Dall’Argentina una nuova stagione horror. I racconti di Mariana Enriquez
Con Le cose che abbiamo perso nel fuoco (Marsilio, 2017 – traduzione di Fabio Cremonesi) della scrittrice argentina Mariana Enriquez, la casa editrice Marsilio, dopo aver fatto scoprire al pubblico italiano numerosi autori thriller e noir dei paesi scandinavi, intende avviare una nuova fase di pubblicazioni dedicate ai più promettenti autori dell'America Latina contemporanea.
Mariana Enriquez è una giornalista, nata a Buenos Aires nel 1973, direttrice di un importante supplemento culturale e autrice di numerosi racconti, pubblicati anche dai prestigiosi «New Yorker», «Granta» e «McSweeney's».
Nel 1994 era stata al centro di un notevole "caso" letterario, quando il suo romanzo d'esordio (Bajar es lo peor, mai tradotto in italiano) era stato pubblicato da Planeta, il massimo gruppo editoriale di lingua spagnola. Si trattava di un romanzo a tinte molto forti, ambientato nei bassifondi di Buenos Aires e intriso di sesso e droga, che aveva tenuto a lungo la giovane autrice sotto i riflettori dei media.
Il suo romanzo successivo è stato pubblicato solo dieci anni dopo, ma oggi, dopo diverse altre pubblicazioni, Mariana Enriquez è considerata una realtà importante della cosiddetta "nuova narrativa argentina": un gruppo di autori quarantenni nelle cui opere rivivono spesso i fantasmi della dittatura militare, la tragedia dei desaparecidos e i molti altri drammi vissuti dal paese sudamericano negli anni della loro infanzia e adolescenza.
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Dopo il crudo realismo iniziale, nelle opere successive la scrittrice ha virato verso la costruzione di un universo narrativo in cui i riferimenti alla Buenos Aires di oggi si mescolano a elementi thriller e noir, ed è questo anche il mondo in cui sono ambientati i racconti che compongono la raccolta Le cose che abbiamo perso nel fuoco: strani bambini, fanciulle che scompaiono in case abbandonate, poliziotti crudeli, donne che si danno fuoco per protestare contro la violenza maschile si muovono in una città piuttosto desolante e desolata, dove spiccano le tracce profonde lasciate da una crisi economica pluridecennale e tuttora irrisolta.
Mariana Enriquez ha risposto alle nostre domande nel corso di un suo recente passaggio a Milano.
Lei ha esordito ventenne con un romanzo che in Argentina è stato un caso letterario, ma poi ha aspettato dieci anni prima di pubblicare un secondo libro. È stato difficile riuscire a non farsi cambiare la vita dal successo precoce?
Il mio primo romanzo è uscito quand'ero molto giovane, parlavo di temi un po' sordidi come il sesso sfrenato, la droga, il sesso gay, e questo mi ha trasformato in una specie di autrice ribelle, di culto. A quell'epoca però non avevo ancora deciso se volevo davvero essere una scrittrice, quindi ho iniziato a lavorare come giornalista. I dieci anni tra il primo e il secondo romanzo mi sono serviti soprattutto per sistemare la mia vita e capire che cosa volessi davvero fare.
Cos'ha determinato il passaggio della sua narrativa dal realismo dei primi libri alle atmosfere horror di questi ultimi racconti?
Il mio primo romanzo era realista, ma pur senza essere di genere horror si trattava comunque di un realismo piuttosto orribile, che conteneva una sorta di vampirismo romantico-gotico. Il secondo, pur essendo realista, aveva già un'ambientazione più simile a quella dei racconti di Le cose che abbiamo perso nel fuoco: descrivevo una città cupa, pericolosa, piena di insidie.
Ho sempre voluto scrivere romanzi del terrore, perciò sono arrivata a questa sintesi. Ho letto molta narrativa horror, da quella più popolare alla Stephen King a quella più sofisticata alla Henry James, e poi tutto l'horror di lingua spagnola, anche se per la verità non è che ce ne sia molto nella nostra narrativa. In questi racconti volevo appunto trovare il modo di mescolare gli archetipi delle streghe, dei delitti, della violenza, con la realtà argentina.
La scelta di lasciare spesso le storie incompiute, con finali sospesi, ha un significato particolare oppure è casuale?
