Come aiutare un adolescente a vivere il dolore. Intervista a Laura Bonalumi
Tutti noi ci siamo dovuti scontrare con un dolore, a volte così forte da dover fuggire. Un senso del dolore che quando si è adolescenti risulta forse ancora più amplificato al punto da pensare alla fuga come unica strategia per allontanarsi da quella sofferenza e ritrovarsi.
È ciò che accade al protagonista di Voce di lupo, l’ultimo romanzo di Laura Bonalumi, edito da Piemme – Il battello a vapore nella nuova collana Vortici, dedicata ai lettori tra gli 11 e i 14 anni.
Il nostro giovane eroe decide, subito dopo la perdita del suo migliore amico, di fuggire nel bosco, allontanarsi da tutto e tutti per provare a risolvere quello che presenta come il suo problema. Impossibile dunque non lasciarsi guidare da questo romanzo verso una serie di riflessioni su come i più giovani vivano il proprio dolore e come noi adulti potremmo aiutarli.
Proprio da questi aspetti siamo partiti per la nostra chiacchierata con Laura Bonalumi.
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Il libro si apre con una scena molto forte: una madre (o un padre) parla con qualcuno che si sta occupando della scomparsa del figlio. Nel porgergli la foto uno dei due genitori dice: «Sembrava felice, vero?». Quanto la felicità dei ragazzi può essere diversa da quella che i genitori sognano per loro? E quanto può essere pericolosa questa discrepanza?
Sono madre di due ragazze (17 e 14 anni) e guardare i loro occhi a volte non basta. Scrutare tra le frasi – spezzettate – che dicono, le risposte – monche – che lasciano, non basta. Saranno felici? Saranno serene? Sono domande che un genitore si pone, forse, troppo spesso. La nostra idea di felicità non può essere la loro, così come l’idea di mondo che hanno, o quella di passione, emozione e altro. Sono anime in formazione, in crescita e cercare di farli pensare, o vivere, come noi, come noi vorremmo, potrebbe diventare pericoloso.
Aria: hanno bisogno di aria. Che non vuol dire lasciarli totalmente liberi o mandarli allo sbaraglio. La società odierna è crudele e non ammette passi falsi. Dobbiamo seguirli da lontano, senza mai perderli di vista e acciuffare quelle poche parole che pronunciano, catturare i pochi sorrisi che allargano e capire quelle occhiaie apparse all’improvviso.
Difficile? Difficilissimo.
Il protagonista entra in scena con una fuga dal proprio dolore, che possiamo definire prima metaforica e dopo poco anche reale. Come il dolore può trasformare un giovane ragazzo adolescente e come gli adulti dovrebbero relazionarsi con tali stati d’animo?
Il protagonista del mio romanzo si sente causa del suo stesso dolore, si sente colpevole e niente sembra poter cambiare questi suoi pensieri. La morte di un amico, di un parente, di una persona cara è un momento che sconvolge e che travolge: il vuoto che resta è incolmabile e insopportabile. Ci si sente disorientati e persi e per un adolescente, alla ricerca di punti di riferimento, potrebbe diventare una situazione molto critica. Non è facile per un adulto comprendere la profondità del dolore che vive un adolescente, non è facile comprenderne i sentimenti in generale. Penso ci sia sempre bisogno e urgenza di ascolto – in ogni caso e forse qui a maggior ragione. Di presenza e sostegno. A volte le parole confondono, irritano o creano disagio.
Voce di lupo ruota attorno a molti temi che s’intersecano come elementi della vita del giovane protagonista. Cominciamo da quello dell’identità: chi dice “io” nel libro sembra voglia metterla da parte, rinunciando persino al suo nome. Cosa può significare questo passaggio per un adolescente?
La formazione dell’identità di una persona penso non abbia mai fine: l’esperienza e gli anni ci insegnano e ci modellano. Quando si è giovani o adolescenti, come nel caso del protagonista del libro, la definizione di identità è solo un’idea, una bozza; un concetto delicato e fragile, pronto a rompersi e a crollare davanti alla prima difficoltà. Ecco che allora tutto sembra perduto, le poche certezze conquistate vacillano mentre i dubbi crescono. Il proprio, piccolo, io diventa inguardabile, inaccettabile e il rifiuto subito si affaccia.
