Come uccidere tua suocera. Tra amori complicati e ironia il nuovo romanzo di Giulio Perrone
Con Consigli pratici per uccidere mia suocera (Rizzoli, 2017) Giulio Perrone, che aveva esordito come autore nel 2015 pubblicando con Rizzoli il thriller L'esatto contrario, presenta oggi ai suoi lettori un romanzo completamente diverso.
Protagonista è Leo, quarantenne romano dalla vita sentimentale ingarbugliata: dopo anni di matrimonio felice con Marta, con cui progettava di aprire una libreria che potesse diventare un caffé letterario, si è incapricciato di Annalisa, una ragazza molto più giovane di lui. Il tradimento ha causato la rottura del matrimonio, e Leo ora convive con Annalisa, ma da qualche tempo ha ripreso a incontrarsi di nascosto con Marta, ricreando quindi la stessa situazione di prima, ma rovesciata: se Annalisa è divenuta la sua compagna ufficiale, Marta si è trasformata, da moglie e poi ex moglie, in amante per appassionati incontri clandestini.
A questo si aggiungono i problemi che Leo deve affrontare a causa del padre, un fricchettone invecchiato che campa di espedienti e si fa chiamare Dustin, sostenendo di essere stato la controfigura di Dustin Hoffman ne Il laureato e guidando una spider rossa che dichiara essere quella originale del film. Come se non bastasse, l'editore per cui Leo lavora vuole che lo aiuti a trovare un finale interessante per il libro che intende pubblicare: un manuale di «consigli pratici per uccidere mia suocera», il che spiega il titolo del romanzo.
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Siamo quindi molto lontani dal genere thriller con cui Perrone aveva esordito, perché qui il tono della narrazione è per lo più ironico, con punte decisamente comiche, soprattutto quando ci viene raccontato il "dietro le quinte" della casa editrice con le riunioni periodiche tra un editore pieno di manie e i suoi collaboratori un po' scalcinati. Non mancano però i risvolti malinconici nei momenti introspettivi dell'indeciso protagonista, e anche nella descrizione del suo non facile rapporto col padre.
Abbiamo quindi chiesto a Giulio Perrone di parlarci un po' di questa sua seconda esperienza da scrittore.
Il suo primo romanzo, L'esatto contrario, era un thriller, mentre qui ci troviamo in una storia del tutto diversa. Voleva cambiare per non rischiare di essere inquadrato nella narrativa di genere, oppure ha solo seguito un'idea che le sembrava interessante?
La realtà, e lo dico anche da editore, è che questa è una cosa tipicamente italiana: c'è sempre la volontà di inquadrare gli scrittori entro determinati generi e poi di farli continuare in quelli, spesso con una tendenza alla serializzazione.
Io credo invece che un autore, come del resto accade di più a livello internazionale, debba utilizzare il genere se e quando ne ha bisogno, a seconda del tipo di storia che vuole raccontare: magari scrivi un noir solo perché ti serve quella particolare atmosfera.
Per quanto mi riguarda, m'interessava prima di tutto mantenere una voce, una modalità di raccontare i personaggi che è quella che accomuna, almeno in parte, il primo e il secondo romanzo. Questa però è una storia che non poteva avere nulla del thriller: è casomai una commedia, un romanzo classico che – altra cosa che ha in comune col libro precedente – racconta una storia molto contemporanea.
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La storia in effetti è molto divertente, ma contiene pure parecchie riflessioni malinconiche. Come la definirebbe?
L'idea che avevo mentre lo scrivevo, e che poi è cresciuta in sede di scrittura, è stata quella di provare a raccontare una storia che facesse sorridere, che divertisse anche in alcuni punti, ma che lasciasse al lettore degli spunti di riflessione finali.
C'è un alternarsi, abbastanza tragicomico, tra una visione del protagonista che è molto autoironica, anche nei confronti degli altri personaggi che gli ruotano intorno, e quello che gli accade nella vita di tutti i giorni. Se però lo si analizza in maniera distaccata, ci si rende conto che Leo è un uomo profondamente infelice nella società in cui si ritrova.
La sua forza, quello che bene o male lo salva sempre, è appunto la capacità di essere autoironico, di guardare a se stesso e a quello che gli capita con un certo divertimento, cercando sempre di andare avanti senza rinchiudersi troppo in se stesso.
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A un editore che diventa romanziere viene spontaneo fare questa domanda: scrivere le è sempre piaciuto, oppure ha iniziato a farlo solo dopo aver lavorato per anni come editore?
La passione per la lettura e per la scrittura l'avevo fin dall'inizio, quando ho avuto la fortuna di avere un grande maestro, incontrato come professore, Walter Mauro, che mi ha fatto appassionare ai libri, alla musica, alla letteratura. Successivamente, la passione è passata dalla lettura alla scrittura: però, da quando ho fondato la casa editrice nel 2005 con Mariacarmela Leto, ho messo da parte a lungo la scrittura, perchè ho pensato che fosse più giusto e corretto dedicarmi solo ai libri degli altri, a quelli che dovevo pubblicare.
