Come sono diventati i ventenni degli anni Ottanta?
Federica Bosco è una scrittrice i cui romanzi è sempre un piacere leggere, per la sua capacità di delineare con ironica, leggera e sorprendente veridicità gli stati d’animo dei personaggi da lei descritti. Nel suo ultimo romanzo Non perdiamoci di vista (Garzanti Editore) l’autrice narra lo spaccato di due generazioni a confronto: quella cresciuta negli anni Ottanta e la generazione di oggi, dominata dalla tecnologia e dai social.
È la sera della vigilia di Capodanno e Benedetta, come ogni anno, lo trascorre in compagnia degli amici di sempre, gli stessi amici che durante gli anni Ottanta, passavano i pomeriggi seduti sui motorini a fumare e a scambiarsi pettegolezzi e che ora sono invece quarantenni disillusi alle prese con divorzi, figli, bullismo e sindrome di Peter Pan.
«Mi ero ripromessa che sarebbe stato l’ultimo Capodanno che avrei trascorso così, ma poi ne erano passati altri sei e adesso mi sentivo davvero come la povera illusa che continua a esprimere desideri quando vede una stella cadente o sente i rintocchi della mezzanotte».
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E invece anche quell’anno era andata allo stesso modo, «con me che guardavo il telefono aspettando un messaggio che non sarebbe mai arrivato». Questi ragazzi ‘’cresciuti’’ vivono infatti nell’attesa di una serata diversa dalle altre, che possa dare una svolta alle loro vite che non sono andate come avevano sognato da adolescenti. La vita, tuttavia, sorprende sempre e bisogna allora trovare il coraggio di sganciarsi dall’insoddisfacente routine quotidiana e avventurarsi verso mari sconosciuti, rischiando, qualunque cosa accada.
«In fin dei conti non eravamo cambiati, continuavamo ad aspettarci qualcosa dalla vita, qualcosa di spettacolare e unico che prima o poi sarebbe arrivato, esattamente come quando ci preparavamo per uscire il sabato sera immaginando una serata piacevole e indimenticabile».
Benedetta, la protagonista di questo romanzo, è una donna in apparenza matura, in realtà serba dentro di sé antichi residui irrisolti adolescenziali. Da ragazzina aveva sposato il suo primo ragazzo, perché nelle cittadine di provincia, come quella in cui era cresciuta, le compagnie diventavano una sorta di «microcosmo, uno spaccato di realtà dove finivi per accoppiarti per esclusione e pigrizia». Così era stato per lei e Fabrizio. Dopo sei anni di fidanzamento si erano sposati, erano nati due figli, ma un giorno avevano capito di non amarsi più e in comune accordo pacifico avevano deciso di separarsi.
«Ormai eravamo fratello e sorella da troppo tempo e sapevamo tutti e due che la fiamma era morta e sepolta e niente avrebbe potuto rianimare un cadavere».
Benedetta avverte dentro di sé un’inspiegabile insoddisfazione, come se per tutta la vita avesse sempre seguito una strada prestabilita dagli altri, regolare e costante, senza dare reale ascolto al suo volere interiore: «lavoro, marito, figli. E poi? Era tutto lì?».
La sua vita è infatti divisa tra il lavoro come fisioterapista, i problemi adolescenziali dei figli e un nuovo amore che ritorna dal passato (un ex compagno di liceo), con il quale vive una relazione virtuale a distanza. Benedetta osserva gli amici e come lei anche loro hanno fatto tutto ciò che i genitori si erano aspettati, seguendo i precetti inculcati fin dalla nascita. A vederli oggi sembrano tutti apparentemente soddisfatti, con carriere avviate, matrimoni e figli, e tuttavia nessuno è realmente felice e appagato. «Tutti noi cercavamo ancora qualcosa, quel qualcosa di magico e incredibile». E nonostante fingano tutti indifferenza, è nei loro occhi che permane una luce nostalgica, un velo di tristezza e di rassegnazione.
In questo romanzo è interessante il confronto generazionale descritto dall’autrice tra coloro che sono cresciuti negli anni Ottanta e i giovani di oggi. Come si viveva un tempo senza i social? Sembra quasi impossibile aver vissuto in un’epoca in cui bisognava attendere settimane per ricevere una lettera o di essere a casa per poter telefonare o, se ci trovavamo fuori, cercare una cabina telefonica e procurarsi i gettoni. Non era forse tutto diverso, più genuino e anche più sano durante quegli anni?
La generazione di oggi, cresciuta invece tra tecnologie avanzate e i social, pensa sia tutto dovuto. Non accetta un no, vuole tutto e subito, e Benedetta lo vive sulla propria pelle quotidianamente con i propri figli, che non vedono in lei una figura autorevole che impartisce loro un’educazione, piuttosto qualcuno che non deve dir loro cosa fare, mentre un tempo occorreva ubbidire ai propri genitori senza obiettare. I giovani di oggi vivono incollati ai telefonini, dipendono dai like e dai follower. Persino l’amore viene vissuto in modo differente. Non c’è più l’emozione di un tempo nel passarsi biglietti di nascosto tra i banchi di scuola per far capire a un tipo che ti piaceva. No, oggi ci si affida ai social, tutto viene consumato in fretta e in modo superficiale e alla magia iniziale segue presto il disincanto. Il «per sempre» nel quale le generazioni degli anni Ottanta credevano fermamente oggi non esiste più e di ciò i millenial sono perfettamente consapevoli e se ne infischiano.
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Federica Bosco dimostra ancora una volta di avere una perfetta padronanza della lingua italiana. Il suo stile è fresco, ironico, piacevole, quasi una boccata d’aria genuina. I dialoghi non sono mai banali o scontati, ma coinvolgono il lettore pagina dopo pagina, facendoci immedesimare nei personaggi dai lei descritti, i quali dall’inizio del romanzo alla conclusione vivono un’evoluzione che li porterà a cambiare, in un certo senso a maturare e ad accettare il presente con meno disillusione e maggiore maturità e consapevolezza.
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