Credo che nella narrativa i finali troppo chiusi siano rassicuranti, e a me non interessa scrivere cose troppo rassicuranti. Io voglio trovarmi, e far trovare il lettore, in situazioni disturbanti, che poi richiamano la vita stessa. Non riesco a capire perché la letteratura debba cercare di essere a tutti i costi rassicurante.
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Nei suoi racconti si parla di donne ferite, uccise, bruciate. Non so in Argentina, ma in Italia i crimini contro le donne sono in forte aumento: secondo lei cosa spinge gli uomini a infierire così contro le donne? Sono spaventati, hanno paura di perdere potere e identità o cosa d'altro?
Non so dire se questo tipo di delitti sia aumentato anche in Argentina, ma di sicuro c'è stato un grande mutamento culturale quando si è passati dal concetto di delitto passionale a quello che chiamiamo femminicidio. È un problema di mentalità, soprattutto in America Latina, dove per tradizione la donna era considerata parte della casa e come tale faceva quindi parte delle proprietà dell'uomo. Il cambio è stato così drastico che è anche molto difficile accettarlo da parte degli uomini.
Devo dire che riguardo a questi racconti mi è successa una cosa strana con gli uomini: i personaggi maschili in genere non sono violenti,ma piuttosto insignificanti, e molti lettori uomini mi hanno chiesto come mai li abbia descritti così. Allora gli ho domandato come mai non desse loro fastidio l'essere rappresentati tanto spesso come violenti, assassini, poliziotti corrotti, ma si siano offesi per essere stati rappresentati come cattivi mariti, che in fondo è una cosa normale e meno grave. Probabilmente l’aspetto difficile, per certi uomini, è proprio rinunciare al protagonismo.
La sua infanzia ha coinciso con gli anni peggiori delle dittature argentine. Quali sono i suoi ricordi personali?
Ero molto piccola a quei tempi, per cui i miei sono sopratuttto ricordi emotivi, ricordi di paura. Credo che molta della mia sensibilità e della mia empatia rispetto al terrore derivino proprio dal fatto di essere originaria di un paese come l'Argentina, e di venire da una casa in cui si era molto consapevoli del terrore diffuso in quegli anni.
Nei miei racconti compare spesso la figura del desaparecido, che è peculiare della dittatura argentina: i desaparecidos per noi oggi sono delle presenze fantasmatiche, persone a cui non è stato possibile dare una tomba e che non possono riposare, sono dei veri e propri fantasmi. Basta guardare le manifestazioni delle madri di Plaza de Mayo, che mostrano le foto sbiadite di questi giovanissimi che non hanno potuto crescere, ma che è impossibile dimenticare.
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Quali sono secondo lei i maggiori problemi dell'Argentina di oggi?
Il maggior problema del paese è economico, soprattutto perché la crisi della nostra economia non consente di prendere delle decisioni politiche.
Siamo passati da un governo peronista a uno neoliberista, che non funziona, ma quello che comunque accomuna tutti i nostri governi è l'insieme dei gravi problemi istituzionali, soprattutto la corruzione e la violenza delle forze dell'ordine.
La gente però è più preoccupata per la delinquenza e la criminalità comune: c'è forse una responablità della stampa argentina in questo, ma oggi direi che è anche una peculiarità di tutto il mondo, perché si tende a enfatizzare in modo eccessivo la violenza e la malavita, generando nella gente una paranoia. In realtà, in Argentina non c'è poi tutta questa violenza, specialmente rispetto al resto dell'America Latina.
Un altro problema serio è la disuguaglianza, che crea problemi di ingresso nel mondo del lavoro, e che a sua volta mette in difficoltà lo stato assistenziale, costretto a farsi carico di tutta questa gente che non trova lavoro: ovviamente, la mancanza di lavoro viene spesso risolta andando a lavorare nell'illegalità.
Riguardo al futuro del suo paese è pessimista o ottimista?
In questo momento abbastanza pessimista, almeno nel medio periodo. Negli ultimi anni l'America Latina ha vissuto un momento economico e politico che era iniziato bene, ma che poi ha subito un'involuzione ed è finito male. Ci sono stati diversi governi neosocialisti che hanno deluso e hanno poi condotto in Argentina a questo governo neoliberista, in Brasile a una specie di colpo di stato travestito, e tutto ciò ha generato un'ulteriore delusione.
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