Cento di questi anni, Ingrao!
Ci sono persone che rimarranno nella Storia come artefici della Storia. Persone poco comuni, che han dato vita a eventi, fatti, pensieri, politiche. Tra queste, il centenario Pietro Ingrao.
Di lui, del suo passato, della sua vita, si scrive e si scriverà. Della sua passione, del tempo che ha dedicato al servizio di una ricerca laica di civiltà in un tempo lungo, il Novecento, che non ha perdonato a nessuno errori, finzioni e menzogne.
Ingrao nasce al sud, a Lenola, in Campania, nel 1905. È uno dei primi quadri meridionali del Partito Comunista Italiano, assolvendo il suo compito in forma sensibile e creativa, attento alle trasformazioni in atto nella società italiana e nella cultura. D’altra parte, questa sensibilità spiccata è rintracciabile nei suoi scritti e nei suoi interventi, e nella commovente opposizione alla svolta della Bolognina, durante la quale rivendicò il ruolo di quell’organizzazione di massa e di classe che era ancora il Pci.
Ingrao, dunque, non è stato semplicemente un fervente militante comunista, ma una personalità anomala e indipendente nel quadro dell’intelligenza politica italiana. Non s’è limitato a inseguire il pensiero comunista, ma lo ha trasformato in una specie di argomento da sottoporre a critica dentro la critica alla realtà. Questo nella sua ricerca intellettuale, che lo ha visto prendere la penna per scrivere anche in versi.
Ora, una personalità come la sua, capace di assurgere alle vette della democrazia italiana – come primo Presidente comunista della Camera dal 1976 al 1979 – non lascia spazio alle controversie o ai fraintendimenti, perché Ingrao è sempre stato alquanto netto nel seguire una linea politica orientata a tenere ferma la necessità di un partito che rappresentasse le “classi” di riferimento del Pci.
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Questo è forse il vero contributo dato da Ingrao, una ricerca della verità dentro la pratica politica del dubbio, nella consapevolezza che i sentimenti sono lo stadio primigenio della presa di coscienza, ma che a essi deve seguire un’organizzazione, un mettersi insieme, un fondare un sistema e una comunità politica che va sotto il nome di partito.
Ed è nel suo ultimo lavoro, quell’Indignarsi non basta uscito come risposta eccellente all’Indignatevi! di Stéphane Héssel, che troviamo precisa e chiara la sentenza di necessità: un Ingrao che tende la mano al futuro, nella fase di massima regressione delle sinistre mondiali, affinché un altro soggetto si costituisca per dar voce e speranza alle masse materialmente diseredate della terra, oltre la commozione del momento.
Questo è lo stesso Ingrao che, coerentemente, non voleva sfasciare il Pci, che non apprezzò gli esuli del gruppo Il Manifesto, che non condivise la scelta divisionista e revisionista di Occhetto, che tenta ancora, sorreggendo un’idea unitaria, di scuotere dall’interno il panorama residuale della sinistra italiana per trarlo fuori dalle secche.
Un uomo tenace, lucido, leopardiano nella sua cultura del bello, poetico e politico. Un uomo che porta dentro la tenera durezza di un secolo di grande esultanza e di massima disperazione sociale e democratica. Un uomo che merita gli auguri di tutta Italia per come ha fatto, per come è sopravvissuto tenacemente ai riflussi epocali di una storia nazionale che non piace più a nessuno.
Allora, cento di questi anni, Pietro Ingrao! Cento, e cento ancora.
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