulta, il suo accidentato percorso per comprendere se stessa e cercare di dare un senso al proprio stare nel mondo
In secondo luogo è una parabola sugli effetti devastanti della solitudine e della negazione di sé, frutto della repressione dei propri fisiologici impulsi, esulla difficoltà di rielaborare il lutto della perdita, soprattutto quando avviene nell’infanzia, ma anchesul potere salvifico dell’amicizia e dell’amore, già epicentrodel precedente romanzo Balla solo con me.
Chiamami Iris è da ultimo una storia di ribellione; malgrado l’intermittente invidia per la capacità di omologarsi delle compagne si tratta di una ribellione,oscuramente percepita come segno identitario,alle regole ferree e spesso incomprensibili del convento, che si fanno simbolo delladurezza della legge, umana o divina,in contrapposizione all’ancestrale richiamo della vita rappresentato dall’amore.
Dilaniata da tragici dissidi interiori, sospesa tra presente e passato, realtà e sogno, tensione verso il futuro e nostalgico attaccamento ai propri fantasmi, ma anche tra bisogno di riannodare «il legame carnale con la vita» e voglia di rispettare il voto monacale, ansia di buttarsi nella baraonda del mondo e desiderio di esserne protetta, la protagonista di Chiamami Iris è abitata dall’angoscia di infiniti abbandoni, un’angoscia che la spinge nel tunnel dell’anoressia, descritto con un realismo insieme crudo e poetico.
«La distanza accresceva il desiderio di vicinanza. E il dolore era indomabile, occupava tutti gli spazi, smagriva il suo corpo già esile.
[…] Il deperimento le assottigliava la carne, lei si sentiva attraversata da un’ebbrezza incosciente, l’avrebbe condotta alla morte. Aspettava paziente, convinta che fosse solo questione di tempo».
Fondamentale nella formazione di Iris è l’amicizia, empatica e disinteressata, che la unisce alle tre amiche del cuore: oltre alla piccola Rosa che frequentava a Scilla, Carla/suor Marta e suor Giovanna. Un’amicizia che è un raro dono, perché, come dice l’autrice, «certi sguardi, quando s’incontrano, restano annodati per sempre».Iris e Carla sono unite da un comune dolore dovuto alla perdita dei genitori, da una sensibilità affine e dalla passione per i libri, ma anche dall’«attrazione degli opposti»: da un lato intima guerra e tormentati amori profani, dall’altro pace interiore e gioioso amore sacro.
Carla/suor Marta è infatti l’emblema dell’amica/monaca dalla «fede aperta e serena fondata sulla misericordia», mentre le altre suore sono spesso sorde al richiamo della carità (basti pensare alla cuoca del convento, madre single cacciata senza pietà insieme al figlio, “colpevole” di essersi innamorato – riamato – di Iris e di averla baciata). Suor Marta invece non si scandalizza, neppure delle scelte dell’amica, che comprende e appoggia perché «bisogna combattere per la propria felicità; è un diritto e un dovere di ognuno vivere la gioia».
La figura centrale nella formazione di Iris è però suor Giovanna, arrivata in convento per insegnare. La giovane monaca condivide con la protagonista, che dal canto suo le offre una «duplice opportunità di riscatto e riconciliazione» con un passato ancora bruciante, l’amore per il mondo «sconfinato e segreto» che è nascosto tra le pagine dei libri. Grazie ai romanzi che la suora/prof ha portato con sé in convento e le fa leggere Iris prende piena coscienza del “folle volo” dantesco, strumento di autoconsapevolezza e magico antidoto contro i mali del vivere.
«Quelle pagine sgretolavano le pareti del convento, costruivano ponti, la portavano lontano. […] Leggeva quando non aveva fame, per costringere lo stomaco ad accettare qualche boccone. Leggeva quando non aveva sonno, per respingere la minaccia delle ombre della notte. Leggeva per scacciare il ricordo di Scilla, della zia, di Rosa. […]. Leggeva per imparare, leggeva per ricordare, leggeva per incontrare altre vite, leggeva per abitare altri luoghi e mondi diversi.»
Ma suor Giovanna fa ben di più, lasciandole dapprima intuire, con la sola forza di un’energica fisicità che non si vergogna di sé, poi sperimentare, per quanto molto timidamente, un “mondo altro” da Iris temuto quanto desiderato; un mondo capace di riconoscere e accogliere anche la dimensione carnale dell’esistenza terrena, il contatto col quale produce nella protagonista adolescente una liberatoria rivoluzione interiore.
«C’era dell’altro, qualcosa di cui percepiva la diversa consistenza. Non era fatta di pagine e inchiostro, aveva sangue e carne, aveva un corpo e un volto, aveva mani e voce e occhi con cui annuiva, sorrideva, accarezzava.»
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A permettere a Iris di portare a compimento tale rivoluzione è però l’amore, nella fattispecie quello con un uomo “proibito”. Una passione corrisposta di cui l’autrice evidenzia efficacemente le dolorose scelte che impone di compiere («essere liberi e colpevoli o innocenti e schiavi») e l’aspetto carnale, tanto più bramoso di reclamare il suo compimento quanto più represso, per l’ottusa sessuofobia inconsapevolmente crudele da cui il convento è dominato.
«Toccami. Sono Iris. Sono l’orfana. Sono la bambina abbandonata. Sono la bambina accolta nella casa di una zia troppo anziana. Sono la deportata. Sono la monacata. Sono la condannata a non essere donna, a non essere madre. Adesso è il mio corpo che reclama la libertà che io ho ceduto senza nessuna costrizione.»
Solo l’amore consumato saprà restituire Iris a un’interezza sino ad allora negata, permettendole di sostituire alla «vergogna di essere una donna e avere un corpo», la gioia di sentire la propria femminilità e possedere una fisicità tangibile, quindi di assaporare, superando uno stato percepito come prossimo alla morte («Sono un’ombra senza corpo. Sono abituata a confrontarmi con un fantasma. Forse sono già morta»), la multiforme intensità della vita.
«[…]) ha liberato la sua carne dalla censura dell’anima. Lei ha sentito di esistere mentre lui faceva vibrare il suo corpo.»
Chiamami Iris: un toccante cammino verso l’età adulta, attraverso la trasformazione del dolore in scoperta di sé e affermazione della vita.
Per la prima foto, copyright: Mack Fox (MusicFox).
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