Dalla Francia all’Italia, il doppio giallo in “Senza movente” di Flaminia P. Mancinelli
Senza movente (Newton Compton, 2018) è il nuovo libro di Flaminia P. Mancinelli, già autrice di Inquietante delitto in Vaticano (Newton Compton, 2017). Entrambe le opere hanno come protagonista Nicola Serra, capitano dell’arma dei Carabinieri grazie alla promozione ricevuta dopo aver risolto brillantemente l’indagine nelle catacombe romane. In Senza movente ci troviamo al cospetto di un doppio giallo che si svolge su binari paralleli, nell’arco di poco più di dieci giorni, tra Italia e Francia.
Il capitano Serra si concede una vacanza con la fidanzata, Marion, nella terra d’origine di quest’ultima. Andranno in Normandia a trovare le sue due vecchie zie, Emily e Annie, e con l’occasione la donna gli farà conoscere e sperimentare le bellezze di un paesaggio inatteso, sorprendente, per chi come Nicola non si è mai affacciato su quegli scenari. Ma non sempre i progetti lieti mantengono l’aspetto figurato quando li si sviluppa. Al loro arrivo infatti zia Annie è estremamente turbata per la morte del fattore Jeanud Modan, un decesso inatteso, classificato come “naturale” ma che a lei, estremamente sensibile, non sembra altro che un assassinio. Ne è certa, anche i suoi tarocchi lo hanno confermato, così decide di interrogare Henri Détroits, detto Il Monco. Questi, da tempo alle dipendenze del suo amico scomparso, potrà riferirle se c’era qualcuno che ce l’aveva con Modan, qualcuno che avrebbe potuto desiderare di toglierlo di mezzo. Zia Annie, un animo delicato, artistico, sottile come carta velina che con un colpo di vento può strapparsi, non è in grado di affrontare quell’incontro da sola, quindi la nipote e il capitano Serra decidono di scortarla.
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Nel frattempo, a Roma, il tenente Sara Vittorini si reca nell’appartamento del vacanziero Nicola per innaffiare le piante, per ristorarle in un ottobre soleggiato come non mai. Accompagnata dalla sua ultima fiamma si prende cura dei vasi aridi; una volta portato a termine il compito attende che Imma esca dal bagno. Ma Immacolata Moro da quel bagno non uscirà se non in barella, con un buco letale nel braccio. Sara, preoccupata per i fraintendimenti che potrebbero scaturire dalla vicenda, una ragazza morta per overdose nel bagno di casa di un capitano dei Carabinieri è un fatto che attira di certo attenzione e maldicenze, col supporto del maresciallo Lamanica e della responsabile del RaCis Grazia Onori trasporta il corpo della vittima all’istituto di medicina legale, senza denunciare l’accaduto.
Una volta informato Nicola viene divorato dal dubbio, lecito peraltro, sul ritornare o meno a Roma. Ma l’incertezza si dissolve al cospetto degli occhi preoccupati di Marion dopo la scomparsa improvvisa di zia Annie: rimarrà al fianco dell’amata per aiutarla a ritrovare la vecchina.
Analizzando l’appartamento di Serra la Onori scopre ingenti quantità di droga e inizia a disegnare insieme a Vittorini e Lamanica il quadro della situazione. Qualcuno vuole incastrare il capitano, Sara è stata il mezzo per giungere fino al suo appartamento, Imma solamente una pedina che dopo aver svolto il suo compito è stata stroncata da una dose appositamente letale. Ma i leali colleghi, preoccupati di proteggere Nicola, non possono nulla di fronte al nuovo attacco volto a infangare la sua immagine. Un nuovo cadavere viene trasportato nell’appartamento e stavolta una soffiata anonima fa in modo che a giungere sul posto per primo sia il capitano Dalleri, che ce l’ha con Serra da tempo, da quando si era visto soffiare sotto il naso il caso delle catacombe, sebbene di sua spettanza territoriale.
Anche a Kerarmar le cose si complicano inaspettatamente. Il Monco viene trovato brutalmente ucciso, mentre lo si cerca sperando possa fornire informazioni riguardo zia Annie. Annie con la sua leggerezza, con l’astrattezza della pittrice, non tornerà ad allietare le giornate della pratica e razionale sorella Emily, non più. Nicola decide di rimanere al fianco di Marion per contribuire alle indagini, sebbene un suo ritorno a Roma sarebbe auspicabile.
In un accavallarsi di colpi di scena, in un intreccio che si disegna come mosaico interculturale e internazionale, il lettore viene sbalzato da una Roma dove droga, interessi, gelosie vedono susseguirsi attori sempre nuovi a colorare una scena del crimine che fino all’ultimo si connota per l’assenza di un movente, a una Francia più riservata, asettica, morigerata nel vivere i sentimenti, gli stessi che esplodendo hanno corroso intimamente un essere fragile per condurlo a una serie di omicidi efferati.
Cosa può generare dei mostri? Cosa spinge ad allontanarsi irrimediabilmente dall’umanità?
La risposta si evince dalle pagine ben scritte e curate nei dettagli dall’autrice: essere privati di ogni forma di amore. L’anima non può a quel punto che inaridirsi e per sopravvivere non la si può ascoltare ulteriormente nella sua richiesta disperata. Una volta zittita si darà sfogo al risentimento, al bisogno cieco di infliggere ad altri lo stesso supplizio, ingannandosi che questo risollevi dal baratro, o piuttosto sentendo la vendetta come necessaria e naturale. Naturale come può esserlo un padre che rifiuta la propria figlia. Naturale come chi ti convince di essere sbagliato e ti spinge a trasformare il tuo corpo non per reale bisogno, ma solo per allinearti a quella bieca e tagliente idea che risponde alla parola “normalità”. Naturale come un adulto che abusa di un bambino.
Un’opera questa che scorre, fluisce, trasporta il lettore tra i cunicoli della mente umana alla ricerca di chiarimenti e spiegazioni, che spesso non possono giungere se ci affidiamo al solo raziocinio.
Un giallo che tiene avvinti fino all’ultima pagina ma che si colora nel suo epilogo di rosso, come lo sono due cuori straziati che sanguinano per gli abusi e le mancanze che li hanno marchiati. Non un’assoluzione, non una giustificazione, il male non può cambiar volto a seconda di chi lo compie, ma di certo un senso di profonda tristezza che porta a interrogarsi sul vuoto emozionale che frequenta abitualmente le esistenze di troppi individui.
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Nel testo sfilano temi importanti, alcuni si palesano, altri solamente sfiorano, e l’opera nella sua globalità ci spinge a uscire dalla gabbia dorata dove spesso ci rinchiudiamo in modo rassicurante, convincendoci che sia sufficiente, confidando in questa azione ipocritamente salvifica che non fa altro che trasformarci in isole. E cosa può fare un’isola se non chiudersi nella propria solitudine? Non si lascerà conoscere, almeno finché il capitano Serra non arriverà a far luce con l’onestà, la caparbietà, l’acume, che lo contraddistinguono. Solo a quel punto ci interrogheremo sul valore dei legami familiari, tradizionali e non, sulle difficoltà di chi si trova a scoprire pulsioni che la società condanna, di chi ha ricevuto violenza anziché l’agognato abbraccio. Ma soprattutto ci chiederemo dove sia finito il mostro, colei che da abile manipolatrice ha diffuso sofferenza.
Per la prima foto, copyright: Sofia Sforza.
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