Poi, qualche anno fa, mi è tornata fuori la voglia di mettermi in gioco personalmente, di scrivere e di raccontare, per cui ho ripreso questo percorso, che si è sviluppato grazie alla Rizzoli che ha creduto nel mio primo libro. In principio, scrivevo solo perché avevo voglia di farlo, ma da quando ho trovato un editore che ha avuto voglia di scommettere su di me, anche la mia voglia di continuare è aumentata.
Il fatto di essere diventato uno scrittore ha modificato il suo modo di gestire la casa editrice? Ad esempio, il trovarsi su due fronti l'ha portata a confrontarsi in modo diverso con gli autori che pubblica?
Sì, di sicuro è cambiato in un aspetto fondamentale. Avendo fondato una casa editrice che porta il mio nome, avevo sempre pensato che la mia esposizione nell'uscita di un libro fosse, a livello emozionale, molto simile a quella dell'autore, perché in fondo anch'io ci mettevo la faccia, e mi sentivo quindi coinvolto. Pubblicando un libro mio, però, mi sono reso conto che in realtà non è la stessa cosa per autore ed editore, perché l'emozione resta molto differente.
Quella dell'editore è un'emozione importante, che però rimane legata a una razionalità che ti porta in qualche modo a proteggere il tuo autore e a cercare di guidare il libro per diffonderlo e sostenerlo. Quando invece pubblichi un libro tuo, ti senti totalmente esposto, quindi l'emozione è molto diversa, forse più profonda. Questo mi ha consentito anche di capire un po' meglio alcuni momenti di difficoltà che avevano gli autori e che forse in precedenza non comprendevo del tutto.
L'editore presso cui lavora il protagonista è senz'altro uno dei personaggi più divertenti del libro. Nella sua casa editrice le riunioni aziendali sono così spassose?
Per fortuna devo dire che il nostro ambiente è abbastanza diverso, e credo che da noi le persone abbiano più possibilità di esprimersi in maniera creativa e di dare il loro impulso alla casa editrice. Il personaggio che ho descritto nel romanzo è un editore egocentrico, come devo confessare che, almeno in parte, siamo un po' tutti noi: per fare questo lavoro devi essere legato a una tua visione personale del libro e dell'editoria. Però quest’editore è assolutamente sui generis, prepotente e incontentabile, una figura che racchiude in sé un po' tutte le particolarità, le fobie, le piccole follie che io e tanti miei colleghi abbiamo.
Roma è sempre in primo piano nei suoi libri. Qual è il suo rapporto con la città? Cosa le piace e cosa non le piace?
Cerco sempre di raccontare una Roma diversa e contemporanea: per questo scelgo i quartieri come San Lorenzo, molto popolari e vissuti, e che non hanno a che fare con l'aspetto, sia pure altrettanto importante, artistico e monumentale della città.
Credo che Roma sia una città complessa, difficile da gestire, soprattutto in questi ultimi anni, ma ha al suo interno delle risorse straordinarie. Se abbiamo una cosa che, come Roma, è bella sotto tanti punti di vista, ma funziona così male, forse la colpa non è della città in sé ma è in primo luogo nostra, di noi cittadini che non la sappiamo rispettare, gestire e valorizzare. Se tutte le forze in campo, a cominciare da chi la vive e poi da chi l'amministra, andassero in una direzione diversa, allora Roma diventerebbe davvero una bella città, perché oggettivamente lo è.
Sua suocera cosa pensa di questo romanzo? Il titolo non l'ha spaventata?
Quando, tra novembre e dicembre, mia suocera ha saputo dell'esistenza del libro, è rimasta un po' perplessa. All'inizio era contenta che uscisse un mio nuovo libro, ma il titolo l'ha un po' preoccupata. Devo dire che è stata comunque molto sportiva e simpatica: è stata una delle prime lettrici, e si è divertita.
Del resto, quella che riguarda le suocere è solo una trama dentro la trama, e penso che le suocere che lo leggeranno saranno magari anche quelle che si divertiranno di più.
A Roma si dice "sei una suocera" per definire una persona invasiva e rompiscatole, quindi la suocera diventa spesso più un concetto che una persona.
Mi sono arrivati persino messaggi da lettori che mi hanno detto "io però ho un buon rapporto con mia suocera", quasi come se sentissero il bisogno di giustificarsi, o fosse assurdo sostenere una cosa del genere: nell'immaginario collettivo, la suocera resta spesso una figura negativa, almeno per tradizione, poi è ovvio che i rapporti reali sono tutt'altra cosa.
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