Da bracciante a prostituta, due volte schiava
Quando è arrivata a Taranto, Monica aveva tutte le paure di una diciottenne di provincia. Gonna lunga, aria impaurita, scendeva dal pullman Atlassib meno disinvolta delle sue connazionali, meno scaltra e più speranzosa. Adesso che la incontro, a quattro anni da allora, Monica ha ancora quello sguardo vergine, ma le mani incallite e la voce rotta da una commozione antica.
«Quanti anni hai?»
«Ventidue. Sto qua da quattro anni. Ho fatto sempre la bracciante», risponde abbassando la testa sulle ultime parole.
Monica non è semplicemente una bracciante, ma una delle tante rumene che vengono introdotte dal sistema dei caporali in quello più miserabile e violento della prostituzione. Come tante giovani donne dell’Europa dell’Est e del Centrafrica, anche per Monica il campo di lavoro si è trasformato in una doppia riduzione in schiavitù.
«Hai voglia di raccontarmi qualcosa di te?»
Annuisce e comincia a dirmi che ha un diploma alberghiero, che sognava di lavorare in un grande albergo di Bucarest e che era venuta in Italia con la promessa di lavorare per qualche settimana alla raccolta degli ortaggi.
«Io non sono una contadina, la mia famiglia era ricca. Poi quando hanno ucciso Ceausescu, quei bastardi!, hanno messo mio padre in galera. Lui ha cominciato a bere e ci siamo trovate senza fare niente. Io sono partita per l’Italia perché uno del mio quartiere organizza sempre questi viaggi con le donne. Siamo delle lavoratrici, ma a lui non gliene frega. Gli dai trecento euro e lui ti fa venire in Italia con un contratto per lavorare in campagna»
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«Quante siete?»
«E chi lo sa? Cinquanta, cento… Tante. Lui si fa un sacco di soldi e se a noi ci capita qualcosa a lui non gliene importa. Lui non viene con noi. Chiama quegli amici suoi che stanno qua e quando arriviamo ci prendono loro»
«Amici rumeni?»
«Sì, sempre amici rumeni»
È il sistema della filiera dell’importazione di manodopera. Una specie di tratta illegale di lavoratrici regolari e comunitarie. Purtroppo gli amici del loro caporale hanno cominciato a mettere su un fiorente business del sesso a pagamento. Nelle campagne…
«Mi hanno dato ad altri rumeni e al padrone italiano. Poi mi hanno messo in una casa a Sava, qua vicino. E mo’ per la strada»
… E nelle città della provincia di Taranto. Il percorso, il passaggio da un mestiere, per così dire, a un altro è tutto dentro questa riduzione della donna a merce.
«Quello di Bucarest mi ha venduto a uno di qua, un rumeno. Ora però ho pagato il debito e penso di andarmene. Ma non so se torno a Romania. Sanno tutti quello che mi hanno fatto fare qua»
«E dove te ne vuoi andare?»
«Forse al nord. Ho delle amiche in Veneto, mo’ vedo un poco se mi ospitano. Poi si pensa»
Il debito è un altro degli aspetti della riduzione della donna a merce. Anche le braccianti possono contrarre debiti, soprattutto all’inizio della loro permanenza in Italia, quando le spese sono più alte per via dello shock nel passaggio da una vita tutto sommato libera a una vincolata, imprigionata e sottoposta al controllo da parte dei caporali e dei padroni.
«Ora devo salire sul pullman», mi fa stringendomi la mano.
Avevo dimenticato che sono le tre e mezzo del mattino e qui, in questa piazza di paese, le braccianti stanno per salire sui bus che le porteranno… chi in campagna, chi sulle complanari pugliesi del sesso.
Aspetto che sia salita sul pulmino sospinta dal caporale prima di andarmene, di voltarle la schiena e di risalire in auto. Addio Monica, e buon lavoro.
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