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L’amicizia è l’altro grande tema perché in fondo il dolore di cui il protagonista sembra non potersi liberare nasce dalla morte dell’amico Giacomo. Quanto l’amicizia può essere totalizzante per gli adolescenti?
In una società dove genitori e adulti trovano pochissimo tempo per i figli, per i giovani, l’amicizia tra coetanei è fondamentale. Il potersi confrontare, confidare con un amico, un’amica, diventa essenziale e può essere di grande aiuto. Ecco perché il disprezzo e la denigrazione che spesso usano i ragazzi nell’offendersi – anche attraverso i famosi social – diventa una minaccia molto pericolosa: il giudizio dei coetanei è importante, oltre che indispensabile. L’essere accettati dal gruppo diventa una necessità e sapersi apprezzati conforta. Può sembrare strano ma fa più male il rimprovero di un amico che la ramanzina di un genitore.
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«Non sono disperato, non farò pazzie, e quando avrò risolto il mio problema, tornerò». Al di là di quanto abbiamo detto finora, possiamo provare a definire i contorni di quello che il nostro protagonista definisce «il mio problema»?
Il protagonista si pone la domanda: perché la vita regala momenti di così grande dolore? Quale disegno è nascosto dietro alla morte di Giacomo, dietro alla morte di un amico? E se davvero vivere fosse solo un atto di sofferenza e angoscia? Domande che si pone un ragazzo di tredici anni ma che si pongono anche gli adulti: la vita, a volte, è davvero crudele. Ecco che allora, al sovrapporsi di tanti consigli, di tante parole, questo ragazzo sceglie il silenzio, capisce che la soluzione a questo suo problema (il perché si deve soffrire) potrebbe trovarsi laggiù, nel bosco, dove il tormento e il dolore hanno preso vita. Nasce così la scelta di ripercorrere e di rivivere un momento – anche se drammatico – per cercare di comprendere.
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Bosco, sentieri di montagna, il sogno di attraversare l’Italia a piedi… il romanzo pone al centro della narrazione luoghi diversi e un’immagine di adolescente un po’ differente da quella che siamo abituati a vedere rappresentata. Da scrittrice il suo è un modo per invitare gli adolescenti a “vedere” altre realtà e comportamenti?
La mia è una speranza. Quella di poterli raggiungere raccontando loro che, oltre al mondo nascosto dietro a un vetro (di uno smartphone, di PC), c’è qualcosa di meraviglioso che respira, profuma e che vive.
Che c’è “qualcosa” che devono, e che dobbiamo, imparare a conoscere e rispettare. La fretta, la velocità, il tutto subito non ci permettono di capire: la conoscenza necessita di tempo e, soprattutto, di silenzio. I ragazzi di oggi non conoscono il valore del tempo, in special modo quello dell’attesa che poi è il tempo migliore: quello che ci rende pronti all’accoglienza e alla consapevolezza.
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Una domanda che esula dal testo: i dati sulla lettura in Italia mostrano che da ragazzi si legge di più che da adulti. Secondo lei è solo una questione di maggiori responsabilità e preoccupazioni e dunque minor tempo, oppure ci sono altri motivi?
Mi auguro sia la curiosità a spingere i ragazzi alla lettura. Il mercato editoriale odierno propone una grandissima varietà di generi letterari e ognuno può liberamente e facilmente soddisfare il proprio gusto. Le scuole, gli educatori, gli autori stessi sono molto impegnati nel promuovere la lettura: il libro diventa compagno di crescita e non è più visto come l’obbligo di un testo da leggere e da recensire.
E anche se la narrativa per ragazzi in Italia è ancora vista come narrativa minore – diciamo pure di serie B – resta comunque ricca di argomenti, contenuti e linguaggi capaci di arricchire il lettore e coinvolgerlo in un viaggio unico e davvero personale.
Lo ripeto spesso nelle scuole incontrando i ragazzi: i libri sono magici e, come diceva Proust, «ogni lettore quando legge, trova se stesso».
Probabilmente gli adulti si sono già ritrovati e non hanno più bisogno di sognare!
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