“Cuori cicatrizzati” di Max Blecher, la pienezza dell'autenticità
È bene nascondere, per il momento, un'informazione rilevante circa Max Blecher, l'autore di Cuori cicatrizzati, il romanzo edito da Keller e tradotto da B. Mazzoni. Si rischierebbe, conoscendola, di generalizzare il significato dell'opera, senza afferrarne tutta la portata; come per i romanzi di Calvino, bisogna penetrare la semplicità del linguaggio per coglierne gli innumerevoli piani di lettura.
La trama del libro è lineare, si presenta come un classico romanzo di formazione che vede, al centro della vicenda, Emanuel, uno studente di chimica gravemente malato. Il romanzo si apre con la scioccante rivelazione della malattia e il senso dell'Angoscia (vedremo perché il maiuscolo). Attenzione: il lettore che, sbadatamente, prima di iniziare il primo capitolo, avesse ignorato la citazione di Kierkegaard o non si fosse preso la briga di tradurla dal francese, se ne penta! Questo è il primo dettaglio che lascia intendere qualcosa in più del semplice romanzetto per l'educazione sentimentale degli adolescenti. Se la porta d'ingresso del romanzo è una citazione di un filosofo, come in questo caso, non c'è molta scelta: si può trattare o di baldanza dell'autore o di sostanza del racconto.
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È lo stesso Blecher a diradare i nostri dubbi in merito, utilizzando una tecnica di scrittura moderna ed elegante, focalizzazione interna al protagonista Emanuel e un preciso stilema nell'alternanza di discorso diretto e indiretto, come a sottolineare la differenza tra le comparse e i personaggi principali, che in questo romanzo sono gli infermi del sanatorio, ognuno portavoce di un modo di essere malato. Blecher si destreggia nell'orchestrare i personaggi, dando un peso e un senso a ciascuno. È interessante notare che sono passate otto decadi dalla pubblicazione originale e, com'è evidente il talento di Blecher oggi, lo era anche allora. Infatti, è stato in qualche modo legato a tutte le frange dell'avanguardia francese: dal surrealismo di Breton al simbolismo di André Gide, con i quali manteneva una corrispondenza, fino al drammaturgo franco-romeno Eugène Ionesco, che ne apprezzò i lavori. Eppure Cuori cicatrizzati non contiene un briciolo di avanguardismo, semmai è in stretta relazione con il pensiero di un altro corrispondente di Blecher, il filosofo Martin Heidegger. Nel romanzo c'è tutto l'essere-gettato e l'essere-nel-mondo, tutta l'Angoscia e la solitudine:
«Il filosofo deve restare solitario, perché lo è nella sua essenza. [...] non fraintenderà la solitudine interpretandola nel senso esteriore di un ritirarsi e di un lasciar-correre le cose» (L'essenza della verità, Martin Heidegger)
È incredibile come Blecher riesca a fare costantemente riferimento con immagini e parole semplici al pensiero heideggeriano, senza che questo sia la chiave ultima del racconto, senza che lo esaurisca nel suo significato. In questo c'è una profondità e una molteplicità che lo rende a pieno titolo un classico:
«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire» (Italo Calvino)
Il cuore pulsante del romanzo è l'autenticità: in ogni scena e in ogni personaggio, Blecher ci offre una forma di autenticità o del suo contrario. Viene subito in mente l'esistenza autentica di cui parlava Heidegger in Essere e tempo. I malati di Blecher sono volti differenti della stessa condizione umana, da chi si angoscia per la guarigione perché '«è altrettanto spietata che la malattia», a chi la rinnega del tutto: «I malati non hanno bisogno di salute», a chi è un passo avanti: «Nel mio mestiere di malato ho superato il dilettantismo. Sono diventato realmente un ‘professionista’». I malati, il sanatorio e la guarigione diventano metafore per la condizione umana, in un infinito gioco di rimandi.
È riduttivo definire Cuori cicatrizzati ''un piccolo capolavoro'', l'architettura del racconto è fluida, ma le tematiche contenute in sole 240 pagine spaziano dalla vita/morte alla libertà/clausura. Ci sono l'amore, l'eros giovanile e tutte le preoccupazioni di un adolescente sul rapporto con la sessualità. C'è il potere di dare senso alla vita e anche la critica all'inautenticità di certe relazioni sociali dei ''sani'', o presunti tali: «tu sai bene che, nella vita, proprio i gesti che avrebbero maggiore significato non sono permessi».
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I cuori cicatrizzati sono quelli di tutti gli umani che rinunciano a Essere, ma sono anche quelli dei malati-eroi in grado di affrontare la malattia e quindi la vita, senza anestetizzarla nel pessimismo. Al contrario, organizzano serate di nascosto, ridono e scherzano. Blecher riesce a mostrare tutto questo con una prosa deliziosa, che fa da contrappunto agrodolce alla crudezza della sofferenza. È un giovane talento letterario e ne è consapevole, perché scrive di tutto questo in forma di romanzo, senza alcuna incertezza nello stile o dimenticanza nel contenuto. Blecher, affetto da tubercolosi spinale in giovane età, scriverà Cuori cicatrizzati costretto a letto all'interno di un sanatorio, come il suo protagonista. Proprio questa è l'informazione che potrebbe far pensare a un romanzo autobiografico. L'analogia tra Blecher e il suo protagonista è sì un ulteriore livello di significato della storia, che si aggiunge ai tanti proposti, ma non inficia l'artisticità del romanzo. Cuori cicatrizzati è un classico del Novecento che unisce la leggerezza della gioventù con la riflessione sulla condizione umana, all'insegna della vita vissuta nella pienezza dell'autenticità.
Per la prima foto, copyright: Tim Marshall.
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