“Così giocano le bestie giovani”, il noir civile di Davide Longo
Così giocano le bestie giovani – l’ultimo romanzo di Davide Longo (Feltrinelli) – è un noir civile dove all’intreccio giallo si uniscono riflessioni su vicende umane e politiche radicate nel periodo più cupo del nostro dopoguerra.
Siamo nel 2008, fine estate. Il ritrovamento di ossa durante gli scavi di un cantiere ferroviario nella campagna intorno a Torino è il gancio che fa partire la storia. All’inizio sembra trattarsi solo di un omicidio, poi saltano fuori altre ossa, altri crani: una fossa comune. Dodici corpi. Il caso viene affidato al commissario Arcadipane, ma gli viene tolto nel giro di una sola notte: la mattina una task force specializzata in fosse della seconda guerra mondiale viene mandata di fretta a perquisire i reperti e a prendere in mano le indagini. Prima che questo avvenga, però, Arcadipane, insospettito dal bottone di un paio di jeans trovato vicino ai corpi, sottrae alle indagini un osso, un femore, dando il via a un’indagine parallela e sotterranea. Per portarla avanti chiederà aiuto a Isa e al vecchio capo e mentore, Corso Bramard. Personaggi che avevamo già conosciuto ne Il caso Bramard, ma con pesi diversi: Arcadipane che là era personaggio secondario qui diventa protagonista e ci rivela la sua vita privata fatta di una moglie, due figli, un cane senza una zampa, una casa di periferia e sensazioni troppo complesse perché lui se le sappia spiegare da solo. Sente di aver perso il fiuto, insieme ad altro, e questa indagine di nuovo al fianco di Corso Bramard, oltre a cinque formidabili sedute con una psicoterapeuta acutissima e storpia, saranno la chiave di volta per tornare l’uomo di un tempo.
«Arcadipane porta una mano alla tasca dove trova il bottone a rivetto. Nell’accarezzare il suo rilievo metallico di cinque lettere, sente nello stomaco uno spostamento minimo che assomiglia alla fame di un tempo. Non molto, ma un barlume d’appetito.»
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Corso Bramard, zitto, dolente, ruvido, terribilmente affascinate, perde il ruolo di protagonista e in Così giocano le bestie giovani appare solo a metà della storia grazie a un lungo flashback. Davide Longo ci porta indietro fino agli anni Settanta, nel cuore degli anni di piombo e della faccenda su cui sta indagando Arcadipane, ma anche della vita del giovane Corso. E così veniamo a sapere del suo passato di poliziotto e studente di lettere, della sua formazione, del suo incontro con la Michelle la cui morte aveva aperto Il caso Bramard. Infine c’è Lisa, la giovane agente confinata per insubordinazione in un noioso commissariato di periferia, una Lisbeth Salander torinese che in questa vicenda sarà la più coinvolta di tutti. Come in tutte le buone storie che si rispettino ogni personaggio compie il suo viaggio, e lo fa anche il lettore. Davide Longo lo accompagna dentro un’intricata vicenda di fantapolitica che ci riporta alle brame eversive e agli attentati degli anni di piombo. Lo fa con piglio sicuro e con una lingua raffinata, precisa, che si limita a descrivere le azioni dei personaggi, lasciando al lettore ogni forma di giudizio. Al momento opportuno, l’autore inserisce nel corso della narrazione riflessioni e pensieri dei personaggi, mai astratte, tutte assolutamente esperibili, che sono piccole poesie.
«C’è un’ora della sera in cui anche tra palazzi di poca bellezza e insegne tropo esplicite come quelle (pane, scarpe, timbri, spaghi e cordicelle, pizza, pantaloni) tutto appare cromato e zecchino. In quell’ora si fatica a staccarsi dalla strada perché i gas di scarico si mescolando a un certo salmastro che arriva dalla Dora, facendo sembrare ogni respiro l’ultimo, ogni altrove non desiderabile e dolcissima la melanconia.»
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Oltre alla trama noir vera e propria, Così giocano le bestie giovani porta avanti le vicende umanissime del commissario Arcadipane e del suo matrimonio, della sua famiglia, della sua crisi di mezza età. Questo personaggio più lieve, rispetto a un Corso Bramard, permette all’autore di affrontare gli stessi temi di fondo degli altri suoi romanzi – il male, la sua ineluttabilità, la barbarie, il rapporto tra bellezza e ricchezza, l’ipocrisia di una certa classe sociale ed élite culturale – con una voce diversa. Il commissario Arcadipane, con i suoi sucai, il giaccone dei suoceri, le sue goffaggini e le sue incertezze grammaticali, ci fa tenerezza, ci fa sorridere. Rispetto a Il mangiatore di pietre e a L’uomo verticale, in Così giocano le giovani bestie si ride anche. L’effetto finale è di aver tra le mani un romanzo avvincente e complesso, dove riflessioni sulla nostra storia postbellica e i mali del nostro Paese si alternano a pagine più intimiste, senza mai esserlo esplicitamente.
«Arcadipane segue il dito di Ariel che indica il punto dove le montagne nascono dalla pianura. Una cosa senza preamboli a differenza di quel che si potrebbe pensare vista la dimensione della faccenda. Pianura, poi la terra si alza: montagne. Finita lì.»
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